Medicina e letteratura: un’antologia




Il risveglio
Rimasta sola, aprì le tende della stanza che divenne chiara, prese una sedia e si avvicinò ad Alice, era tanto che non le parlava e ricominciò a raccontarle della sua grassezza e della paura di papà, di quanto le piacesse il cibo, di come trovasse piacevole passare il tempo a mangiucchiare e le descriveva la cena della sera precedente, quella ufficiale con papà che le aveva cucinato la pasta e senza lesinare aveva preparato tante verdure vietandole il pane e poi, per evitare che ricominciasse a mangiare poche ore dopo, le aveva sbucciato tanta frutta colorata e dolce. Mentre le raccontava senza tralasciare particolari, Alice aprì gli occhi e li spostò rapidi su di lei. Le fece impressione il movimento e smise per un attimo di parlare, e Alice tornò con gli occhi verso il soffitto. Allora per impulso la chiamò e lei rapida tornò a guardarla. Non aveva mai reagito a un impulso esterno dalla notte dell’incidente. Si alzò dalla sedia, andò sul fondo della stanza e le disse parlando forte: «Alice tu mi senti?».
Alice alzò una mano e se la portò alla testa, Aurora scappò dalla stanza per cercare i dottori. Faticando con la sua mole su per le scale le sembrava di essere inseguita da un fantasma.

Quelle furono le prime mosse del risveglio di sua sorella. Seguirono giornate convulse di appostamenti, sempre seguiti da piccoli movimenti. Il problema, come verificarono i dottori, era che Alice si era svegliata dallo stato vegetativo ma non aveva muscolatura sufficiente per fare gesti compiuti, andava rieducata in ogni muscolo, muscoli fermi oramai da anni. Da quel giorno cominciò la loro nuova vita. Cominciarono la ginnastica passiva e i massaggi, arrivò il logopedista per ripartire con la voce, le corde vocali non vibravano più, si erano atrofizzate, lei stessa aveva disimparato a parlare, a emettere aria dai polmoni, la stanza si riempì di persone e diventò il luogo più trafficato dell’ospedale dopo che per anni era rimasta vuota. Padre e figlia furono riconvocati dal team degli psicologi per prepararli al rientro in famiglia della paziente. Per il padre non c’era alcuna necessità di rieducarsi ad Alice, Alice c’era sempre stata anche se non parlava più non si muoveva più non litigava non sbatteva la porta e non mangiava più gelati. Mancava l’ultimo atto, Alice doveva tornare a casa e loro avrebbero potuto accudirla come una bimba piccola da crescere. C’erano i gorgoglii da far diventare parole, i sussulti gesti. Misero su una nuova famiglia. La stanza di Aurora divenne quella di Alice mentre lei e il padre dormivamo insieme. Tutto si muoveva in funzione di Alice, il tempo lo spazio le parole tra loro i silenzi o i rumori della casa. La stanza di Alice, le sue innumerevoli medicine, il suo letto per degenza, le tende nere per oscurare anche di giorno, il tutore in attesa dei passi. Aurora smise di mangiare con voracità, non ne aveva nemmeno il tempo, le cose da fare per la sorella erano tante, a volte troppe, si diceva. Due anni per tirare fuori da Alice neonata una ragazza lenta sottile bianca e nuova. Dolcissima, mentre avanzava sbilenca incerta e col vago sorriso, col senso pieno di stare finalmente nel mondo, e con quello strano balbettio sordo: «Stai bene oggi Aurora?».

Da: Le voci intorno,
di
Maria Pia Ammirati.
Cairo Publishing, Milano, 2012,
pagg.
91-94