Partorire in Italia è un atto “chirurgico”

Marina Davoli, Paola Colais, Danilo Fusco

Dipartimento di Epidemiologia del SSR ASL Roma 1 - Regione Lazio, Roma.

Pervenuto su invito il 28 ottobre 2016.

Riassunto. In Italia il ricorso al taglio cesareo ha raggiunto livelli allarmanti: coinvolge infatti più di una donna su 3, rispetto a una donna su 5 in Svezia e Finlandia. Vi è inoltre una notevole variabilità tra le diverse regioni e le diverse strutture ospedaliere con evidenti disuguaglianze di accesso agli interventi appropriati. È da sottolineare, sebbene la proporzione di cesarei sia mediamente più alta al Sud, che l’eterogeneità tra ospedali è molto più ampia dell’eterogeneità tra regioni, a testimonianza del fatto che le caratteristiche organizzative e professionali dei singoli provider condizionano fortemente tale fenomeno. Si conclude che in Italia il ricorso al taglio cesareo è fortemente condizionato dalle particolarità strutturali, organizzative e professionali dell’offerta di servizi sanitari piuttosto che dalle condizioni di salute della donna e dalle caratteristiche della gravidanza.

Give birth in Italy is a “surgical” procedure.

Summary. In Italy, the use of caesarean section has reached alarming levels: it involves more than one woman in three, as compared to one woman in five in Sweden and Finland. There is also considerable variability between different regions and different hospitals with clear heterogeneous access to appropriate interventions. In particular, although cesarean section rates are generally higher in the south, the heterogeneity between hospitals is much wider than the heterogeneity between regions, showing that the organizational and professional characteristics of individual providers strongly influence this phenomenon. In conclusion, in Italy structural peculiarities, organizational and professional supply of health services seem to influence the use of caesarean section more strongly than women’s health conditions and pregnancy characteristics.

In Italia il ricorso al taglio cesareo ha raggiunto livelli allarmanti, sia per il numero di interventi effettuati, più di una donna italiana su 3 partorisce con taglio cesareo, rispetto a una donna su 5 in Svezia e Finlandia, sia per la variabilità rilevata tra le diverse regioni e strutture ospedaliere italiane1. Questa variabilità sembra essere un indizio importante di comportamenti clinico-assistenziali non appropriati, riconducibile a molteplici fattori indipendenti dalle condizioni di necessità clinica: carenze strutturali e organizzative, aspetti culturali che assimilano il taglio cesareo a una modalità elettiva di nascita, ecc.

«Il taglio cesareo è efficace nel ridurre la mortalità materno-infantile solo se eseguito in base a una specifica indicazione», cita la più recente dichiarazione in merito fatta dall’OMS2. Le stesse linee guida prodotte dal Sistema Nazionale Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità sottolineano che «non ci sono prove che il taglio cesareo, in assenza di situazioni cliniche che ne giustifichino l’esecuzione, sia più sicuro per la salute della mamma e del neonato rispetto al parto vaginale. Occorre infatti ricordare che il taglio cesareo è un intervento chirurgico e solo in caso di appropriata indicazione medica è in grado di garantire benefici superiori ai potenziali rischi che inevitabilmente comporta»3.

Il Programma Nazionale Esiti (PNE)4, sviluppato da Agenas per conto del Ministero della Salute, ha l’obiettivo di valutare gli esiti degli interventi sanitari. È uno strumento a supporto di programmi di auditing clinico e organizzativo finalizzati al miglioramento dell’efficacia e dell’equità nel SSN. Tra gli indicatori di qualità previsti dal PNE sono presenti, a partire dal 2009, i volumi di parti e le proporzioni di parto con taglio cesareo primario, definito come “parto cesareo in donne che non hanno subito un precedente cesareo”. Nell’ultima edizione di PNE in corso di pubblicazione è stata introdotta anche “la proporzione di parto vaginale dopo precedente taglio cesareo”.

Le proporzioni di parti con taglio cesareo primario sono calcolate tenendo conto della differente distribuzione dei fattori di rischio per cesareo delle donne e del feto5-7. Le misure utilizzate in PNE sono infatti “aggiustate”8,9; in altre parole rispondono alla domanda: che proporzione di parti cesarei avrebbe una determinata struttura o ASL, se tutte le donne avessero gli stessi fattori di rischio?

Per una migliore interpretazione dei risultati viene documentata dal PNE anche la distribuzione per volumi annui di attività di parto. Volumi di attività inferiori a 500 parti all’anno, in relazione alle consolidate prove scientifiche disponibili, non garantiscono adeguati livelli di efficacia e sicurezza dell’assistenza perinatale ed espongono a un elevato rischio di eventi avversi. Complessivamente si evidenzia come nel 2015 siano ancora operanti oltre 100 maternità con meno di 500 parti all’anno, concentrate nelle regioni meridionali.

È cambiato qualcosa nel tempo?




In Italia si è osservata una lieve diminuzione della proporzione di parti cesarei negli ultimi anni che è passata dal 38,5% nel 2008 al 35,1% nel 2015 in donne residenti in Italia, con età compresa tra 11 e 55 anni. Lo stesso andamento si è osservato nelle donne senza pregresso cesareo; la proporzione è del 25,1% nel 2015 rispetto al 29,1% nel 2008. Solo l’8% delle donne con pregresso cesareo partorisce con parto vaginale nel 2015, mentre erano il 5% nel 2008. Il dato nazionale è fortemente distorto dalla estrema variabilità intra- e interregionale, come si osserva nella figura 1 in cui, per ciascuna regione, i rettangoli rappresentano le proporzioni di cesarei primari osservate nel 50% delle strutture regionali e sono divisi al loro interno da una linea che rappresenta il valore mediano. I segmenti che partono dai rettangoli sono delimitati dal valore minimo e massimo assunto dalle strutture ospedaliere nelle regioni, mentre il quadratino interno rappresenta la media regionale.

A parità di fattori di rischio per il cesareo, a fronte di una media nazionale del 25%, quasi tutte le strutture delle regioni del Nord garantiscono proporzioni di cesareo primario inferiore al 20%, mentre in regioni come la Campania una donna su due senza pregresso cesareo partorisce con parto cesareo.

È necessario evidenziare come l’eterogeneità tra ospedali sia molto più ampia dell’eterogeneità osservata tra regioni, sottolineando come le caratteristiche organizzative e professionali dei singoli provider condizionino fortemente questo fenomeno, anche in maniera indipendente dalle eventuali politiche regionali. Persino in Campania esiste una struttura che ha una proporzione di taglio cesareo primario inferiore al 20%. Ciò sottolinea come le caratteristiche professionali e organizzative dei provider ospedalieri possono produrre ottimi risultati anche in contesti ambientali poco favorevoli. Tuttavia, è soprattutto nelle regioni meridionali che si trovano le strutture con performance peggiori.

Altrettanto allarmante è la disuguaglianza di accesso al parto vaginale dopo cesareo. A fronte dell’assenza di evidenze scientifiche che raccomandano il ricorso al taglio cesareo dopo un pregresso cesareo10, solo l’8% delle donne in Italia nel 2015 partorisce con parto vaginale dopo un pregresso cesareo. Come si può vedere però dalla figura 2, si va da una proporzione vicina allo zero nelle regioni del Centro-Sud al 20% in Lombardia e Veneto. Anche in questo caso, però, le donne che hanno la “fortuna” di partorire alla Casa di Cura Villa dei Platani ad Avellino o all’Ospedale Cristo Re a Roma hanno la stessa probabilità delle donne venete o lombarde di partorire con parto vaginale dopo un pregresso cesareo.

In sintesi, i dati disponibili sembrano indicare che in Italia il ricorso al taglio cesareo nella popolazione, che dovrebbe dipendere esclusivamente dalle condizioni di salute della donna e dalle caratteristiche della gravidanza, è fortemente condizionato dalle particolarità strutturali, organizzative e professionali dell’offerta di servizi sanitari.







Conclusioni

La lettera di Ugo Indraccolo pubblicata sul presente fascicolo11 introduce elementi ulteriori di riflessione: spesso l’orientamento del medico in favore di un parto vaginale è messo in discussione dalla donna o dai suoi familiari. Le componenti culturali e relazionali rischiano dunque di condizionare una pratica clinica appropriata e basata sulle evidenze scientifiche. La grande variabilità osservata tra regioni e dentro le regioni è difficilmente spiegabile da una così eterogenea “volontà” della donna. A questo proposito ricordiamo che le linee guida già citate dell’Istituto Superiore di Sanità3 pongono l’accento sul consenso informato e forniscono le seguenti indicazioni per la donna:

“Prima di sottoporvi a un taglio cesareo, dovete dare il vostro consenso informato all’intervento, in base a un set di informazioni minime fornite dal medico, che devono comprendere:

l’indicazione medica all’intervento;

i benefici e i rischi rispetto al parto naturale nel caso specifico;

informazioni su anestesia e intervento chirurgico;

implicazioni per gravidanze e parti successivi.

In caso di taglio cesareo programmato, vi raccomandiamo di discutere il consenso con il vostro medico prima del ricovero, in modo da esprimere i vostri eventuali dubbi e avere il tempo necessario per riflettere sulle informazioni ricevute”.

Sorge il sospetto che non tutte le donne in tutti gli ospedali d’Italia siano chiamate a dare un consenso veramente informato.

Bibliografia

1. OECD (2016). Caesarean sections (indicator). https://data.oecd.org/healthcare/caesarean-sections.htm

2. http://www.who.int/reproductivehealth/en/

3. http://www.snlg-iss.it/

4. The Italian outcome program. website at: http://95.110.213.190/ PNEed16/

5. Robson MS. Can we reduce the caesarean section rate? Best Pract Res Clin Obstet Gynaecol 2001; 15: 179-94.

6. Di Martino M, Fusco D, Colais P, Pinnarelli L, Davoli M, Perucci CA. Differential misclassification of confounders in comparative evaluation of hospital care quality: caesarean sections in Italy. BMC Public Health 2014; 14: 1049.

7. Fantini MP, Stivanello E, Frammartino B, et al. Risk adjustment for inter-hospital comparison of primary cesarean section rates: need, validity and parsimony. BMC Health Serv Res 2006; 15; 6: 100.

8. Iezzoni LI. Risk Adjustment for measuring healthcare outcomes, 2nd ed. Chicago: Health Administration Press, 1997.

9. Arcà M, Fusco D, Barone AP, Perucci CA. Risk adjustment and outcome research. Part I. J Cardiovasc Med 2006; 7: 682-90.

10. https://www.nice.org.uk/guidance/cg132

11. Indraccolo U. Punches and knocks to the physicians: choosing wisely or self protection? Recenti Prog Med 2016; 107: 607-8.