Medicina e letteratura: un’antologia

L’informazione, questa sconosciuta

Da: Cécile Huguenin

Alzheimer mon amour

Firenze: Edizioni Clichy, 2013

C’è da chiedersi se la seconda neurologa, raccomandata peraltro da un istituto affidabi­le, non sia, proprio del diavolo, l’incarnazione più recente. È la stessa cui lui ha dato della «strega». Era ciò che lui sentiva in quel mo­mento, lei non poteva farci niente. Non pote­va far altro che star lì ad ascoltare quella donna autoritaria e competente mentre pronunciava il verdetto fatale. Una condanna definitiva e senza appello, bilancio clinico alla mano. La neurologa si rivolge a lei, senza mai guardare in faccia lui, come se lui adesso appartenesse a una specie particolare che non ha più diritto al titolo di essere umano. Descrive una forma molto grave, a quanto pare rara della malat­tia, che ha un nome preciso, la demenza da corpi di Lewy. Non colpisce le stesse zone del cervello intaccate dall’Alzheimer. Se da un lato comporta gli stessi sintomi, quali la perdita di memoria e il disorientamento, dall’altro pare che sia proprio questa patologia a provocare gli svenimenti e le cadute. Le proiezioni circa i suoi sviluppi sono anche peggiori, perché porta a paralisi generale, atrofia muscolare e to­tale incoscienza. Ma non possono prevedere i tempi di questa evoluzione. Per quanto ancora potrà disporre della libertà di movimento che per lui è tanto importante? Tre mesi, un anno, dieci anni? Nessuno può dare una risposta cer­ta. All’apprensione per le cadute si aggiunge una nuova angoscia, che non possa più rialzar­si. L’ultima caduta lo condannerà a languire in un letto d’ospedale per il resto dei suoi giorni.




Lei attiva tutti i motori di ricerca. Goo­gle, aiutami tu! Cos’è questa malattia? Non sa nemmeno come si scrive. Non ha osato chie­dere ulteriori spiegazioni. Era troppo atterrita dalla sentenza che è stata emessa, troppo inti­morita dall’autorità medica, implacabile. Ci si sente così stupidi di fronte ai detentori di una verità che ci sfugge e che ci fa paura.

Erano usciti dallo studio della neurologa in preda a un’angoscia sterminata e con in mano una ricetta piccola piccola, che sembrava ridi­cola in confronto a quella catastrofe. Una com­pressa la mattina e una la sera per evitare le cri­si, dette «comiziali», responsabili delle cadute.

Fortunatamente oggi c’è internet che ha una risposta a tutte le domande che non osiamo fare ad alta voce. «Demenza», la prima parola che le salta all’occhio, come uno schiaffo in piena faccia. E che suscita paure ancestrali, perché le fa venire in mente il manicomio, la camicia di forza, i quadri di Bosch. Una parola che associamo alla violenza, alle urla, al riemergere della bestialità nell’uomo che ha perso la ragione. Lei lo guarda, così dolce, tranquillo, affettuoso. Impossibile sovrapporre certe immagini spaventose all’uomo che stringe fra le braccia. Prende il coraggio a piene mani e si apre un varco nella giungla delle ipotesi spesso discordanti e contraddittorie che trova nei vari articoli che legge. Fa conoscenza con questo «dottor Alzheimer», che sopravvive tristemente nella storia della medicina sin dagli inizi del XX secolo, e prova compassione per i suoi discendenti. Avranno cambiato cognome? Più va avanti nella lettura, più si rende conto di non sapere niente di questa malattia. L’unica certezza definitiva arriverà troppo tardi, con l’autopsia del cervello malato. Per ora il solo modo per avvicinarla è l’analisi dettagliata dei comportamenti. La loro vita quotidiana diventa un catalogo di sintomi.

Lei trova degli articoli i cui autori, per apparire fantasiosi o divertenti, cercano di rappresentare il mondo in cui vivono questi malati. Li immaginano come abitanti di un pianeta sconosciuto del tutto privo dei consueti punti di riferimento. Con grande empatia questi autori concludono che al loro posto sarebbero altrettanto smarriti. Falso, dice lei, pensando a Stefan Zweig e alla sua Novella degli scacchi in cui il protagonista, simulando delle partite a scacchi, sopravvive a una reclusione esacerbata da una totale deprivazione sensoriale. Finché il nostro cervello rimane intatto, diamo prova di una certa capacità di adattamento a situazioni impreviste e straordinarie, benché ostili. E lui a che gioco sta giocando? si chiede mentre lo guarda vagabondare attraverso quel simulacro di vita che lei sta tentando di tenere in piedi. Continua a cercare in internet, ma lei non appartiene alla generazione di quelli che si accontentano di dialogare con lo schermo di un computer. Sente il bisogno del contatto diretto con le persone. Le piacerebbe sedersi su un banco di scuola, sui gradini di un anfiteatro, prendere appunti, tornare a essere anche solo per un istante l’alunna diligente che è sempre stata. Ascoltare la voce di un insegnante aprirebbe una breccia nel muro d’angoscia che la opprime continuamente, garantirebbe una boccata d’aria a questa coppia fusionale che adesso è la loro e che la soffoca. Deve assolutamente uscire da quella ragnatela che la tiene prigioniera.

Una brochure della Cité des Sciences alla Villette parla di visite aperte al pubblico, della possibilità di incontrare dei medici disposti a rispondere a ogni tipo di domanda riguardante la salute. Proprio ciò che fa al caso suo. In compagnia di un’amica, finalmente potrà sentire qualcosa di nuovo, di vero, di vissuto.

È una domenica pomeriggio piuttosto tranquilla. Interrompono il riposino di un medico volontario, che con poche ore spese li dà un senso alla sua vita di pensionato. Lei declina la sua nuova identità, «demenza da corpi di Lewy». Svegliato da questo suono barbaro, ha un sussulto. «Che cos’è? Può scrivermelo su un pezzo di carta?»

«Non saprei» risponde lei con garbo «si figuri che non so nemmeno se si scrive con la v o la w, con la y o la i».

L’esperto sparisce dietro gli scaffali e dopo un’attesa interminabile torna, portando a mo’ di trofeo un vecchio tomone con la copertina sinistra e sciupata. È un po’ come se la persona cui un viaggiatore smarrito si rivolge per chiedere informazioni gli mettesse in mano un GPS che non sa neppure accendere. Grazie dottore, ma se si tratta di leggere posso farlo da me. Fortuna che l’amica presente può testimoniare, altrimenti la scena sembrerebbe inventata.