In questo numero

Lo studio più antico – o quantomeno di durata maggiore – in ambito cardiovascolare ha subìto una contrazione del 40% dei finanziamenti: parliamo del Framingham Heart Study (FHS) che è finito sotto la scure della cosiddetta “sequestration”, la riduzione dei budget decisa dal Governo statunitense che ha avuto conseguenze pesanti anche nel campo della ricerca clinica. In termini più concreti, i soldi a disposizione passeranno da 9 milioni di dollari a circa 5 per i prossimi anni. In tempi di generalizzata spending review si resta comunque colpiti dalla decisione di penalizzare uno degli studi che – per ampiezza della popolazione coinvolta e completezza degli approfondimenti – ha fino ad oggi rappresentato una fonte di informazione e di dati insostituibile non soltanto per la cardiologia specialistica, ma anche per la medicina generale. Di fronte a certe decisioni, si resta interdetti e inquieti: le malattie cardiovascolari “pesano” sul servizio sanitario come poche altre, soprattutto in termini assistenziali. Basti pensare che i farmaci del cuore e dei vasi sono da anni i più prescritti (circa il 47% della prescrizione territoriale) e nel 90% dei casi il costo è a carico del SSN.
Come vediamo sfogliando le pagine di questo numero di Recenti Progressi, nonostante l’intensità e il valore della ricerca le domande ancora inevase sono moltissime. Il clinico chiede risposte, non risparmiandosi – come leggiamo nella lettera che chiude il fascicolo di Attilio Dalla Via – nella ricerca anche “artigianale” di percorsi utili a raggiungere obiettivi di salute nella complessità di gran parte delle storie di malattia. Evitare lo spreco della ricerca inutile è un obbligo, come anche non penalizzare la ricerca che fino ad oggi ha aiutato il medico a fare meglio il proprio lavoro.