Medicina e letteratura: un’antologia




Seduta di terapia
Alcuni tra i mezzimatti ridono, e il fatto che Lowell sia uno di loro è lusinghiero e incoraggiante per Frederick. Per un rapido istante, forse indistinguibile da un colpo di tosse, sembra concedersi un risolino anche Canon. Ma è probabile che si tratti di un semplice trucco per mantenere la presa emotiva sul gruppo, per comunicare che ha colto il tentativo di humour, ma che in gioco ci sono cose più importanti di una bella risata.
«So che lei usa l’umorismo per mascherare l’ansia. È un meccanismo di difesa molto diffuso. Ma vorrei che ci parlasse degli eventi che hanno portato all’incidente nel New Hampshire. Delle preoccupazioni dei suoi amici e famigliari. Del motivo, ad esempio, per cui sua moglie ha pensato che questo sarebbe stato il posto migliore per lei».
«Maledetto...» comincia Frederick. «Ma lei chi è? Non è che uno stupido passacarte che ha imbrogliato...»
Marvin ha trascorso la prima metà della seduta in un silenzio abbattuto, ma la rabbiosa reazione di Frederick sembra scatenargli qualcosa nel profondo e comincia a gridare: udire una componente di passione nella sua voce è una tale sorpresa che è come se qualcuno avesse sparato un colpo di pistola in aria.
«Voglio i miei vestiti!» grida Marvin. «Voglio i miei vestiti! Voglio la mia vecchia casa! Subito! Subito! Subito!» «Parleremo dei suoi problemi quando verrà il suo turno» dice Canon, senza riuscire a nascondere un certo turbamento.
«Subito! Subito! Subito!»
«Subitosubitosubitosubitosubito» ripete il baritono catatonico.
Molte volte, nel corso dei suoi studi, Canon ha sottolineato l’importanza di non lasciarsi coinvolgere dalle passioni dei pazienti, di mantenere un tono calmo e misurato (…)
Anche se pochi, per non dire nessuno, sono in grado di distinguere le sue parole nel fracasso generale, il dottore ribatte: «Mr Foulds, se non riesce a comportarsi in modo civile non potrà proseguire la seduta insieme a noi, e questo, come lei già sa, porterà a un’ulteriore riduzione dei suoi privilegi».
«Ho detto subito! Voglio i miei vestiti subito!» strilla Marvin, sfilandosi il camice ospedaliero dalla testa e mostrando la sua notevole virilità all’intero gruppo.
Canon rivolge un gesto agli zelanti Crew Crew, che calano rapidamente su Marvin e lo trascinano via per le ascelle. Non lo si vedrà più fino a tarda sera. Quando rientrerà a Ingersoll dall’isolamento, sarà ricaduto nel suo mutismo e indosserà un camice fresco di bucato.

Da: La tempesta alla porta,
di Stefan Merrill Block.
Traduzione di Stefano Bortolussi.
Neri Pozza Editore, Vicenza 2011, pp. 98-99.