Quanto conta la nutrizione nel bambino?

Carlo Catassi1, Simona Gatti1

How much nutrition matters for children.

Summary. Overweight/obesity is a growing epidemic in the Western world and a leading cause of morbidity and mortality, mainly from cardiovascular disease. Doctors are going to play a major role as they are being called on to adapt their practices to confront it. In particular, nutrition seems to be at the core of obesity in children. The ascending trend of this phenomenon in pediatric age, with inherent healthcare implications, was already reported in epidemiological studies of the mid ’90s. Public health programs of primary prevention should be stimulated and recommended, with the aim of promoting diet and lifestyle changes in the general population. In addition, accurate anthropometric measurements should be performed for use by pediatricians, who should focus efforts on preventing obesity during infancy and childhood. Nutrition plays such a pivotal role that it may be considered a valuable treatment strategy for multiple pediatric conditions, including celiac disease, Crohn’s disease, short bowel syndrome, galactosemia, congenital deficiency of urea cycle enzymes. In view of all this, it would be advisable that food science be given higher relevance in medical education.

Non si può che condividere quanto afferma Fiona Godlee, editor-in-chief del British Medical Journal, in un recente editoriale dal titolo “Nutrition matters” (“La nutrizione conta”)1. L’autrice sottolinea come l’obesità rappresenti un problema dilagante nelle società occidentali, causa primaria di un carico impressionante di morbilità e mortalità, soprattutto cardiovascolare. Nella battaglia contro l’obesità – sottolinea Fiona Godlee – il medico è chiamato a svolgere un triplice compito, cioè quello di supportare i pazienti a livello individuale, di rappresentare un esempio con il proprio comportamento e quello di agire a livello societario indicando quali siano gli aspetti di uno stile di vita salutare, particolarmente di tipo dietetico, tali da contrastare il fenomeno obesità.

Come pediatra ritengo opportuno rilevare che nutrition matters anche, e soprattutto, nella fascia dell’età evolutiva. In riferimento al problema dell’obesità infantile, dati epidemiologici raccolti già oltre 20 anni fa ammonivano come, a partire dal secondo dopoguerra del secolo scorso, si fosse registrato un aumento esponenziale del sovrappeso/obesità in età pediatrica nel nostro Paese, analogamente a quanto osservato in molte altre aree del mondo2. Le statistiche più recenti ci dicono che, considerando sovrappeso i bambini con body mass index (BMI) superiore all’85° centile e obesi quelli con BMI superiore al 95° centile per genere ed età, il 24% dei bambini italiani in età scolare è sovrappeso e il 12% francamente obeso, con un gradiente incrementale dal Nord al Sud del Paese3. Il bambino obeso non è il “ritratto della salute”, come recitava un luogo comune del passato, ma è un soggetto con importanti problemi sanitari sia immediati, quali per es. la resistenza insulinica, l’ipertensione arteriosa, le patologie ortopediche e il disagio psico-sociale, sia tardivi, a causa del “tracking” (persistenza) dell’adiposità dall’età pediatrica a quella adulta4.

Il pediatra ha il dovere di sorvegliare i parametri antropometrici del bambino, di porre una corretta diagnosi delle pur rare forme di obesità secondaria (per es., di origine genetica come la sindrome di Prader-Willi) e di trattare, con adeguate misure dietetiche e di stile di vita, i casi di obesità conclamata. In tal senso, tuttavia, la personale esperienza pluri-decennale, maturata nell’ambulatorio dell’obesità infantile, insegna che il ruolo del medico è, ahimè, modesto, a causa della difficoltà di intervenire al cuore del problema, cioè l’ambiente socio-familiare nel quale il problema obesità si è sviluppato.

Molto più efficace può essere un intervento societario di prevenzione primaria, il cui obiettivo, come ci ha insegnato ormai molti anni fa l’epidemiologo inglese Geoffrey Rose5, sia quello non già di agire esclusivamente sulla “coda” della curva gaussiana (i soggetti obesi), ma su tutta la popolazione, affinché la distribuzione del parametro, l’adiposità in questo caso, si “ridimensioni” nell’insieme. Tale intervento dovrebbe essere mirato alla promozione di comportamenti alimentari salutari, ma soprattutto a incrementare l’attività fisica del bambino. È ben noto, infatti, che la sedentarietà dello stile di vita, causando una cronica riduzione del fabbisogno energetico, rappresenta il principale fattore ambientale responsabile della moderna epidemia di sovrappeso. Tra l’altro l’attività fisica esercita numerosi effetti positivi, oltre a quello sul peso, per es. sulla pressione arteriosa, sul profilo lipidemico e sul benessere psicologico del bambino6. Ma allora viene spontaneo chiedersi quale ruolo possa giocare il medico nel guidare questo cambiamento. La società moderna sembra, infatti, andare in tutt’altra direzione, poiché stimola i comportamenti sedentari (si consideri, per es., la diffusione dei videogiochi e della televisione), non mette, almeno nel nostro Paese, alcun freno alla pubblicità televisiva di prodotti alimentari a elevata densità calorica e di basso valore nutrizionale, non regolamenta adeguatamente la creazione di spazi verdi sicuri dove i bambini possano giocare all’aria aperta, non costruisce le piste ciclabili, solo per fare alcuni esempi. Se vogliamo contrastare il fenomeno dilagante dell’obesità, occorre dunque una inversione di rotta, guidata dai nostri policy e decision maker, prima ancora che dai medici.




La “nutrizione conta” nel bambino non solo per i problemi legati all’ipernutrizione, cui si è accennato in precedenza, ma anche per la persistenza, tutt’altro che rara, di stati di carenze nutrizionali generalizzate o selettive. Su questi aspetti, non sempre adeguatamente messi in evidenza dalla letteratura scientifica, ci soffermeremo brevemente di seguito.

Vengono alla mente alcuni casi tratti dall’esperienza clinica personale degli ultimi mesi:

• bambino di 10 mesi ricoverato in ospedale per scarsa crescita, anemia e ritardo dello sviluppo neuro-motorio. L’anamnesi rivela che il bambino è esclusivamente allattato al seno da una mamma italiana che da anni pratica una dieta vegana. Le indagini dimostrano che la malattia del bambino era riferibile a un grave deficit della vitamina B12, quest’ultima secondaria alla carenza dietetica materna;

• bambino di 6 mesi ricoverato per ipocalcemia sintomatica. La mamma, di origine bulgara, nutriva il bambino, per motivi di indigenza, esclusivamente con yogurt sin dalla nascita, con conseguente sviluppo di grave quadro carenziale di vitamina D;

• adolescente di origine somala, giunge alla nostra osservazione per gravi difficoltà alla deambulazione che persistevano da anni. Una recente valutazione clinico-strumentale, praticata in ambiente neurologico, era risultata normale. L’esame clinico evidenzia una situazione di tetania latente, con grave ipocalcemia e livelli ematici di vitamina D molto bassi. Il quadro è riferibile a una forma di rachitismo da carenza di vitamina D secondaria a deficit di esposizione solare, situazione di non raro riscontro nei bambini di pelle scura nei quali l’attivazione solare del precursore cutaneo della vitamina D3 risulti scarsa alle nostre latitudini, a causa dell’azione-filtro esercitata dall’elevata concentrazione di melanina cutanea;

• bambino di origine africana ricoverato per arresto di crescita durante il secondo anno di vita. Il quadro di malnutrizione proteico-calorica viene infine attribuito a deficit protratto nell’apporto calorico in un soggetto che, ancora per motivi di indigenza familiare, veniva alimentato quasi esclusivamente con modeste quantità di latte materno.

Gli esempi citati testimoniano che il problema della malnutrizione per difetto nel bambino, lungi dall’essere scomparso nel nostro Paese, è di estrema attualità, particolarmente nella fascia di popolazione di livello socio-economico inferiore e nel bambino immigrato.

Infine, la nutrizione conta a tal punto da rappresentare una strategia terapeutica primaria in una lunga lista di malattie pediatriche. In ambito gastroenterologico si pensi non solo alla celiachia, patologia di rilevanza sociale che colpisce circa l’1% della popolazione generale7, ma anche alla malattia di Crohn, in aumento nel bambino, nella quale la nutrizione enterale esclusiva permette di minimizzare l’uso degli steroidi8, e alla sindrome dell’intestino corto, nella quale la possibilità di impiegare formule polimeriche e/o elementari rappresenta, durante la lunga fase dell’adattamento intestinale, un provvedimento salva-vita. Al di fuori dell’intestino, tra le tante malattie che richiedono un supporto nutrizionale specifico giova ricordare soprattutto alcune malattie metaboliche quali la galattosemia e i deficit enzimatici congeniti del ciclo dell’urea, patologie nelle quali solo una pronta diagnosi e terapia nutrizionale possono scongiurare complicanze catastrofiche. Il tema è di scottante attualità nel nostro Paese, poiché proprio in questi tempi si stanno estendendo a tappeto, grazie alla disponibilità di moderne tecnologie quali la spettrometria di massa, i programmi di screening neonatale allargato alle malattie metaboliche ereditarie9.

Al termine di questa rapida disamina una domanda sorge spontanea. Se la nutrizione conta così tanto, nel bambino come nell’adulto, non sarebbe opportuno che la scienza dell’alimentazione ricevesse una maggiore attenzione nell’ambito della formazione medica universitaria, visto che attualmente non figura nel piano di studio della maggior parte degli atenei italiani? Per l’autore di questa nota, la risposta, lo si è capito, è fortemente affermativa.

Bibliografia

1. Godlee F. Nutrition matters. BMJ 2014; 349: g7255.

2. Giorgi PL, Catassi C. Il bambino obeso. Cause, percorso e trattamento dell’obesità in età evolutiva. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 1993.

3. Binkin N, Fontana G, Lamberti A, et al. A national survey of the prevalence of childhood overweight and obesity in Italy. Obes Rev 2010; 11: 2-10.

4. Shashai B, Graziani MP, Tozzi AE, Marco M. Obesità e rischio cardiovascolare in età pediatrica. Recenti Prog Med 2014; 105: 454-6.

5. Rose G. The strategy of preventive medicine. Oxford (UK): Oxford University Press, 1992.

6. Cesa CC, Sbruzzi G, Ribeiro RA, et al. Physical activity and cardiovascular risk factors in children: meta-analysis of randomized clinical trials. Prev Med 2014; 69C: 54-62.

7. Fasano A, Catassi C. Clinical practice: celiac disease. N Engl J Med 2012; 367: 2419-26.

8. Critch J, Day AS, Otley A, et al. Use of enteral nutrition for the control of intestinal inflammation in pediatric Crohn disease. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2012; 54: 298-305.

9. Mak CM, Lee HC, Chan AY, et al. Inborn errors of metabolism and expanded newborn screening: review and update. Crit Rev Clin Lab Sci 2013; 50: 142-62.