Dalla letteratura
In collaborazione con l’Associazione Alessandro Liberati – Network Italiano Cochrane
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Appropriato ma non sempre utile?
Intervista a John A. Ioannidis

Departments of Medicine and Health Research and Policy, Stanford Prevention Research Center, Stanford University School of Medicine, Stanford, California; and Department of Statistics, Stanford University School of Humanities and Sciences, Stanford, California 
Nell’Invited Commentary pubblicato online first su JAMA Internal Medicine (Ioannidis JA. Appropriate vs clinically useful diagnostic tests. JAMA Intern Med 2013 Jul 22; doi: 10.1001/jamainternmed.2013.6582), ha affrontato la dialettica tra appropriatezza… e utilità clinica di una pletora di esami diagnostici condotti ogni anno. Da quali considerazioni ha preso le mosse il suo articolo?

A me sembra che ciò che sia appropriato sia spesso deciso sulla base dell’opinione di esperti e di evidenze aneddotiche che riguardano alcune specifiche caratteristiche dell’esame, come la sensibilità o la specificità. Laddove quello che conta realmente è cosa capita al malato che si sottopone al test. Quale altra indagine o procedura invasiva o terapia sarebbe prescritta sulla base dei risultati dell’esame? Che impatto può avere l’indagine diagnostica sugli eventi clinici più rilevanti o sulla qualità di vita o persino sulla sopravvivenza, nel caso di malattie gravi? Le tariffe applicate alla cura del malato sarebbero diverse (più o meno vantaggiose) nel caso il test fosse effettuato? Spesso, i dati utili per permettere di rispondere a queste domande sono poco robusti o non esistono.
Commentando uno studio di Matulevicius uscito sullo stessa rivista (Matulevicius SA, Rohatgi A, Das SR, Price AL, Deluna A, Reimold SC. Appropriate use and clinical impact of transthoracic echocardiography. JAMA Intern Med 2013 Jul 22; doi: 10.1001/jamainternmed.2013.8972), lei sostiene che almeno in un caso su cinque l’esame in questione (l’ecocardiografia trans toracica) è eseguito senza che ci siano vere ragioni ferma restando la teorica appropriatezza…
Sì. I concetti di appropriatezza… e di utilità divergono non poco. Per molti esami, il produrre una lista di indicazioni appropriate non significa che il loro uso porti ad un beneficio per il malato. In più non sappiamo neanche se si possa prevedere una risposta normativa a queste linee-guida. Nel caso, possono semplicemente costruire una giustificazione appropriata per aver prescritto l’esame. È una logica che può favorire un atteggiamento difensivo: esser sicuri che sia appropriato e quindi rimborsabile piuttosto che utile al malato.  
Non è semplice, però, produrre delle evidenze solide sull’utilità clinica dei test diagnostici.
Per gli esami più frequenti, il primo passo è disporre e analizzare i risultati di studi osservazionali per capire i modelli e le conseguenze della prescrizione. Chiaramente avendo ben presente il rischio di confondimento e di distorsioni. Dovrebbero essere incoraggiate delle sperimentazioni randomizzate, centrate su scenari clinici specifici che considerino con attenzione le domande reali che nascono nei diversi setting clinici. La domanda non dovrebbe essere se ricorrere o meno ad un esame, ma se quel determinato test è migliore di un altro. Lo stesso vale per le batterie di esami. Si tratta di una strategia di ricerca più costosa del raccogliere e osservare dati, ma alla fine il costo diventa un investimento. Fino a quando studi “conclusivi” di questo tipo non saranno ultimati, la distinzione tra appropriato e clinicamente utile resterà difficile.
Il rigore delle meta-analisi
In un recente articolo pubblicato sul BMJ (Bafeta A, Trinquart L, Seror R, Ravaud P. Analysis of the systematic reviews process in reports of network meta-analyses: methodological systematic review. BMJ 2013; 347: f3675) un gruppo di ricercatori francesi ha valutato il rigore metodologico di 121 Network Meta-Analisi (NMA) pubblicate in alcune importanti riviste scientifiche. Lo studio ha individuato delle inadeguatezze sia nelle modalità di conduzione sia nella presentazione dei risultati.
La NMA è una metodologia che riscuote una crescente attenzione nel mondo scientifico. Questo metodo, sotto particolari assunzioni, consente di riassumere tutta l’evidenza, sia diretta sia indiretta, sull’efficacia e la sicurezza degli interventi sanitari disponibili per una particolare patologia o condizione e, inoltre, sembra possa fornire delle risposte alla domanda: quali interventi, tra tutti quelli disponibili, sono più efficaci e sicuri? La metodologia della NMA si sviluppata recentemente ed è considerata da alcuni metodologi come la naturale evoluzione del metodo tradizionale di meta-analisi. Vediamo molto brevemente alcune differenze tra le due metodiche.
La meta-analisi (MA) è una metodologia statistica che permette di combinare i risultati ottenuti da studi randomizzati controllati eseguiti da gruppi di ricerca indipendenti e che rispondono allo stesso quesito clinico. Ad esempio: il bevacizumab differisce in termini di efficacia e sicurezza dal ranibizumab nel trattamento della maculopatia degenerativa legata all’età? La risposta al quesito, in presenza di più studi randomizzati controllati, deve tenere in considerazione i vari risultati e la loro eventuale variabilità. La MA risponde a questa esigenza; infatti, attraverso il calcolo della media pesata dei vari risultati, consente di ottenere un’unica stima dell’efficacia comparativa dei due trattamenti messi a confronto.
La NMA, rispetto alla MA, permette di considerare oltre all’evidenza diretta anche l’indiretta e la loro integrazione. L’evidenza sull’efficacia comparativa di un trattamento sperimentale rispetto a un controllo può essere derivata indirettamente da studi che confrontano i due trattamenti singolarmente con un altro intervento. Ad esempio, studi che comparano la terapia fotodinamica con il bevacizumab o che la confrontano con il ranibizumab. Il metodo sembra inoltre consentire, quando ci sono più interventi, come nel caso della maculopatia degenerativa legata all’età – si pensi alla presenza di altri farmaci come il pegaptanib e all’aflibercept – di stabilire una loro graduatoria per efficacia e sicurezza. La metodologia della NMA è complessa e richiede competenze statistiche avanzate. Il metodo si basa su assunzioni (omogeneità, similarità e consistenza) che spesso non sono semplici da verificare. Tuttavia, come sottolineato dagli autori dello studio, l’affidabilità dei risultati provenienti dalle NMA non dipende soltanto dalla quantità d’informazione considerata e dalla metodologia statistica utilizzata per la combinazione dei risultati, ma è fortemente associata al rigore metodologico posto nella conduzione dell’intero processo di revisione sistematica messo in atto per rispondere al quesito clinico d’interesse.
Lo studio ha messo in luce debolezze e lacune in questo processo di revisione sistematica. Ha evidenziato, infatti, che alcuni aspetti essenziali della procedura, che riguardano, ad esempio, la ricerca della letteratura e la valutazione del rischio di bias dei singoli studi, sono stati condotti in modo inadeguato e non sono stati riportati in maniera appropriata nel testo degli articoli pubblicati. Contrariamente al processo di revisione sistematica della letteratura alla base delle MA, che tende ad essere standardizzato in ogni sua componente, soprattutto se ci si riferisce alle revisioni sistematiche pubblicate sulla Cochrane Library, quello relativo alle NMA sembra essere ancora in una fase iniziale. Gli autori sollecitano la pubblicazione di linee-guida per la corretta conduzione e presentazione dei risultati di NMA.
La metodologia della NMA non richiede solamente di essere ulteriormente sviluppata e perfezionata ma necessita di essere discussa e divulgata anche fuori dal mondo dei metodologi. Gli utilizzatori dei risultati delle NMA, ovvero, pazienti/cittadini, clinici, decisori e professionisti dell’informazione, dovrebbero sempre più diventare avvezzi a tale metodologia, sviluppando competenze per la sua valutazione critica e per l’interpretazione dei risultati da essa ottenuti, in modo da poterli utilizzare, ognuno nella propria sfera d’interesse, con la dovuta considerazione.

Roberto D’Amico