Quello che i medici non dicono

Non per proteggerti, perché non è il loro mestiere fare da angeli custodi. Loro vedono tutto insieme, non pezzo per pezzo. E poi, non hanno idea di come uno li ascolta, quando è malato, segnandosi a mente le parole e le pause e le sfumature di voce che non si accorgono di avere. Quando i medici ti spiegano la malattia, tutti i tuoi pori della pelle uno per uno ascoltano e ricompongono il puzzle delle parole nella testa e poi ce lo lasciano lì, intatto, che magari a mesi di distanza li senti dire una cosa che scivola o inciampa su quel puzzle e fa un rumore tremendo, di schianto. Ma come? Aveva detto così. E invece adesso… I medici, forse non hanno idea di quanto pesino le loro parole. Che uno le prende in mano come fossero un oggetto prezioso e fragilissimo, e se le tiene così, sempre davanti agli occhi: altro che i dieci comandamenti…
E poi uno se le rimastica in bocca e nella testa e dentro la pancia, le parole dei dottori. Prova a prenderle da un verso e dall’altro, le tiene in controluce per vedere le trasparenze e le macchie, le avvicina al viso per sentirle, col naso e con gli occhi e con le dita. E invece, come forse è giusto che sia, loro se le dimenticano, le rimangiano perché così vuole la malattia, è lei che comanda, né tu né loro. E la malattia non parla, accidenti. Si manifesta, ma non dice niente, non c’è parola che le si possa cavar fuori.
Solo quel vomito amaro di bile, gli occhi spalancati di paura, la gola muta, il corpo stanco, le metastasi che brucano di nascosto finché un giorno non le senti dentro, come un bambino morto che continua a crescere nella pancia, anche se quella non è vita, ma il suo contrario.
Perché quando succede la malattia, il mondo si divide in due. Esiste sempre quello dei sani, quello dov’eri prima. L’altro lo si impara a conoscere giorno per giorno, ma all’inizio è tutto mistero.


Da: La vita è una prova d’orchestra,
di Elena Loeventhal.
Einaudi, Torino 2011.
Pagine 124-125.