Libri: recensioni

Vivere una sola vita in una sola città,
in un solo paese, in un solo universo,
vivere in un solo mondo, è prigione
Ndjock Ngana
poeta del Camerun
Il bambino
che viene da lontano

Il bambino migrante è una realtà in continua espansione che pone problemi di ordine sociale, culturale e assistenziale. Ne abbiamo avuto concreta esperienza in Italia, forse più che in altri Paesi europei, negli ultimi due anni. Diverse sono le problematiche per il bambino adottato, realtà quest’ultima, consolidata da alcuni decenni nel nostro paese.
Già alla fine degli anni ’90 con la legge Turco-Napolitano, per gli immigrati regolari ed anche per quelli senza permesso di soggiorno si era stabilito che questi ultimi, e, quindi, anche i bambini, avessero pari diritti dei cittadini italiani per quanto riguardava sia le cure urgenti che la tutela della salute in senso più ampio. Il numero di questi soggetti è cresciuto in maniera esponenziale; fonti ufficiali indicano in oltre 900.000 i minori stranieri censiti, senza contare i figli di immigrati che non hanno permesso di soggiorno e i profughi non registrati; ma le cifre variano a secondo delle fonti. Quello che è certo è che il fenomeno sta assumendo proporzioni tali da non rimanere più in seconda linea. Le problematiche che solleva, al di fuori dell’aspetto giuridico, sono quelle per le quali il Pediatra non può non sentirsi coinvolto, e che lo trovano spesso impreparato.
Utili informazioni ci vengono date in un agile ma esaustivo volume: Crescere senza confini. Francesco Gesualdo, Elisabetta Pandolfi, Mariateresa Romano. Pagine 90. Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 2011. Euro 15,00. ISBN 978-88-490-0375-8, in cui - preceduti da una presentazione di Alberto Tozzi che ne stimola la lettura - vengono trattati (sei capitoli) gli aspetti più rilevanti del fenomeno, le sue dimensioni numeriche e le implicazioni cliniche oggetto di più frequente consultazione da parte degli operatori sanitari (nel caso specifico: del pediatra). Nel primo capitolo è trattato il problema demografico nel mondo e, in maniera più dettagliata, in Italia, con una sezione “dedicata” al bambino adottato. Nel secondo capitolo viene preso in considerazione l’aspetto comunicazionale: come stabilire un ponte tra medico e paziente di diversa cultura, lingua, religione, alimentazione. Vengono poi trattate le possibili patologie infettive, acquisite sia nel paese di destinazione, sia nel paese di origine. A seguire, l’importante tema delle vaccinazioni, sul quale gli Autori si soffermano in maniera dettagliata. Opportuni risultano i paragrafi sulle patologie della pelle, in particolare su quelle proprie delle regioni tropicali, e su alcuni comportamenti culturali tradizionali, quali la circoncisione e la clitoridectomia, con un approfondimento delle implicazioni mediche e giuridiche. Infine, vengono discussi i problemi legislativi, sia per il bambino migrante, sia per quello adottato. In questa sezione viene opportunamente denunciata una lacuna della legge Turco-Napolitano: pur avendo diritto all’assistenza e prevenzione sanitaria, il bambino migrante non può usufruire di un pediatra di famiglia, se non in alcune – poche– Regioni. A seguito di questo “ limbo giuridico”, a partire dal 2005 istanze in merito sono state avanzate dalla Società Italiana di Pediatria. Tempestiva risulta, quindi, la sottolineatura del collega Alberto Tozzi - con la quale concordo pienamente - là dove caldeggia il ruolo primario del pediatra, nelle situazioni e luoghi possibili, riservando ad eventuale, ulteriore livello gli interventi specialistici.



Il titolo del libro è suggestivo; si potrebbe aggiungere: “ Bambino proveniente da luogo circoscritto dal punto di vista antropologico, culturale, religioso e nutrizionale”. Per esperienza diretta acquisita nei paesi del Terzo Mondo, ma anche nei cosiddetti paesi emergenti e in quelli dell’Est europeo, relativamente a problematiche nutrizionali che richiedono comportamenti diversi per il singolo soggetto, credo di poter aggiungere un tassello, esemplificandolo in due situazioni. La genetica delle popolazioni ci insegna che la tolleranza verso un singolo alimento varia a secondo della collocazione geografica. Ne è un esempio l’intolleranza al lattosio, al latte che non sia quello materno, per la carenza dell’enzima lattasi. Nel bambino che non assume più il latte materno è un dato da tener ben presente, se non si vuole provocare patologia. È, questo, un aspetto, ma non il solo, che rientra in un campo più vasto: quello della nutrigenomica. Altro esempio è quello che riguarda soggetti provenienti da alcune regioni del Sahel, i quali possono ammalarsi di celiachia se non evitano cibi contenenti glutine. Peraltro, anche la quantità del cibo, non solo la qualità, va tenuta in considerazione secondo i canoni dell’antropologia nutrizionale. I bambini del Pakistan, del Bangladesh, dell’India o di altre regioni asiatiche, dopo lo svezzamento si nutrono di poco riso, di pochi legumi o altri vegetali, di poco sale e solo di alcune proteine animali; giunti in Occidente, rischiano una malnutrizione alla rovescia: da denutriti diventano obesi.
In conclusione, possiamo affermare che, seppure sinteticamente, il libro offre tutti gli elementi per risolvere i quesiti essenziali del bambino migrante.

Pier Luigi Giorgi