La medicina di precisione tra laboratorio e clinica in oncologia

Nicola Normanno1

Precision medicine from experimental to clinical applications in oncology.

Summary. Our understanding of the mechanisms of cancer development and progression has improved with the application of novel techniques that allow a comprehensive molecular tumour profiling. The application of discoveries and technologies from translational research to the clinical setting has facilitated the identification of novel drug targets and treatment strategies. The term “precision medicine” refers to the application of patient-specific genetic information (germline and somatic) to select the optimal treatment for individual patients with the goal of improved therapeutic efficacy and reduced toxicity. It involves the use of biomarkers that provide unique patient- and tumour-specific molecular information. There has been a growing interest in cancer diagnostics using circulating tumour DNA as a source for tumour biomarkers. Liquid biopsy is less invasive than tumour biopsy, offering the potential to mirror the genetic diversity within a tumour, also enabling longitudinal measurements to monitor genetic changes in a tumour over time, avoiding re-biopsies. The use and improvement of these technologies will continue to advance the field of precision medicine by putting their application into standard clinical practice.

Introduzione

L’impiego delle nuove tecnologie di analisi molecolare dei tumori, che consentono di ottenere in una singola analisi un profilo molecolare pressoché completo della neoplasia di ogni singolo paziente, ha permesso nel tempo l’identificazione di nuovi bersagli molecolari e di nuove strategie di trattamento antitumorale. Queste nuove applicazioni aprono il campo all’era della medicina di precisione che, allo stato attuale delle conoscenze, è un obiettivo perseguibile soprattutto nella malattia metastatica. La medicina di precisione consiste nell’applicare specifiche informazioni sulla genetica, sul profilo molecolare e sulle caratteristiche delle cellule tumorali alla pratica clinica, con conseguente possibilità di selezionare per ogni singolo paziente il trattamento che sia in grado di migliorare gli outcome di sopravvivenza con la minore tossicità. Nel corso degli anni, lo standard di cura per molti pazienti con tumori in fase metastatica si è evoluto da un trattamento empirico, ritenuto valido per la maggior parte di essi sulla base della sola istologia, verso un trattamento mirato su bersagli specifici individuati attraverso lo studio delle alterazioni genetico-molecolari del tumore. Le evidenze precliniche e cliniche hanno permesso la conduzione di trial clinici di fase III che hanno incorporato alcuni di questi nuovi approcci personalizzati nella pratica clinica quotidiana, determinando in alcuni casi benefici significativi in termini di sopravvivenza. Nel corso dell’ultima European Cancer Conference, tenutasi a Vienna nel settembre 2015, si è parlato molto di medicina di precisione e delle nuove tecniche diagnostiche che nel prossimo futuro aiuteranno a rendere i trattamenti oncologici sempre più personalizzati, attraverso una conoscenza dinamica e sempre più approfondita del profilo molecolare del tumore.

I biomarcatori prognostici e predittivi nell’era della medicina di precisione

Il termine “biomarcatore” viene generalmente utilizzato per indicare un’alterazione molecolare specifica del tumore che ha un significato prognostico o predittivo1. Un biomarcatore è prognostico quando è in grado di fornire informazioni sull’andamento della malattia indipendentemente dalle terapie che il paziente riceve. I fattori predittivi forniscono invece informazioni sull’attività di specifiche terapie e consentono, quindi, di stratificare i pazienti in base alla loro probabilità o meno di rispondere a un determinato agente terapeutico.

L’importanza dei biomarcatori in oncologia, e in particolare per lo sviluppo della medicina di precisione, è stata solo recentemente riconosciuta. Infatti, i primi studi condotti con farmaci a bersaglio molecolare avevano arruolato popolazioni non selezionate di pazienti. Il fallimento di questi studi ha fatto comprendere l’importanza della selezione su base molecolare: i farmaci a bersaglio molecolare agiscono su specifici meccanismi ed è indispensabile accertare prima del trattamento se il tumore del singolo paziente dipenda per la sua crescita dal meccanismo molecolare che il farmaco inibisce.

Esistono due tipologie di biomarcatori predittivi. Alcuni fattori consentono di selezionare i pazienti che hanno elevata probabilità di risposta alla terapia (selezione positiva) e in genere corrispondono ad alterazioni molecolari che determinano l’attivazione costitutiva del bersaglio molecolare del farmaco. Esempi di questi biomarcatori sono le mutazioni attivanti del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR) e la traslocazione del gene ALK nel carcinoma polmonare a piccole cellule (NSCLC), e le mutazioni di BRAF nel melanoma che predicono sensibilità ai rispettivi inibitori. Altri biomarcatori sono invece in grado di individuare i pazienti che hanno una elevata probabilità di non rispondere a una determinata terapia (selezione negativa). In questo caso il biomarcatore corrisponde in genere a un meccanismo di resistenza specifico per un farmaco o, molto più spesso, per una classe di farmaci. Un esempio di biomarcatore predittivo negativo è rappresentato dalle mutazioni dei geni KRAS e NRAS nel carcinoma del colon-retto (CRC) metastatico.

Lo sviluppo degli anticorpi monoclonali anti-EGFR nel CRC rappresenta un chiaro esempio di come l’impiego di biomarcatori abbia migliorato in maniera significativa l’efficacia clinica dei farmaci a bersaglio molecolare. Infatti, i primi studi randomizzati condotti in popolazioni non selezionate di pazienti con CRC metastatico avevano evidenziato un vantaggio marginale per i pazienti che avevano ricevuto il farmaco anti-EGFR in combinazione con la chemioterapia rispetto alla sola chemioterapia2. Successivamente, studi su casistiche indipendenti hanno individuato nelle mutazioni dell’esone 2 di KRAS un potenziale meccanismo di resistenza agli agenti anti-EGFR. L’analisi retrospettiva degli studi di fase III con anticorpi anti-EGFR ha confermato che le mutazioni di KRAS rappresentano un biomarcatore predittivo negativo. In particolare, queste analisi hanno evidenziato un significativo vantaggio in termini di sopravvivenza libera da malattia per i soli pazienti che non hanno mutazioni di KRAS. Più recentemente, altri studi hanno dimostrato che anche mutazioni più rare degli esoni 3 e 4 di KRAS e degli esoni 2, 3 e 4 di NRAS sono associate a resistenza agli anticorpi monoclonali anti-EGFR. Un aspetto importante da sottolineare è che nei pazienti con mutazioni di RAS, il trattamento con farmaci anti-EGFR in combinazione con regimi contenenti oxaliplatino risulta in un effetto detrimentale, con riduzione della sopravvivenza rispetto alla somministrazione della sola chemioterapia. Questo dato sottolinea l’importanza di una corretta determinazione dei biomarcatori nella pratica clinica, al fine di garantire al paziente la migliore scelta terapeutica in base alle caratteristiche molecolari della sua neoplasia.

Alcuni biomarcatori hanno un significato sia prognostico che predittivo, ma i due aspetti possono essere distinti. Inoltre, uno stesso biomarcatore può avere un significato diverso in differenti neoplasie, probabilmente a causa del differente contesto genetico-molecolare. Ad esempio, le mutazioni V600 di BRAF sono predittive di risposta a inibitori di BRAF nel melanoma metastatico, ma non nel CRC3. Tuttavia, la mutazione V600E di BRAF è un forte fattore prognostico negativo in pazienti con CRC metastatico. L’eventuale ruolo predittivo negativo delle mutazioni di BRAF per le terapie anti-EGFR è stato affrontato in diversi studi. I risultati degli studi clinici randomizzati di fase III, in cui i pazienti sono stati trattati con farmaci anti-EGFR in combinazione con regimi di polichemioterapia, non hanno individuato nelle mutazioni di BRAF un fattore predittivo negativo4. Tuttavia, questi pazienti sono generalmente resistenti alla chemioterapia standard e, se le condizioni cliniche lo consentono, ricevono regimi chemioterapici intesivi. Per questo motivo, le società scientifiche raccomandano nei pazienti con CRC metastatico la determinazione delle mutazioni di KRAS e NRAS a scopo predittivo e delle mutazioni di BRAF a scopo prognostico5.

Prospettive nella caratterizzazione molecolare dei tumori: la biopsia liquida

La biopsia tissutale è l’unica metodica che consente di effettuare la diagnosi istologica di tumore. Il materiale ottenuto con le biopsie, più spesso dal tumore primitivo e meno frequentemente da una metastasi a distanza, viene utilizzato anche per la caratterizzazione molecolare del tumore, che tuttavia è espressione di un singolo momento “biologico” della malattia, precedente all’inizio del trattamento. In virtù dell’eterogeneità tumorale, il materiale ottenuto al tempo zero potrebbe non fornire una reale rappresentazione del profilo molecolare della malattia, sebbene ad oggi non esistano evidenze di una modifica del profilo molecolare della neoplasia in assenza di terapia sistemica. Inoltre, il campione bioptico può a volte risultare inadeguato dal punto di vista qualitativo e/o quantitativo per l’analisi molecolare. In questi casi, è richiesta la ripetizione della biopsia che può tuttavia presentare problematiche legate alla difficoltà di raggiungere la sede tumorale, al dolore procedurale, al tempo necessario all’ottenimento dei risultati, alla percentuale di falsi negativi, ai costi e al rischio di complicanze legate alla metodica.




La biopsia liquida, in un prossimo futuro, potrebbe rappresentare un approccio innovativo importante per l’identificazione di biomarcatori in oncologia6. Con questo termine ci si riferisce alla possibilità di effettuare un’analisi del profilo mutazionale del tumore utilizzando acidi nucleici e in particolare DNA tumorale che può essere isolato dal sangue periferico. Ci sono due possibili fonti di DNA tumorale nel sangue dei pazienti neoplastici, ovvero le cellule tumorali circolanti (CTC) e il DNA tumorale circolante (ctDNA) che può essere isolato dal plasma dei pazienti. Sebbene entrambi questi approcci siano stati esplorati, al momento solo l’impiego del ctDNA appare pronto per l’utilizzo nella pratica clinica. Infatti, l’utilizzo del ctDNA per l’analisi mutazionale è stato di fatto sdoganato dall’European Medicine Agency (EMA) che da circa un anno ne ha approvato l’impiego per l’analisi mutazionale di EGFR in pazienti con NSCLC metastatico.

Sebbene già quindi impiegata nella pratica clinica, numerose problematiche legate alla biopsia liquida necessitano ancora di ulteriore chiarimento. Numerosi studi hanno dimostrato che il ctDNA rappresenta solo una piccola frazione del DNA che può essere estratto dal plasma, e questo fattore determina la necessità di metodiche adeguate sia per l’isolamento del ctDNA sia per la sua analisi. In particolare, tecniche di analisi mutazionale a elevata sensibilità sono indispensabili per poter individuare mutazioni somatiche nel plasma di pazienti neoplastici al fine di evitare possibili falsi negativi. D’altro canto, l’impiego di tecniche a elevata sensibilità può facilmente determinare l’occorrenza di falsi positivi, se la metodica non è condotta in laboratori con elevato livello di specializzazione e con un’adeguata organizzazione anche strutturale. A tale riguardo, l’assenza di idonei programmi di controllo di qualità per la certificazione dei laboratori rende difficile al momento per l’oncologo l’individuazione di centri di riferimento in grado di fornire un risultato affidabile.

Nonostante l’esistenza di tali problematiche, dobbiamo sottolineare che la biopsia liquida ha enormi potenzialità in oncologia. Una delle applicazioni più interessanti di questa metodica è rappresentata dalla possibilità di monitorare l’evoluzione molecolare della neoplasia. Diverse evidenze sperimentali suggeriscono che il profilo molecolare delle neoplasie può andare incontro a significative modificazioni in seguito a terapie sistemiche, soprattutto se farmaci a bersaglio molecolare vengono somministrati al paziente. Queste terapie producono infatti la selezione di cloni caratterizzati da meccanismi di resistenza agli agenti impiegati. Per esempio, utilizzando proprio la biopsia liquida è stato dimostrato che pazienti con CRC RAS wild-type, in seguito a trattamento con anticorpi monoclonali anti-EGFR, sviluppano mutazioni nei geni RAS. Alterazioni molecolari in altri geni potenzialmente coinvolti nella resistenza ai farmaci anti-EGFR sono state anche dimostrate in questi pazienti7-12. Pertanto, questi risultati, seppur preliminari, sembrano indicare che l’analisi della biopsia liquida possa effettivamente consentire di individuare i meccanismi che portano il tumore a sviluppare resistenza ai farmaci a bersaglio molecolare. Queste osservazioni aprono anche alla possibilità di impiegare farmaci specifici diretti contro le alterazioni molecolari responsabili della resistenza e quindi della progressione tumorale. Lo studio dinamico dell’eterogeneità molecolare mediante biopsia liquida potrebbe anche aiutare a evidenziare quei pazienti che potrebbero aver beneficio da un eventuale rechallenge con gli anticorpi anti-EGFR nel carcinoma del colon-retto. Questo tipo di approccio attualmente è del tutto empirico, e andrebbe comunque suffragato da una nuova biopsia precedente al rechallenge, con conseguente nuova analisi molecolare dei geni RAS. Con questo preciso razionale sta per partire uno studio randomizzato di fase II (FIRE-4), che prevede la possibilità di sfruttare le potenzialità della biopsia liquida in questo contesto.

Per i pazienti con tumore del colon-retto è in fase di sviluppo un kit diagnostico che, in futuro, permetterà di determinare la presenza di mutazioni RAS analizzando il ctDNA. Sulla concordanza rispetto al dato ottenuto con le classiche biopsie tissutali sono stati recentemente presentati alcuni dati. Su 31 pazienti con carcinoma del colon-retto metastatico il test effettuato sulla biopsia liquida ha raggiunto una concordanza del 95,5% rispetto ai risultati ottenuti sul tessuto tumorale13. Questo dato è stato confermato anche in un’altra coorte di 68 pazienti (95,6% di concordanza assoluta rispetto alla biopsia)14. Nel complesso, si tratta comunque di dati raccolti su piccole casistiche e che perciò necessitano di ampia validazione prima di poter essere considerati rilevanti dal punto di vista clinico.

Conclusioni

L’impiego della biopsia liquida, e in particolare l’analisi del ctDNA, rappresenta un’interessante prospettiva per migliorare le possibilità sia di diagnostica sia di monitoraggio molecolare dei pazienti con CRC metastatico, sebbene studi su più ampie casistiche siano necessari per poterne confermare la possibilità di impiego clinico.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

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