Come un disco rotto

Da qundo era giunta a Tokyo­­­ aveva incominciato a ripetere sempre più sovente i medesimi discorsi, come un disco rotto. Quando Kuwako veniva a casa mia per una rapida visita, raccontava quanto tribolasse a causa della mamma. In effetti doveva essere insopportabile ascoltarla ripetere le stesse frasi dal mattino alla sera, come un disco rotto. Invitavo spesso mia madre, per dare un po’ di respiro a mia sorella. Ma, dopo una serata trascorsa con noi, il mattino seguente desiderava già fare ritorno dalla figlia. Anche volendo trattenerla con la forza non sarei riuscito a convincerla a restare per più di tre giorni. Sia io sia i miei familiari capivamo che la sua smemoratezza e la tendenza alla ripetizione andavano sempre più accentuandosi.





«La nonna si è guastata» commentò il mio primogenito, studente universitario, e in effetti mia madre dava l’impressione di essere un meccanismo rotto. Non era malata, ma una parte di lei aveva ceduto. Ciò, di per sé, non costituiva un danno totale, coinvolgeva solo una parte mentre altre erano intatte, ma rendeva la situazione sempre più difficile. Le parti integre e quelle compromesse si mischiavano di continuo ed era arduo distinguerle. Nonostante fosse afflitta da una notevole mancanza di memoria, vi erano particolari che ricordava perfettamente.

Quando era da me si affacciava più volte al giorno al mio studio. Sentivo avvicinarsi dal corridoio gli inconfondibili passi felpati di mia madre in pantofole: mi bastava un attimo per capire che era lei.
Mi domandava cerimoniosamente: «Posso disturbare un attimo?» e dopo questa premessa incominciava a raccontarmi ciò che avevo già udito più volte. Che la ragazza di una certa famiglia del paese si era sposata e bisognava mandarle un regalo, che la Tal dei Tali aveva detto la tal cosa e lei desiderava che lo sapessi: tutti discorsi di simile tenore. Per noi erano inezie prive di importanza ma a lei, che le ripeteva senza dimenticarsene dovevano indubbiamente sembrare questioni gravi...


Da: Ricordi di mia madre,
di Inoue Yasushi.
Traduzione di Lydia Origlia.
Adelphi Edizioni, 2010.
Pagine 24 e 25.