Una compressa la mattina e mezza la sera:
l’aderenza ai trattamenti farmacologici

Mirko Di Martino1

1UOC Epidemiologia Valutativa, Dipartimento di Epidemiologia del SSR - Regione Lazio, ASL Roma 1, Roma.

Pervenuto su invito il 12 marzo 2017.

Riassunto. In Italia, il 40% della popolazione è affetto da patologie croniche, come diabete, broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e scompenso cardiaco. Le malattie croniche rappresentano la principale causa di morte nel mondo. Nonostante esistano terapie di provata efficacia per trattare queste condizioni, circa il 50% dei pazienti non assume i farmaci in maniera conforme alla prescrizione medica. La ridotta aderenza ai trattamenti farmacologici comporta un aumento del rischio di ospedalizzazione e di morte. Secondo la letteratura più recente, la scarsa aderenza alle terapie è un problema multidimensionale, determinato dall’interazione di fattori relativi al paziente, al medico e al sistema sanitario. I risultati di uno studio condotto su circa 10.000 pazienti dimessi dall’ospedale con diagnosi di infarto miocardico acuto mostrano che, nei due anni successivi alla dimissione, solo il 63% dei soggetti risultava aderente alla politerapia raccomandata dalle linee-guida. La probabilità di essere aderente al trattamento era influenzata dalla gravità della malattia, dai pregressi trattamenti farmacologici, dall’età del paziente, dalle patologie concomitanti, dalle visite di follow-up dopo il ricovero e dalle forme di associazionismo in medicina generale. Inoltre, lo studio ha messo in evidenza una rilevante variabilità nei livelli di aderenza al trattamento, attribuibile ai diversi modelli organizzativi dei distretti sanitari e degli ospedali di dimissione. Questa variabilità solleva seri problemi di equità nell’accesso alle cure ottimali.

Adherence to long-term therapies and its relevance to epidemiology.

Summary. In Italy, 40% of the population is affected by chronic pathologies, like diabetes, chronic obstructive pulmonary disease (COPD) or heart failure. Chronic diseases are the leading cause of mortality in the world. Although long-term medications are effective, approximately 50% of patients do not take their medications as prescribed. The lack of medication adherence is associated with an increased risk of hospitalization and death. According to recent research, the low adherence to treatment is a multidimensional problem determined by the interaction of patient-related factors, physician-related factors and health system-related factors. In a study of about 10,000 patients, after a hospital discharge for myocardial infarction, only 63% of patients were adherent to poly-therapy in the following two years. The probability of adherence was influenced by disease severity, therapy-related factors, patient’s age and comorbidities, post-hospital follow-up visits, and network organizational forms in primary care. Moreover, a relevant variation in adherence to treatment was observed among health care providers. This heterogeneity raises equity concerns in access to optimal care.

«Il migliore dei trattamenti, prescritto dal migliore dei medici,

raggiungerà l’obiettivo terapeutico solo se il paziente

risulterà motivato e aderente al trattamento»

Joint National Committee VII, JAMA 2003

In Italia, il 40% della popolazione è affetto da almeno una patologia cronica1. Queste patologie, caratterizzate da uno sviluppo lento e progressivo, rappresentano la prima causa di morte nel mondo. Tra le più diffuse, l’ipertensione, il diabete, lo scompenso cardiaco, la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e la depressione. Nonostante esistano terapie di provata efficacia per trattare tali condizioni, circa il 50% di questi soggetti non assume i farmaci in maniera conforme alla prescrizione medica2. I pazienti assumono i trattamenti in maniera discontinua, spesso li interrompono definitivamente e i dosaggi vengono ridotti senza alcuna motivazione clinica. In questi casi si parla di ridotta aderenza al trattamento. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l’aderenza ai trattamenti di lungo periodo come «la misura in cui il paziente segue le raccomandazioni formulate da un’équipe medica riguardo ai tempi, alle dosi e alla frequenza nell’assunzione del farmaco»3. La ridotta aderenza agli schemi terapeutici riduce i benefici del trattamento, aumenta il rischio di complicanze, il tasso di ospedalizzazione e genera costi che la corretta assunzione del farmaco avrebbe potuto evitare2. Pertanto, la ridotta aderenza ai trattamenti rappresenta un danno sia per il paziente sia per il Sistema Sanitario Nazionale (SSN). La bassa adesione alle terapie farmacologiche non è solo un problema italiano. L’OMS ha stimato che, in tutto il mondo, la deviazione del paziente dagli schemi terapeutici prescritti determina una spesa che supera i 100 bilioni di dollari ogni anno. «Se c’è una caratteristica della pratica clinica quotidiana che trovo frustrante − scrive Joseph S. Alpert dell’Università dell’Arizona Health Sciences − questa è il fallimento nel convincere i pazienti a seguire le raccomandazioni cliniche quando è chiaramente nel loro interesse». Questo fenomeno ha dimensioni così estese da riguardare anche i pazienti che hanno già sperimentato eventi acuti e traumatici, come l’infarto miocardico acuto (IMA), l’ictus o l’esacerbazione della BPCO. Pur trattandosi di pazienti con un pregresso danno d’organo o che presentano stadi molto avanzati della patologia, l’aderenza alle terapie croniche per la prevenzione secondaria risulta spesso inadeguata4,5.




Prima di entrare negli aspetti quantitativi e descrivere l’entità di questo fenomeno, è necessario spendere alcune parole sulla misura dell’aderenza al trattamento. Generalmente, viene utilizzata una grandezza nota come “MPR” (dall’inglese medication possession ratio), che esprime quanta parte di un periodo di osservazione sia adeguatamente coperta dal trattamento farmacologico. In base agli obiettivi della ricerca, l’inizio dell’osservazione può coincidere con la data della prima prescrizione del farmaco, con la data di una diagnosi o di una dimissione ospedaliera. Nei casi in cui questo valore, espresso in percentuale, supera il 75% o l’80%, il paziente viene considerato aderente alla terapia. Da una revisione della letteratura è emerso che in Italia poco più della metà (55%) dei pazienti affetti da ipertensione arteriosa è aderente al trattamento farmacologico. Per quel che riguarda gli antidiabetici, la percentuale di pazienti aderenti è pari al ٦٢٪. Livelli molto bassi di aderenza al trattamento (15%) si registrano anche per l’asma e la BPCO. Inoltre, quasi il 50% dei pazienti in trattamento con antidepressivi sospende l’assunzione del farmaco nei primi 3 mesi di terapia e oltre il 70% nei primi 6 mesi6.

Considerando la notevole “distanza” tra il reale utilizzo dei farmaci e quello raccomandato dalle linee-guida, l’elevato impatto sulla salute e i notevoli costi che il SSN deve sostenere per gestire le complicanze che ne derivano, è necessario individuare i fattori associati alla ridotta aderenza ai trattamenti e identificare gli assi prioritari su cui intervenire con politiche socio-sanitarie che contrastino questo fenomeno. Nell’ultimo decennio, molti studi epidemiologici hanno affrontato questa sfida ricorrendo, tuttavia, a una eccessiva semplificazione della realtà. In primo luogo, non è corretto considerare il medico prescrittore come se fosse infallibile. Infatti, sono ormai numerose le indagini campionarie che hanno evidenziato pesanti carenze dei medici di medicina generale nella conoscenza delle linee-guida per il trattamento delle più comuni patologie croniche7,8. In secondo luogo, è necessario “andare oltre” il binomio medico-paziente. Questo consente di analizzare il problema in tutta la sua complessità, attribuendo un ruolo al distretto sanitario, alla ASL di assistenza, agli specialisti ambulatoriali, alle farmacie presenti sul territorio o, nel caso di terapie successive a un ricovero, all’ospedale che ha gestito la fase acuta della patologia4,5.

Sulla base di questo nuovo punto di vista, la letteratura recente suggerisce di raggruppare i fattori che interferiscono negativamente con l’aderenza al trattamento in tre ampie categorie: caratteristiche del paziente, caratteristiche del medico e caratteristiche del SSN, enfatizzando il ruolo del “contesto assistenziale” con cui il paziente interagisce quotidianamente2.

Per definire meglio questi concetti, può essere utile riportare i risultati di uno studio condotto recentemente in pratica clinica, finalizzato a misurare l’aderenza al trattamento nei pazienti con pregresso infarto4. Le linee-guida per la prevenzione secondaria dell’IMA raccomandano l’utilizzo congiunto e continuativo di quattro farmaci: antiaggreganti, betabloccanti, ACE-inibitori/sartani e statine. Nello studio sono stati inclusi circa 10.000 pazienti, osservati a partire dalla data della dimissione ospedaliera. L’analisi è stata condotta seguendo un approccio multidimensionale che ha consentito di valutare l’impatto dei diversi “attori” del SSN potenzialmente in grado di modificare l’aderenza al trattamento dei pazienti. Per valutare l’intero contesto assistenziale e misurarne l’impatto, è stato necessario considerare nelle analisi più di 2.000 medici di medicina generale, 55 distretti sanitari, 12 ASL e 93 ospedali di dimissione. Nei 24 mesi successivi alla dimissione ospedaliera, il 63% dei pazienti con pregresso infarto risultava aderente alla politerapia cronica. Tuttavia, con l’aumentare del tempo trascorso dall’evento acuto, l’aderenza del paziente diminuiva progressivamente. Infatti, considerando un periodo di osservazione di tre anni, solo il 48% dei soggetti con pregresso infarto risultava aderente alle terapie. Questo andamento è tipico delle situazioni in cui l’inizio del trattamento coincide con un evento acuto e traumatico per il paziente.

Nella fase iniziale dell’osservazione, il paziente è molto motivato, segue scrupolosamente le indicazioni del medico e assume tutti i farmaci in maniera continuativa. Col passare del tempo, soprattutto se il paziente è asintomatico, l’assunzione dei farmaci “salvavita” diviene discontinua, occasionale e sottodosata. Il paziente perde la consapevolezza dei benefici del trattamento farmacologico, le numerose pillole da assumere tutti i giorni diventano un fastidio e… il rischio di mortalità aumenta di circa tre volte9. Il trend decrescente dell’aderenza alle terapie croniche pone in risalto anche un aspetto di natura organizzativa: la necessità di programmare, al momento della dimissione, le visite periodiche per il monitoraggio del paziente. Infatti, le visite di controllo rinnovano il contatto col SSN e hanno l’effetto implicito di mantenere elevata l’aderenza ai trattamenti farmacologici. Inoltre, l’aderenza alla politerapia cronica post-IMA risultava influenzata da numerosi altri fattori, legati all’ospedale, alla gravità dell’infarto, alle caratteristiche del paziente o del medico di medicina generale.

Può essere utile analizzare alcuni di questi fattori.

Nel processo di transizione dall’ospedale al territorio, riveste un ruolo determinante la qualità della lettera di dimissione, che deve essere accurata e, soprattutto, molto chiara. Inoltre, i pazienti che hanno avuto un infarto più grave tendono a essere più aderenti alla terapia, probabilmente perché la maggiore gravità dell’episodio acuto rende il paziente più consapevole e motivato. Al contrario, la presenza di numerose patologie concomitanti riduce la probabilità che il paziente assuma i farmaci in maniera continuativa. Un altro fattore che riduce l’aderenza al trattamento è l’età molto elevata, che spesso rappresenta una barriera “fisica” all’accesso alle cure, soprattutto se l’anziano è privo di supporti socio-sanitari. Invece, la distanza dalle linee-guida si riduce per quei pazienti che assumevano i farmaci “salvavita” anche prima dell’infarto, in genere per tenere sotto controllo singoli fattori di rischio come l’ipertensione o l’ipercolesterolemia. In questi casi è molto probabile che i pazienti avessero acquisito una sorta di “abitudine” all’assunzione cronica di quei farmaci che risulteranno fondamentali anche nella prevenzione secondaria.

Un altro attore in grado di aumentare l’aderenza alla politerapia cronica è il medico di medicina generale, soprattutto nei casi in cui il medico aderisca a forme di associazionismo che aumentano la continuità assistenziale, come la medicina di rete o la medicina di gruppo.

Valutati complessivamente, i risultati dello studio mostrano con chiarezza come il paziente non sia l’unico responsabile della ridotta aderenza alle terapie. Infatti, questo problema è multidimensionale, frutto dell’interazione tra i diversi livelli del SSN. A conferma del ruolo determinante del contesto socio-assistenziale che circonda il paziente, quando si analizza la percentuale di pazienti aderenti in relazione ai provider sanitari che li hanno presi in carico, emerge una variabilità molto elevata tra medici di medicina generale e tra ospedali di dimissione, anche mantenendo costanti le caratteristiche cliniche, anagrafiche e socio-economiche del paziente. Variabilità non compatibile con un SSN che ambisce a essere universalistico ed equo.

Le possibili strategie per ridurre tali criticità sono numerose. Tra queste, suscita notevole interesse un progetto sviluppato dalla Regione Piemonte che attribuisce alle farmacie un ruolo di monitoraggio dei pazienti cronici. Infatti, attraverso la somministrazione di un questionario appositamente strutturato per valutare l’aderenza alle terapie, l’attività delle farmacie può incidere positivamente sulla salute della popolazione e sulla razionalizzazione della spesa10. Ulteriori interventi sono in fase di studio. Empowerment del paziente, autogestione della patologia e programmi di audit and feedback sono attualmente oggetto di analisi per individuare gli interventi più efficaci ed efficienti, capaci di aumentare l’aderenza alle terapie e ridurre l’ingiustificata variabilità tra provider sanitari11.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Annuario statistico italiano. Roma: Istituto Nazionale di Statistica, 2016.

2. Brown MT, Bussell JK. Medication adherence: WHO cares? Mayo Clin Proc 2011; 86: 304-14.

3. Sabaté E. Adherence to long-term therapies: evidence for action. Geneva, Switzerland: World Health Organization, 2003.

4. Di Martino M, Alagna M, Cappai G, et al. Adherence to evidence-based drug therapies after myocardial infarction: is geographic variation related to hospital of discharge or primary care providers? A cross-classified multilevel design. BMJ Open 2016; 6: e010926.

5. Di Martino M, Ventura M, Cappai G, et al. Adherence to long-acting bronchodilators after discharge for COPD: how much of the geographic variation is attributable to the hospital of discharge and how much to the primary care providers? COPD 2017; 14: 86-94.

6. L’uso dei Farmaci in Italia. Rapporto Nazionale Anno 2013. Roma, 2014. Il rapporto è disponibile consultando il sito web www.agenziafarmaco.gov.it

7. Rutschmann OT, Janssens JP, Vermeulen B, et al. Knowledge of guidelines for the management of COPD: a survey of primary care physicians. Respir Med 2004; 98: 932-7.

8. Reiner Z, Sonicki Z, Tedeschi-Reiner E. Physicians’ perception, knowledge and awareness of cardiovascular risk factors and adherence to prevention guidelines: the PERCRO-DOC survey. Atherosclerosis 2010; 213: 598-603.

9. Kirchmayer U, Di Martino M, Agabiti N, et al. Effect of evidence-based drug therapy on long-term outcomes in patients discharged after myocardial infarction: a nested case-control study in Italy. Pharmacoepidemiol Drug Saf 2013; 22: 649-57.

10. La Farmacia di Comunità: http://www.ordinefarmacisti.torino.it/?page_id=455

11. Schneider MP, Celio J, van Camp Y, Cavassini M. Interventions to improve adherence to drug treatment. In: Drug utilization research. Methods and applications. Singapore: Wiley Blackwell, 2016.