Sui rapporti tra diabete mellito di tipo 2 e carcinoma pancreatico

Recenti studi epidemiologici e clinici hanno indicato che il diabete mellito di tipo 2 (DM2) può associarsi ad adenocarcinoma duttale pancreatico (ADP) che, come noto, comporta una sopravvivenza media a 5 anni inferiore al 5%. Questa associazione è complessa; infatti il DM2 può manifestarsi come conseguenza di un ADP e, d’altro canto, il DM2 può esplicare un ruolo rilevante nello sviluppo del tumore (Pannala R, Leimess JB, Bamlet WR, et al. Prevalence and clinical profile of pancreatic cancer-associated diabetes mellitus. Gastroenterology 2008; 134: 981).



Vari meccanismi patogenetici sono stati ipotizzati per spiegare questa associazione. È stato ipotizzato che l’insulinoresistenza presente nel DM2, comportando inizialmente iperglicemia e iperinsulinemia, può favorire l’insorgenza di un ADP. Inoltre l’insulina, attraverso i suoi effetti mitogeni e di ormone promotore dell’accrescimento, può sovraregolare la biodisponibilità di fattore di crescita I insulino-simile, distaccandolo dalle proteine. È stato inoltre osservato che il tessuto esocrino pancreatico può essere esposto a concentrazioni di insulina più elevate rispetto a quelle nel sangue circolante in condizioni di iperinsulinemia.
Collegato al problema dei rapporti tra DM2 e ADP è quello del ruolo che in questo rapporto possono avere i farmaci antidiabetici, ma vi sono ancora incertezze. Alcuni farmaci determinano un aumento dell’insulinemia, come l’insulina, gli analoghi insulinici e gli insulino-secretagoghi, sulfaniluree e meglitinidi, mentre altri riducono l’insulinoresistenza: biguanidi e tiazolidindioni. Inoltre, alcuni studi hanno indicato che il trattamento con metformina riduce l’incidenza di tumori mentre insulina o sulfoniluree l’accrescono.
Recentemente, l’associazione di trattamenti antidiabetici e rischio di ADP è stata esaminata in un ampio studio clinico controllato condotto per quattro anni su 973 pazienti con ADP – compresi 259 diabetici – e 863 controlli – compresi 109 diabetici (Li D, Yeung SCJ, Hassan MM. et al. Antidiabetic therapies affect risk of pancreatic cancer. Gastroenterology 2009; 137: 482).
È stata dimostrata un’associazione statisticamente significativa tra terapia antidiabetica e rischio ridotto di ADP. Infatti i diabetici, che avevano fatto qualche volta uso di metformina e specialmente quelli che l’avevano usata per più di 5 anni, hanno presentato un ridotto rischio di ADP a confronto con i soggetti mai trattati con questo farmaco. Per contro, i diabetici trattati con insulina o con secretagoghi insulinici hanno presentato un aumento di rischio neoplastico rispetto ai pazienti che non ne avevano mai fatto uso. I risultati di questo studio concordano con quelli di recenti indagini epidemiologiche, inducendo a ritenere che il trattamento farmacologico del diabete può influenzare lo sviluppo di ADP ( Evans J MM, Donnelly LA, Emslie-Smith AM, et al. Metformin and reduced risk of cancer in diabetic patients. BMJ 2005; 330: 1304. Bowker SL, Majumdar SR, Vengelers P, et al. Increased cancer mortality for patients with type 2 diabetes who use sulfanilureas or insulin. Diabetes Care 2006; 29: 254).
Gli autori hanno osservato che altri fattori associati al DM2, come la sua durata, l’obesità o il sovrappeso, il fumo di tabacco e il grado di controllo glicemico non hanno avuto un significativo effetto sul rapporto tra terapia con metformina e sviluppo di ADP; inoltre è stato rilevato che, sebbene l’uso di insulina sia stato più frequente nei soggetti che non hanno mai usato metformina rispetto a coloro che l’hanno usata qualche volta, tuttavia l’effetto protettivo della metformina è rimasto statisticamente significativo quando l’analisi è stata limitata ai pazienti mai trattati con insulina.
La metformina riduce la glicemia, riducendo la produzione epatica di glucosio, incrementando l’utilizzazione di glucosio e l’ossidazione degli acidi grassi. Analogamente ai tiazolidindioni e contrariamente all’insulina e agli insulino-secretagoghi, la metformina riduce l’insulinemia e anche, se pur modestamente, il peso corporeo (Hundal RS, Inzucchi SE, Metformin: new understandings, new uses. Drugs 2003; 63: 1879). Inoltre determina attivazione della adenosin-monofosfato-proteinchinasi che regola molti enzimi metabolici, esplicando un ruolo inibitorio sulla polarità e sulla divisione cellulare.
Per quanto concerne l’effetto dell’insulina sullo sviluppo di ADP, gli autori rilevano che l’eventualità di rischio neoplastico è influenzata, come prima accennato, dalla durata del trattamento e dalla correttezza del controllo glicemico e osservano che alcuni pazienti con ADP hanno iniziato la terapia insulinica meno di 2 anni prima della diagnosi del tumore, probabilmente perché il diabete è stato causato dal tumore, cosicchè si potrebbe ritenere che l’associazione tra l’uso per breve durata dell’insulina e l’ADP sia dovuta al fatto che il tumore causa il diabete e il conseguente trattamento insulinico.
Gli autori hanno anche osservato un’associazione di lieve entità, ma significativa, tra uso prolungato (>5 anni) d’insulina e picco dell’incidenza di ADP; su questo  punto sarebbero utili ulteriori studi controllati. Nel loro studio gli autori hanno osservato che il più alto rischio neoplastico è presente nei pazienti trattati con insulino-secretagoghi in monoterapia, sebbene ritengano che questa evenienza possa essere fortuita, dato l’esiguo numero di casi esaminati. Data la rapida evoluzione dell’ADP verso l’ obitus, sono necessarie ulteriori ricerche epidemiologiche da eseguire su diverse popolazioni.




Nel commentare questi risultati Yang (Yang YX. Do diabetes drugs modify the risk of pancreatic cancer? Gastroenterology 2009; 137: 412) si domanda se la modificazione del rischio di carcinoma pancreatico nei soggetti trattati con metformina o insulina non sia influenzata dalla gravità del DM2 e rileva che la prevalenza dell’uso di insulina, che è un marcatore potenziale di gravità del DM2, non sia significativamente minore nei soggetti trattati con metformina rispetto a quella di coloro che non l’hanno mai usata; ciò significherebbe, secondo Yang (loc cit), una minore gravità o una minore durata del DM2 nei pazienti trattati con metformina; questo dubbio potrebbe essere dissipato dal fatto che Li et al (loc cit) hanno tenuto conto nel loro studio dell’uso dell’insulina e della durata del DM2, riferendo che la riduzione del rischio di ADP, osservato nei diabetici trattati con metformina e che non hanno mai usato insulina, è risultata simile a quella rilevata nei soggetti trattati con insulina. Yang (loc cit) ritengono comunque che in assenza di studi prospettici sul grado di controllo glicemico e sulla funzione β-cellulare, questi dubbi non possano essere completamente dissipati.
Un contributo allo studio della correlazione tra terapia con insulina e analoghi insulinici e rischio di tumori maligni – non soltanto di ADP – è stato dato da un recente ampio studio condotto dal gennaio 1998 al giugno 2005 su 127.031 pazienti con diabete che non avevano note neoplasie, trattati per la prima volta soltanto con insulina, insulina aspart, insulina lispro o glargina (Hemkens LG. Grouven U, Bender R, et al. Risk of malignancy in patients with diabetes treated with human insulin or insulin analogues: a cohort study. Diabetologia 2009; 52: 1732).
In questo studio è stato rilevato che la dose di insulina è positivamente associata a rischio di neoplasie maligne, si tratti sia di insulina umana sia di analoghi insulinici. È stato inoltre osservato che l’aumento di rischio dose-dipendente è stato più alto con glargina (p <0,0001) che non con insulina lispro (p = 0,96) e insulina aspart (p = 0,30). Gli autori sottolineano che sono state rilevate notevoli differenze tra le caratteristiche cliniche basali dei gruppi di trattamento e ciò dimostrerebbe l’importanza di una attenta valutazione clinica dei soggetti studiati. Infatti, in condizioni di partenza dello studio, i soggetti del gruppo glargina sono apparsi in condizioni cliniche migliori di quelli trattati con insulina umana a motivo di un minore dosaggio e di una più breve degenza ospedaliera, con conseguente minore rischio neoplastico. Ciò nonostante, nel gruppo glargina questo rischio è stato più elevato anche dopo correzione per caratteristiche cliniche e dosaggio insulinico. Gli autori rimarcano che queste osservazioni concordano con i risultati di recenti studi sul potenziale mitogeno della glargina ( Mayer D, Shukla M, Enzmann H. Proliferative effects of insulin analogues on mammary epithelial cells. Arch Physiol Biochem 2008; 114: 38; Weinstein D, Simon M, Yehezkel E, et al. Insulin analogues display IGF-1 like mitogenic and anti-apoptotic activities in cultured cancer cells. Diabetes Metab Res Rev 2009; 25: 41).
Nel valutare i risultati ottenuti, gli autori riconoscono di non poter escludere che alcuni fattori, noti o ignoti, possano avere influenzato sia i dosaggi di insulina umana e di analoghi insulinici, sia il rischio neoplastico, anche tenendo presente le differenze cliniche tra i gruppi esaminati e ritengono che soltanto ulteriori studi controllati potranno dirimere questi dubbi.
In un recente commento agli studi sul problema dei rapporti tra diabete e tumori maligni, Gerstein si domanda quali sono gli effetti della terapia insulinica sullo sviluppo neoplastico (Gerstein HC. Does insulin therapy promote, reduce or have a neutral effect on cancers? JAMA 2010; 303: 446).
Per quanto riguarda il ruolo dell’iperglicemia quale fattore di rischio cancerogeno, l’autore ricorda che il DM2 è un fattore di rischio indipendente di molti tipi di tumore; nel caso del diabete di tipo 1 (DM1) i risultati di studi epidemiologici hanno indicato che, mentre il DM1 comporta un rischio del 20% di carcinomi gastrico, endometriale e cervicale, questo rischio è due volte più alto nel caso del carcinoma pancreatico.
L’autore discute della correlazione tra disglicemia e tumori maligni. In questa condizione l’insulina esplica effetti mitogeni con conseguente sviluppo neoplastico in condizioni di iperinsulinemia causata da insulinoresistenza; questi effetti possono essere promossi dal legame dell’insulina con i recettori del fattore di accrescimento insulinosimile (IGF: “insulinlike growth factor”), i cui recettori si trovano iperespressi in molte cellule neoplastiche. Viene sottolineato, in proposito, che l’iperinsulinemia riduce il numero delle proteine leganti IGF, con conseguente aumento del livello di IGF, ed esplica anche un effetto angiogenico. L’autore rimarca, peraltro, che non vi è dimostrazione che l’insulina promuova de novo lo sviluppo di tumori.
La glargina ha un’accresciuta affinità per IGF-1 e per il recettore per l’insulina a confronto dell’insulina umana e questa caratteristica ha indotto a ritenere che promuova l’incidenza di tumore; tuttavia tale ipotesi non è stata confermata da recenti studi randomizzati, i quali non hanno dimostrato alcuna correlazione tra glargina e tumori, sia nel DM1 che nel DM2 (Home PD, Lagarenne P. Combined randomized controlled trial experience of malignancies in studies using insulin glargine. Diabetologia 2009; 52: 2499). Del resto, sottolinea l’autore, in molti studi non è stato segnalato alcun effetto sull’ospedalizzazione e sull’obitus per tumori maligni.
Conclusione: tenendo presente la necessità di utilizzare glucosio da parte delle cellule neoplastiche, una condizione di disglicemia può rappresentare un rischio di tumore maligno, ma si deve ammettere che, al momento attuale, gli studi randomizzati non hanno dimostrato una consistente correlazione tra terapia insulinica e carcinomi. Pertanto l’autore ritiene che la riduzione della glicemia mediante insulina, analoghi insulinici o mediante entrambi, può ridurre o accrescere il rischio neoplastico, oppure non esplicare alcun effetto.