Recensione

di Stefano Cagliano




Il grande inganno sulla prostata,

di Richard Ablin

La mia premessa è semplice: dovete assolutamente leggere questo libro.

In particolare voi che sapete tutto di Archibald Cochrane e curiosamente non avete mai letto il nome di Richard Ablin. Oppure voialtri alla moda che conoscete l’inglese perfectly mentre pensate che l’espressione evidence-based medicine sia una sorta di pret-à-porter editoriale.

Con qualsiasi parole possa esordire una recensione, vi dico onestamente questo: dovete leggerlo. Ma non per le solite ragioni, ovvero perché si fa leggere con interesse o perché il libro è scritto bene. Le ragioni non sono solo queste o semplicemente queste.

Se foste tentati solo dalla curiosità di sapere perché mai il geniale scopritore del test del PSA – Richard Ablin, lui l’autore di queste pagine – abbia speso il suo tempo apparentemente a demolire questo test e a tentare di farci seguaci dell’impresa, sareste su una falsa via di partenza. Non voglio anticipare troppo di quanto potreste trovare, ma l’impresa di Ablin è tutta diversa. Sì, comincia dalla prostata, ma finisce al mercato dei malati, là in quella piazza dove ad acquistare sono solo medici. Per carità, solo “medici”, non “i medici”.

Nella sua pregevole prefazione, Roberto Satolli ha scritto che «a chi vuole capire perché il PSA è un grande imbroglio, consiglierò la lettura di questo libro… È un gigantesco disastro sanitario quello che l’autore descrive e di cui si sente colpevole per il solo fatto di aver scoperto lui stesso il PSA nel 1970 “il peggiore errore della mia vita”»1.

Stiamo parlando del PSA, dunque, una proteina con il compito di rendere liquido il seme eiaculato, e del test del PSA che misura quanta proteina è rilasciata dal sangue. Primo. «Il valore di PSA attualmente considerato il più alto livello normale è 4 ng/ml»1. Secondo. «Il PSA è un componente normale della prostata. Non è specifico del cancro, ma è presente nella prostata sana, benigna e cancerosa. Non ho chiamato il PSA “antigene specifico del cancro della prostata” semplicemente perché non lo è. L’abilità del test d’identificare gli uomini affetti da cancro della prostata è solo leggermente superiore al lancio di una monetina”»1. Terzo. Cosa possano indicare valori occasionalmente alti, stabilmente alti o anche molto alti di test di PSA è la ragione del libro. Del disagio esistenziale di uno studioso.

Il primo problema è la dicotomia tra i tempi e i modi della biologia e i tempi e i modi di una neocultura umana che si sviluppa anche con nuove forme di sincretismo che mettono insieme antropofagia e dollari.

La biologia illustra in tutti i modi che il cancro della prostata è tra i meno se non il meno aggressive e questo si traduce in un intervallo molto lungo tra la diagnosi e il possibile decesso. E di questo un medico di buon senso dovrebbe tener conto, considerato che i pantaloni che vede tirar su al termine della visita non sono né quelli di un adolescente, né quelli di un adulto giovane, ma sono in genere quelli di un adulto più o meno anziano. Sono quelli cioè di un anziano preoccupato sia nel complesso per la sua salute, sia perché si sente meno pronto a rispondere perché ha già altre malattie. Sia perché comincia a vedere sempre più lampeggianti i fuochi della fine.

Però, mentre in genere la biologia obbedisce ai modi del DNA e cellulari, il medico segue spesso una logica diversa, pensando al proprio guadagno anziché alla salute della persona.

Può non esser nulla, o può trattarsi di un’ipertrofia prostatica benigna o nel caso peggiore di un cancro. Ma mentre nel secondo caso il PSA può dir poco, nel terzo può dire ancora meno. Sostiene Ablin che mentre l’uso continuato del PSA «come screening di routine è un disastro della sanità pubblica»2, nel caso del cancro, «la maggior parte delle neoplasie localizzate non esce dalla ghiandola e gli uomini che le hanno muoiono per altre cause, come la vecchiaia»1.

Le cose vanno diversamente, però, una dopo l’altra. Prima, PSA ripetuti nel tempo, poi in caso di dubbi (esibiti, più che sostanziali, del malato più che del professionista) qualcosa di più convincente: biopsie, chirurgia robotica, radioterapia protonica o in caso d’insuccesso il robot da Vinci. Speranza naufragata, questa, come vedremo più avanti.

È da chiedersi cosa frulli nella testa di molti medici e specialisti ogni volta di fronte a un malato. Il desiderio di guadagnare qualcosa di più è una cosa, ma pensare solo al profitto è altra faccenda. Ma cos’hanno imparato nelle università quegli studenti di medicina? Forse le parole di Jerome Kassirer o di Marcia Angell sono meno convincenti di quanto appaiano alla lettura. Forse, come ricorda Ablin, «la scienza è anche una lama a doppio taglio, impugnata dall’avidità e dall’ambizione»1.

Il libro di Ablin offre un quadro sconcertante delle malefatte possibili in campo medico, di quanto sia esteso e di quanta vivacità si nutra. Un merito del volume è la numerosità e la qualità dei dettagli delle vicende occorse negli anni al protagonista che ha finito col raccontarci una grande storia giornalistica sconcertante.

Si potrebbe obiettare a tutto questo che con il tempo le cose cambiano. O che, come ha ricordato di recente il creatore di Amazon, Jeff Bezos, che «i problemi non sono piccoli, ma la nostra capacità di escogitare soluzioni è di gran lunga maggiore»3.

Il fatto è che le cose con il tempo non sembrano proprio essere cambiate. Secondo un articolo recente del New England Journal of Medicine non è chiaro se lo screening per il cancro della prostata tramite test sul PSA sia o meno utile e opportuno4. «È improbabile che il beneficio netto sia più che marginale, mentre i danni sono provati e sostanziali», afferma lo statunitense Paul Pinsky, del National Cancer Institute, National Institutes of Health, autore principale della ricerca4.

Sulla base delle prove disponibili, si stima che per 1.000 uomini che si sottopongono allo screening diverse volte e seguiti da 10 a 15 anni sia possibile evitare circa una morte per cancro della prostata. Le raccomandazioni però contro lo screening sono basate principalmente sulla conclusione che i danni possono superare i benefici probabili4. Lo screening ha creato una “pseudo-epidemia” di cancro alla prostata, che ha avuto un aumento dell’incidenza del 63% dal 1987, anno della sua introduzione, sino al 1993 e con una tendenza al proseguimento nella stessa direzione.

La pubblicazione delle nuove raccomandazioni della United States Preventive Services Task (USPSTF) in tema di screening con il PSA ha scatenato reazioni opposte5. Gli urologi sembrerebbero appoggiarlo, mentre gli oncologi tendono a seguire la strada opposta. Vinay Prasad, assistant professor della Division of Hematology Oncology della Oregon and Science University, ha recentemente esposto le sue perplessità in un articolo pubblicato su STAT, in cui sostiene, tra l’altro, che «il malinteso più grande in merito al test è che questo permetta di “salvare” delle vite quando in realtà c’è grande incertezza»6. Infatti, i fenomeni della sovradiagnosi e del sovratrattamento sono comuni nello screening con il PSA: tra il 20% e il 50% dei casi, secondo le stime della USPTF. «Lo screening con il PSA va bene per alcuni pazienti, ma solo se i clinici sono franchi nel dichiarare tutto quello che il test permette, e non permette, di fare»5.

Le uniche “buone notizie” per cancro e prostata sono venute dal fronte delle medicine alternative e le ha fornite nel 2017 la Yale School of Medicine. Ma è un successo tutto da discutere.

Considerano che, con il cancro, ci sono persone che rifiutano i trattamenti convenzionali (chemioterapia, radioterapia, chirurgia e/o terapia ormonale) in favore di medicine alternative, per vedere se e cosa potessero fare queste ultime. Sono stati esaminati i risultati a 5 anni con le terapie a confronto (tradizionali o alternative) con diversi casi di cancro, compreso quello della prostata. E la sorpresa è stata che la differenza è minore tra le due opzioni proprio in questo caso: 86,2% contro 91,5% di sopravvivenza a 5 anni. Questo in pratica è stato l’unico caso in cui la differenza di risultato non è stata statisticamente significativa. Probabilmente perché – aggiungevano gli autori – «la durata limitata del follow-up era 66 mesi, mentre la storia naturale di questo tumore è più lunga»7.

Il problema è grande come una casa e lo ricorda anche Ablin. Non riguarda solo la prostata. «Studi che vanno dagli anni Ottanta ai Novanta del secolo scorso appurarono che un terzo delle procedure mediche selezionate era fatto per ragioni improprie o aveva benefici dubbi»1. E «questa triste scoperta è il risultato, in parte, di un sistema di rimborso che incoraggia finanziariamente i medici a trattare i pazienti anche quando non sarebbe necessario, nonostante sappiamo bene come questa sia una sfacciata malpractice dalle conseguenze mediche gravi»1.

Non sono dinamiche scomparse purtroppo. Per esempio, sull’argomento dell’illusione robotica orchestrata con l’ausilio di medici più o meno mercenari è tornato di recente Annals of Surgery con una ricerca su 458 studi di 2253 autori8. In particolare, questa ricerca sull’impiego del robot da Vinci in chirurgia e sulla correttezza delle indagini ha cercato di confrontare i risultati degli studi con i finanziamenti eventuali di imprese costruttrici e se questi fossero stati dichiarati. È emerso che gli articoli firmati da autori più reticenti riportavano esiti più favorevoli alla chirurgia robotica rispetto ai lavori nei quali i finanziamenti erano espliciti. Come è stato osservato correttamente su Recenti Progressi in Medicina, «l’aggressiva pubblicità al da Vinci è molto spesso frutto di un’azione congiunta dei produttori e dei centri ospedalieri che ne decidono l’acquisto, sperando di sottrarre pazienti ad altre strutture»9.

Se – come scriveva Louis Althusser nel secolo scorso – «nella coscienza o nell’inconscio degli scienziati esiste una filosofia spontanea degli scienziati»10, c’è solo da sperare che valga a distinguere il bene dal male, almeno per il futuro.

Bibliografia

1. Ablin RJ. Il grande inganno sulla prostata. Roma: Raffaello Cortina Editore, 2016.

2. Ablin RJ. The prostate mistake. New York Times, 10 marzo 2010. http://www.nytimes.com./2010/03/10.

3. Russo M. Jeff Bezos. Vita, affari e miracoli dell’uomo che ha inventato Amazon. Dlui. La Repubblica, 7 ottobre 2017.

4. Pinsky PF, Prorok PC, Kramer BS. Prostate cancer screening - A perspective on the current state of the evidence. N Engl J Med 2017; 376: 1285-9.

5. US Preventive Services Task Force. USTSPF 2017 draft recommendation statement on screening for prostate cancer. Pubblicato l’11 aprile 2017. https://goo.gl/5QwBF1 (ultimo accesso 26/10/2017).

6. Prasad V. The new recommendations for prostate cancer screenings are a bad deal. STAT, 11 aprile 2017.

7. Johnson SB, Park HS, Gross CP, Yu JB. Use of alternative medicine for cancer and its impact on survival. J Natl Cancer Inst 2018; 110(1). doi: 10.1093/jnci/djx145.

8. Patel SV, Yu D, Elsolh B, Goldacre BM, Nash GM. Assessment of conflicts of interest in robotic surgical studies: validating author’s declarations with the Open Payments database. Ann Surg 2017; Jul 12.

9. Associazione Alessandro Liberati – Network Italiano Cochrane. Come vendere il robot da Vinci. Recenti Prog Med 2017; 108: 346.

10. Althusser L. Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati e altri scritti. Bari: De Donato, 1976.