Medicina e letteratura: un’antologia

Da: Nel mondo a venire
di Ben Lerner

Palermo: Sellerio, 2015

Il linguaggio dei quadri degli studi medici

Aveva raccontato la storia così tante volte che cominciavano a insinuarvisi lievi variazioni. Non riusciva a ricordare la sequenza esatta degli eventi. Ad esempio, aveva trovato un messaggio in segreteria il giorno dopo le estrazioni che diceva di chiamare il dentista appena possibile, o quel pomeriggio aveva risposto lui stesso a una telefonata diretta del dentista? Comunque fosse, il giorno dopo l’intervento, una settimana prima della visita di controllo programmata, era in piedi davanti alla finestra, fissando l’orologio della torre di Hanson Place col cellulare all’orecchio, ad ascoltare il dentista che gli diceva che dalla radiografia sembrava ci fosse un problema. «Dalla radiografia sembra che ci sia un problema», ripeté lui con la bocca dolorante. Il dentista disse che riguardando casualmente la lastra aveva visto una zona che lo preoccupava. «È preoccupato per i miei denti», ribadì l’autore. «Vorrei che si facesse vedere da un neurologo», rispose il dentista. Ci fu una netta pausa prima che aggiungesse: «Ma non sarà niente di grave, credo». Nella sala d’attesa del primo neurologo c’era il poster della colomba di Picasso, nel laboratorio dove lo mandarono per gli esami del sangue degli acquerelli di tramonti su Manhattan, nella stanza dove aspettò di fare la TAC e la risonanza magnetica, delle fotografie di orchidee. Alla fine entrò nello studio del dottor Walsh, famoso nel suo campo. Capelli d’argento, occhiali senza montatura, una cravatta viola sotto il camice bianco. Sorrideva sempre, o quantomeno aveva gli angoli della bocca rivolti leggermente all’insù, perché gli occhi azzurri erano socchiusi in una perenne smorfia che gli permetteva di esprimere una sorta di ottimistica concentrazione senza dare l’idea di una positività condiscendente. Quando il dottor Walsh gli riferì i risultati degli esami, l’autore stava guardando la stampa di un dipinto che raffigurava una spiaggia: due sedie di legno bianco rivolte verso il mare, una piccola barca a vela a metà strada fra la riva e l’orizzonte. Aveva una «massa», altrimenti detta meningioma, situata nel seno cavernoso; appariva benigna. «Chi sceglie questi quadri?», avrebbe voluto chiedere l’autore. «I quadri?». Il dottor Walsh avrebbe stretto ancora di più gli occhi. «La sceglie lei questa roba o l’ospedale la compra in blocco? Da dove viene?». Il dottor Walsh avrebbe ruotato la poltrona girevole per guardare l’immagine che l’autore stava fissando, poi si sarebbe voltato di nuovo verso di lui, ma senza parlare. «Capisco il desiderio di avere delle decorazioni che indichino che questa non è solo una stanza d’ospedale, che il paziente non è solo un corpo affetto da una patologia, che qui non siamo solo nel regno della scienza. Capisco che l’unico criterio che lei o l’ospedale probabilmente avete per scegliere un’immagine adatta sia che risulti inoffensiva: se non proprio in grado di calmare, quantomeno di non agitare. In teoria, il quadro deve dimostrare che lei non è né una macchina né un eccentrico, perché allude a modalità culturali consolidate, al genere della pittura e alla sua forma più convenzionale. Sono rappresentazioni dell’arte, non sono arte».




«Questo studio lo usano tre diversi medici dell’ospedale», avrebbe forse risposto il dottor Walsh, sistemandosi la fede nuziale. «Cerchiamo di non perdere il filo», avrebbe detto Liza se fosse stata presente, posandogli una mano sulla spalla. «Ma il problema, uno dei problemi» – col freddo che gli si spandeva dentro, come quando gli avevano iniettato il mezzo di contrasto – «è che queste immagini si rivolgono solo ai malati, ai pazienti. Sarebbe assurdo immaginare che un medico si soffermi a guardare una di queste immagini fra un appuntamento e l’altro, che gli suscitino dell’interesse o qualche forma di coinvolgimento emotivo, che influenzino la sua giornata o cose del genere. A parte il loro deprimente piattume, la loro intercambiabilità, quello che intendo è questo: non possiamo guardarle insieme. Contribuiscono a consolidare, ad approfondire, la distanza che c’è fra noi, perché si rivolgono solo ai malati, guardano solo i destinatari della diagnosi». Invece aveva chiesto, con un tremore nella voce: «È una cosa da cui si guarisce?». «È possibilissimo che il tumore non cresca mai e che resti asintomatico», spiegò il dottor Walsh. «È operabile?», chiese l’autore, quasi automaticamente. «Può provare a sentire un chirurgo, ma non credo. No». Il dottor Walsh si alzò in piedi, si avvicinò alla parete, posò una radiografia sul diafanoscopio e lo accese. «Vista la posizione della neoplasia, credo sia da escludere». «E quindi cosa faccio?». Non trovava la forza di raggiungere il dottor Walsh davanti al diafanoscopio, non voleva guardare il proprio cranio in sezione. «Be’, in realtà per il momento non facciamo niente». Il dottor Walsh tornò a sedersi. «Se non monitorarla con attenzione. Se e quando si presenteranno dei sintomi, studieremo una strategia». Mal di testa, disordini della parola, debolezza, disturbi visivi, nausea, insensibilità, paralisi. Prosopagnosia, pareidolia. Il cielo sempre più morbido riflesso nell’acqua. Argento, ma trasformato in oro rosato da quella luce. La sensazione momentanea di aver viaggiato all’indietro nel tempo.