Evidence-based medicine: un movimento in crisi?

Giovannino Ciccone1

E-mail: gianni.ciccone@cpo.it

Evidence-based medicine: a movement in crisis?

Summary. A recent paper published in The BMJ has argued that the evidence-based medicine movement is now facing a serious crisis. In the authors’ opinion, the first problem is that the EBM “quality mark” has been misappropriated by vested interests. The second aspect is that the volume of evidence, especially clinical guidelines, has become unmanageable. Moreover, the statistically significant benefits may be marginal in clinical practice. Also, inflexible rules and technology driven prompts may produce care that is management driven rather than patient centred. In the end, evidence-based guidelines often map poorly to complex multimorbidity. To address the above concerns, the authors believe that a campaign for real EBM is needed: patients must demand better evidence, better presented, better explained, and applied in a more personalised way. All the relevant stakeholders (researchers, editors, publishers, etc.) should contribute to return to the movement’s founding principles. The article is a detailed summary of issues already known of great interest, but perhaps with an over-emphasis in the title and tone, without focusing on the key aspect: the production and shaping of the evidence.

L’articolo di Trisha Greenhalgh et al.1, pubblicato a giugno su The BMJ, riassume in parte i risultati di un workshop di due giorni svoltosi a Oxford nel gennaio di quest’anno. L’articolo è strutturato in due parti: nella prima si tenta di dare una risposta all’interrogativo se l’evidence-based medicine (EBM) sia un movimento in crisi; nella seconda si indicano possibili iniziative per un rilancio dell’EBM.

Prima di analizzare le cause e gli effetti di questa possibile crisi, e di proporre soluzioni, gli autori sintetizzano gli straordinari effetti positivi introdotti nella cultura clinico-assistenziale a oltre 20 anni dalla pubblicazione sul JAMA dell’articolo-manifesto sul nuovo paradigma rappresentato dall’EBM2. Tra questi si menzionano la nascita e lo sviluppo della Cochrane Collaboration, la definizione di standard per la pubblicazione degli studi, l’istituzione di strutture nazionali e internazionali dedicate alla produzione e diffusione di linee-guida, lo sviluppo di metodi e strumenti per migliorare la valutazione critica della letteratura scientifica e, più in generale, l’aver rivalutato la componente scientifica nei processi decisionali a vari livelli, rispetto a modelli tradizionali, basati prevalentemente sull’esperienza e su conoscenze teoriche.

Nonostante questi innegabili successi, gli autori sostengono che il movimento stia attraversando una crisi preoccupante, dovuta a diverse cause, tra le quali si sottolineano le seguenti:

• l’uso distorto del “marchio” EBM, percepito nella comunità scientifica come garanzia di qualità, spesso sfruttato per dare una veste di credibilità e di rigore a studi primari di utilità discutibile, costruiti con meticolosa attenzione per eludere i tradizionali strumenti di valutazione della presenza di bias all’interno dello studio, spostando i veri problemi a monte degli studi (nella definizione delle priorità dell’agenda di ricerca e nelle scelte fondamentali sui trattamenti di controllo, sugli endpoint, ecc.), o a valle (attraverso la mancata o ritardata pubblicazione dei risultati controproducenti per gli sponsor);

• l’iperproduzione di evidenze, non solo di studi primari, ma anche degli strumenti di sintesi e di aiuto alle decisioni come le linee-guida, spesso discordanti tra loro e poco maneggevoli per un uso reale nella pratica assistenziale;

• la deriva degli studi verso la ricerca di vantaggi terapeutici sempre più marginali, attraverso studi di enormi dimensioni e costi, che spesso sovrastimano i benefici (tipicamente a breve termine) e sottostimano i rischi (soprattutto a medio e lungo termine);

• lo slittamento dell’attenzione della ricerca, che invece di essere centrata sul soggetto si focalizza sulla singola malattia o addirittura sulle condizioni a rischio di evolvere in una possibile malattia in futuro, con tutti i rischi della sovradiagnosi di condizioni di incerto significato clinico e del sovratrattamento.

L’impiego diffuso di strumenti tipicamente manageriali, basati su regole e algoritmi decisionali rigidi (con logiche IF-THEN) che forzando scelte standard, anche quando non appropriate, può indurre a sottovalutare la presenza di altri problemi del paziente quando non previsti dal percorso standard. L’adeguamento acritico e difensivo a strumenti di aiuto nelle decisioni da parte di clinici inesperti può inoltre avere ricadute negative sulla loro formazione, evitandogli la difficoltà di confrontarsi quotidianamente con le molte incertezze, e con la necessità di prendere decisioni condivise, tenendo conto delle specificità e dei valori dei singoli pazienti. Un uso sconsiderato di meccanismi di incentivazione a seguire percorsi prestabiliti (nonché, almeno nel nostro Paese, la presenza di norme che assicurano maggiori livelli di protezione medico-legale quando non ci si discosta da questi percorsi)3 può rappresentare ulteriori rischi di un’applicazione rigida, distorta e potenzialmente pericolosa delle evidenze.




Infine, si riconosce che il progressivo invecchiamento della popolazione, con l’inevitabile accumularsi di comorbilità e di trattamenti, rende molto difficile l’uso nella pratica quotidiana delle evidenze che derivano da studi condotti su popolazioni tendenzialmente più giovani e selezionate per assenza di comorbilità importanti.

Nella seconda parte dell’articolo gli autori avanzano diverse proposte per recuperare lo spirito genuino delle origini del movimento («return to real evidence-based medicine»).

In sintesi, le proposte per questa auspicata rivitalizzazione dell’EBM indicano diverse priorità, tra le quali:

• la necessità di individualizzare le decisioni tenendo in maggior conto, oltre alle evidenze disponibili, il contesto, i bisogni e le preferenze dei pazienti, evitando processi decisionali determinati solo dall’applicazione di regole e standard predefiniti (e anche sconsigliando di usare in modo semplicistico la percentuale di aderenza alle raccomandazioni come indicatori infallibili di qualità dell’assistenza);

• l’importanza (forse ancora maggiore) di contestualizzare le evidenze disponibili nelle decisioni di sanità pubblica, tenendo conto degli aspetti culturali ed economici locali e di coinvolgere attivamente i diversi portatori di interesse;

• la necessità di investire per una formazione sull’EBM che vada oltre le capacità di ricerca e valutazione critica della letteratura (che spesso utilizza esempi scolastici), allargandola ad aspetti psicologici, cognitivi, di comunicazione e sui processi decisionali complessi, tipici della pratica clinica;

• l’importanza, sia per chi produce, sia per chi pubblica, di coniugare la robustezza metodologica delle sintesi delle evidenze con la loro facilità di utilizzo da parte dei decisori;

• il ruolo cruciale delle istituzioni pubbliche nel garantire risorse e promuovere strutture in grado di assicurare elevati livelli di indipendenza e competenza nel campo della ricerca e della produzione di linee-guida;

• la necessità di allargare decisamente l’ambito della ricerca metodologica, per esempio agli studi qualitativi, e a sviluppare strumenti in grado di identificare i bias che attualmente non vengono riconosciuti.

In conclusione, gli autori lanciano una campagna per una “real evidence-based medicine”, invitando i lettori a contribuire al dibattito. Invito che non è caduto nel vuoto, visto che in pochi giorni sono state inviate diverse decine di commenti, spesso puntuali e stimolanti.

Tentare un commento sintetico sui numerosi temi toccati dall’articolo è piuttosto difficile e forse non molto utile, tuttavia alcune riflessioni possono incoraggiare un dibattito anche nel nostro Paese:

• i numerosi temi trattati nell’articolo non sono nuovi, ma aver tentato una sintesi è certamente apprezzabile e utile per stimolare la discussione;

• mentre si possono facilmente condividere le analisi sugli aspetti critici della applicazione dell’EBM nella pratica, molto meno convincente è la scelta di dichiarare il movimento in crisi, visto che nessuna delle criticità analizzate è nuova e i punti deboli identificati non sono falle interne al sistema, ma piuttosto ostacoli e resistenze esterne, per quanto difficili da superare;

• gli spunti suggeriti per rilanciare l’EBM sono anch’essi in larga misura condivisibili, ma suonano molto come auspici privi di concretezza;

• infine, come è stato già sottolineato in diversi commenti su The BMJ, sembra sbagliato evocare un ritorno a una situazione preesistente o a un passato felice (che non è mai stato notato), semmai è necessario un continuo adeguamento e affinamento dell’EBM, accompagnata sempre da un sano spirito autocritico, per continuare a incidere in un mondo in rapida evoluzione.

In conclusione, un’ampia sintesi di temi già noti e di indubbio interesse, ma forse con un eccesso di enfasi nel titolo e nei toni, senza approfondire l’aspetto chiave dal quale dipende tutta la teoria dell’EBM: il controllo della produzione delle evidenze4,5.

Bibliografia

1. Greenhalgh T, Howick J, Maskrey N; Evidence Based Medicine Renaissance Group. Evidence based medicine: a movement in crisis? BMJ 2014; 348: g3725.

2. Evidence-Based Medicine Working Group. Evidence-based medicine. A new approach to teaching the practice of medicine. JAMA 1992; 268: 2420-5.

3. Legge 8 novembre 2012, n° 189, art. 3 (“L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”).

4. Knottnerus JA, Dinant GJ. Medicine based evidence, a prerequisite for evidence based medicine. BMJ 1997; 315: 1109-10.

5. Liberati A. Need to realign patient-oriented and commercial and academic research. Lancet 2011; 378: 1777-8.