Diagnosi e trattamento del carcinoma colonrettale nella malattia infiammatoria intestinale
Un rapporto della American Gastroenterological Association




American Gastroenterological Association (AGA) ha pubblicato un rapporto sul rischio di carcinoma colonrettale (CCR) nelle malattie infiammatorie intestinali [IBD, secondo l’acronimo d’uso internazionale: “inflammatory bowel disease”: colite ulcerosa – UC – e malattia di Crohn – CD]: Farraye Fak, Odze RD, Eaden J, et al. American Gastroenerological Association position statement on the diagnosis and management of colonrettal neoplasia in inflammatory bowel disease. Gastroenterology 2010; 138: 738.
Il rapporto si articola in alcuni quesiti.

1) Rischio di CCR nelle IBD.

L’AGA conferma che i pazienti con UC e CD sono ad alto rischio di CCR e sottolinea che è tuttora incerta l’entità di questo rischio a causa delle differenze risultanti nei diversi studi, per diversa provenienza dei soggetti arruolati. A questo proposito viene riferito che recenti meta-analisi hanno indicato che nell’UC il rischio di CCR è stimato al 2% dopo 10 anni, all’8% dopo 20 anni e al 18% dopo 30 anni di malattia. Inoltre, in alcuni studi è stato osservato che il rischio si è ridotto nel tempo probabilmente a seguito della terapia con aminosalicilati.
Anche per quanto riguarda la CD, esistono notevoli variazioni dell’incidenza del CCR, in parte dovuta a differenze nell’estensione delle lesioni e/o alla presenza o meno di resezioni del colon. Recenti meta-analisi hanno riportato un’incidenza di CCR del 2,5% e un rischio del 4,5%.
2) Fattori che influenzano in senso positivo o negativo l’insorgenza di CCR nelle IBD, oltre la displasia.
La durata della malattia, l’estensione delle lesioni, la presenza di colangite sclerosante primitiva e storia famigliare di CCR sono tutti fattori favorenti lo sviluppo di un CCR. Inoltre hanno notevole rilevanza la presenza di stenosi del colon nei pazienti con UC, la ridotta lunghezza del colon e la presenza di multipli pseudopolipi postinfiammatori. Infine è fattore di rischio il complessivo quadro infiammatorio del colon.

3) Storia naturale della displasia.

L’AGA ricorda che, correntemente, si ritiene che la displasia sia il marcatore più valido di rischio di CCR nell’IBD; tuttavia, sebbene la displasia sia presente dal 75 al 90% dei pazienti con CCR, questo può svilupparsi anche in una mucosa esente da displasia. Inoltre non tutti i pazienti con displasia di lieve grado (DLG) evolvono attraverso una fase di displasia di alto grado (DAG) prima della comparsa di un CCR. Si sottolinea che l’interpretazione di una lesione displastica nei campioni bioptici è soggetta a notevole variabilità tra gli osservatori. L’assenza di displasia a un controllo che segue l’osservazione di displasia a una prima colonscopia, non autorizza a ritenere diminuito il rischio neoplastico. Si deve tenere presente che una DLG unifocale comporta un rischio di CCR simile a quello di una displasia multifocale, anche se si richiede conferma da ulteriori ricerche.

4) Deve essere eseguita una colectomia in caso di displasia elevata?

Secondo l’AGA, nei pazienti con IBD e una lesione displastica non-adenoma-simile deve essere eseguita una colectomia, mentre in caso di displasia o massa adenoma-simile, in assenza di displasia piatta non rilevata in altre aree del colon, può essere eseguita soltanto una polipectomia seguita da sorveglianza.
5) In caso di displasia piatta deve essere eseguita una colectomia?
Esistono forti dubbi nel ritenere che, in caso di DAG, una colectomia possa essere utile nel trattamento di un carcinoma sincrono non diagnosticato e nella prevenzione di un tumore metacrono. Inoltre vi sono dati insufficienti per valutare il rapporto tra beneficio e danno di una colectomia in caso di DLG piatta.

6) Utilità della sorveglianza mediante colonscopia nei pazienti con IBD.

L’AGA riconosce che al momento esiste soltanto una certezza “moderata” che la sorveglianza colonscopica consenta una “moderata” riduzione del rischio di CCR. Tuttavia consiglia la sorveglianza colonscopica nei pazienti con IBD ad alto rischio neoplastico e ritiene che i pazienti con IBD ed estese lesioni del colon possono trarre beneficio dalla sorveglianza.

7) Modalità di esecuzione della sorveglianza colonscopica.

Si ritiene che nei pazienti con IBD la sorveglianza colonscopica debba includere “estese” biopsie in tutti i segmenti del colon. È consigliabile, inoltre, un intervallo da 1 a 3 anni tra le biopsie colonscopiche. I pazienti che hanno anche una colangite sclerosante primitiva (CSP) devono iniziare la sorveglianza colonscopica al momento di questa diagnosi e continuarla annualmente.

8) Ruolo delle tecniche per immagine nella identificazione e nel trattamento della displasia.




Viene ricordato che la cromoendoscopia ha una sensibilità maggiore della endoscopia a luce bianca nell’identificazione di una displasia, purché condotta da endoscopisti esperti. Inoltre questa tecnica può consentire di ovviare alla necessità di biopsie multiple.
Tuttavia l’AGA sottolinea che, nonostante i migliorati metodi di esecuzione di questa tecnica, fino al momento attuale non sono stati riportati CCR “inaspettati” in corso di cromoendoscopia. Ritiene pertanto che la colonscopia a luce bianca, eseguita con la tecnica standard o con tecnica ad alta definizione, associata a biopsie multiple, rimanga il metodo di sorveglianza “ragionevole” nei pazienti con IBD. L’AGA cita altre tecniche per immagine recentemente proposte per la sorveglianza colonscopica, quali la tecnica a banda stretta e la endomicroscopia confocale.
9) Uso dei farmaci chemiopreventivi per ridurre il rischio dell’evoluzione della displasia in carcinoma.
In primis l’acido ursodesossicolico, che ha mostrato una significativa riduzione del rischio di CCR nei pazienti con UC che hanno anche CSP. In seconda linea (utilità “moderata”) sono posti gli aminosalicilati. Per contro, i corticosteroidi per uso orale o topico hanno dimostrato effetto antineoplastico soltanto in due studi, ma sono associati a notevoli effetti collaterali che ne sconsigliano l’uso. Insufficiente dimostrazioni di effetto antineoplastico vi è per azatioprina, 6-mercaptopurina, supplementi di acido folico, calcio, multivitamine e statine.
10) Applicazione di marcatori molecolari alla classificazione dei pazienti in gruppi a basso rischio e ad alto rischio.
Secondo l’AGA non vi sono sufficienti dimostrazioni che indichino vantaggi o svantaggi dell’uso di questi marcatori nell’identificazione del rischio neoplastico. Pertanto essi non dovrebbero essere adoperati nella stratificazione dei pazienti in basso o in alto rischio.