Qualcuno ci invidia
«Temo per il mio paese quando penso che Dio è giusto.»
Thomas Jefferson, Note sulla Virginia
In Italia non si perde occasione per criticare il Servizio Sanitario Nazionale; e, spesso, si tratta di rilievi non ingiustificati: soprattutto per ritardi, disfunzioni, disparità di prestazioni. Pur tuttavia varrebbe, a volta, la pena di attenuare il malcontento, riflettendo sull’importanza del principio che ne ha ispirato l’istituzione, e che ha consentito al nostro paese una importante conquista civile e comunitaria: la promozione della tutela della salute da privilegio a diritto. È un traguardo che una grande nazione democratica come gli Stati Uniti non ha ancora raggiunto, nonostante lunghe e intense battaglie politiche, sindacali e civili. Ancor oggi, infatti, quasi 50 milioni di cittadini americani non godono dell’assistenza medica federale e se le risorse economiche individuali non consentono una polizza assicurativa a proprie spese, debbono rinunziare alle cure. Di tale situazione viene documentata la storia in un recente volume di Jonathan Cohn: Sick. The untold story of America’s health care crisis and people who pay the price. Pagine 320. Harper Collins, New York 2007. Dollari 25,95. ISBN 13:978-0-0605-8045-2. Più che una storia, in realtà, l’Autore ci offre tante storie, una casistica di ineguaglianze di e iniquità capace di suscitare inquietanti interrogativi.



Cohn ha viaggiato in lungo e in largo gli Stati Uniti per ben cinque anni al fine di documentare la sua denuncia e in ciascuno dei dieci capitoli del libro racconta l’avventura di un individuo o di una famiglia la cui esperienza riflette le crepe di un sistema che sembra ignorare la solidarietà e le pari opportunità: così veniamo messi di fronte alla lotta quotidiana di un’intera classe sociale, quella del cittadino medio (non solo alla resa incondizionata dei poveri, che muoiono desolati nei loro giacigli), il quale è costretto ad ogni sacrificio pur di ottenere un minimo di attenzione al proprio stato di salute («...and people who pay the price»). Di episodi esemplari sono tristemente fitte le pagine del volume: l’odissea di Steven ed Elizabeth , una coppia texana costretta a scontrarsi per mesi con l’ottusità burocratica di un Istituto che contesta l’evidenza della paralisi cerebrale del loro figlio per lesinare qualche ciclo di fisioterapia; o le violenze che quotidianamente marchiano di vergogna i padiglioni sovraffollati degli ospedali psichiatrici a causa degli avari rimborsi delle compagnie assicurative. E, ancora, cateterismi negati, chemioterapie differite, tagli agli stanziamenti finanziari per i pur pochi programmi assistenziali, così da vanificare persino la farmacoterapia salva-vita. Il nocciolo del problema – scrive Cohn – è la mancanza di soldi. Lo Stato pensa a fare le guerre, perdendo miliardi di dollari, ed i “sudditi” debbono arrangiarsi coi propri mezzi per pagarsi medici e medicine. Un buon 12% dello stipendio di un colletto (blu o bianco che sia) se ne va come benefit per premi assicurativi – e molti non ce la fanno. Anche per questo – l’Autore pronostica, allarmato – la situazione è, e diverrà sempre più ingravescente: perché – sfortunatamente – la recessione darà una mano alla sordità etica dei governanti. Al momento di scrivere queste profezie, Cohn non poteva prevedere quali sarebbero stati i futuri prossimi governanti del suo paese e perciò, nel capitolo conclusivo (dall’eloquente titolo “Washington”), si limita a delineare speranze di soluzioni e relativi auspici. L’augurio – il lettore non si meravigli – è quello di pervenire ad un sistema sanitario di tipo europeo, capace di offrire le garanzie di universalità e gratuità analoghe a quelle a cui hanno diritto i cittadini – tutti – della Spagna, di Francia e dell’Italia. Non sono fondate, arguisce, le critiche pregiudiziali al finanziamento della salute per tutti: sono fondate – semmai – quelle alla dispersione delle risorse. Un buon governo, un diligente controllo centrale e periferico, una tempestiva e onesta modulazione di interventi – l’Autore ne è sicuro – potrebbe riuscire allo scopo: quello di ristabilire il principio fondamentale dell’eguaglianza e della benevolenza pubblica per ognuno e per tutti. «Oggi un palpabile senso di ottimismo e di fondata speranza spira negli USA dopo il discorso pronunciato dal Presidente eletto nella storica notte del 4 novembre», scrive The Lancet nell’editoriale di apertura (2008; 372: 1707). «A questi sentimenti è dovuto il consenso di chiunque aspiri ad un’America più giusta e ad un mondo meno diviso. La sanità, attualmente uno dei temi politici di aspro confronto, potrebbe divenire la forza unificatrice – il collante sociale – del nuovo governo». Le nomine dei vertici alle quattro istituzioni-chiave della Sanità costituiranno il messaggio cruciale circa ciò che la nuova amministrazione democratica farà, non farà, o prometterà di fare. Il prossimo direttore di National Institutes of Health dovrà essere figura di chiara fama internazionale capace di porre la ricerca ed il progresso scientifici al centro dell’azione di governo. L’impegno per la diffusione e la difesa della salute per ogni cittadino, dai neonati agli anziani, è ormai compito ineludibile per i Centers for Disease Control and Prevention. Il nuovo capo della Food and Drug Administration dovrebbe essere determinato ad una non negoziabile adesione ai principi della sicurezza. E, infine, il neo ministro del Welfare dovrà dar prova di intuizione, di inventiva e sagacia nel partecipe coinvolgimento dei diversi attori politici in un’area tanto vasta e complessa come quella della sanità. «La strada che ci si apre di fronte – ha detto Obama – sarà lunga e la salita sarà erta. Forse non riusciremo in un solo mandato, ma non ho mai nutrito maggiore speranza di quanta ne nutro in questo momento. Io vi prometto che ci riusciremo.» C’è da scommettere che Jonathan Cohn abbia votato per Barack Houssein Obama.
Gaia de Bouvigny