La cura del paziente end-stage.
Dove? Come? Quando?
Marco Geddes da Filicaia1
E-mail: marco.geddes@gmail.com

The care of patients with end-stage organ-failure. Where? How? When?

Summary. The management of patients with end-stage organ failure necessitates a considerable integration between palliative care and those who care the patient in different clinical settings: the general practitioner, who is – or should be – always involved and, in relation to the steps of care, the emergency department, the hospital units, and the intensive care unit. The staff involved should have skills and competences to plan with the patient or his/her family a shared schedule, which may result in the interruption of disproportionate treatments. All this leads to many concerns discussed in the document by the Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI); the paper provides a useful guide to where, how, and when we care, inform, and communicate. In this editorial, the author discusses these three topics, setting them in the reality of the Italian health care system. The aim is to emphasize the aspects of space, time and organization of care, focusing on the communication challenges that influence the process of defining a “shared schedule” between the patients, their families, and the health care system.

Il documento di consenso sull’end-stage propone un percorso clinico-assistenziale finalizzato a orientare la scelta fra un trattamento intensivo e un trattamento palliativo simultaneo1. Ciò comporta, come il documento evidenzia, una notevole integrazione fra palliativisti e chi ha in carico il paziente nei vari contesti clinici: il medico di medicina generale, che è – o dovrebbe essere – sempre coinvolto e, in relazione alla fase di percorso del paziente, il Dipartimento di emergenza, le Unità operative di degenza, l’Unità operativa di cure intensive. Il personale coinvolto deve avere capacità e competenze relazionali per prospettare al paziente e a coloro che hanno un ruolo di sostituzione o affiancamento, una pianificazione condivisa, che può comportare l’interruzione di trattamenti sproporzionati. Una scelta difficile, e talora drammatica, nella consapevolezza – che diviene manifesta quando non era stata percepita o era solo celata – di un’evoluzione della malattia inarrestabile e di una spazio di vita limitato. Tutto ciò comporta molteplici interrogativi, posti dallo stesso documento, che a tal fine offre rilevanti parametri, di dove si assiste, si informa, si comunica, si relaziona; di come; di quando. Proviamo a riproporre questi tre quesiti calandoli nella realtà del nostro sistema sanitario, per sottolineare gli aspetti spaziali, temporali e organizzativi in cui non tanto l’assistenza e le cure si espletano – tema peraltro generalizzabile all’insieme dell’assistenza sanitaria – ma focalizzandosi sulla “pianificazione condivisa” e l’informazione/comunicazione/relazione.
Dove
Il luogo, se per tale si identifica la struttura nel suo complesso, è quello in cui si trova il paziente nel punto della traiettoria di malattia nel quale inizia la fase “end-stage” delle grandi insufficienze d’organo. È tuttavia possibile, e anzi probabile, che i punti siano molteplici e non vi sia un solo momento disvelatore delle problematiche e di condivisione della pianificazione, che può essere attuata in più fasi e riguardare diversi aspetti: il trattamento farmacologico, le terapie di supporto, la disattivazione di un dispositivo impiantabile ecc. Ora il “dove” è raramente l’hospice, luogo che dà le maggiori “garanzie ambientali”. I posti letto negli hospice i sono pochi e in alcune regioni quasi assenti (in Sicilia 0,10/10.000 abitanti; in Calabria 0,09; in Campania 0,03 a fronte del Veneto con 0,31, dell’Emilia-Romagna con 0,50 e della Lombardia con 0,63) 2; inoltre, si potrebbe obiettare che chi viene ricoverato in hospice ha già – o dovrebbe avere già – condiviso una pianificazione di cui tale struttura rappresenta uno strumento. Solo il 10% dei pazienti passa, negli ultimi tre mesi di vita, da casa all’hospice e gran parte degli spostamenti sono invece da casa all’ospedale. È possibile e probabile che questi momenti di pianificazione, anche per la molteplicità dei soggetti coinvolti, siano per lo più nelle strutture di ricovero: le RSA e in particolare l’ospedale. Dove si svolgono? Nella stanza singola del paziente? In un luogo deputato, e adeguatamente arredato, per i colloqui con i familiari? Nel box di Terapia Intensiva in cui i parenti possono assistere il congiunto? In salottini di attesa adeguatamente arredati e dimensionati per un nucleo familiare?
Chi ha una conoscenza, anche sommaria, della realtà italiana, sa che questi spazi sono rari: poche le stanze singole rispetto anche agli standard di altri Paesi; non frequenti le Terapie Intensive con postazioni individuali separate e idonee a una presenza, anche continuativa, dei familiari; rare le aree di colloquio, e quelle di attesa sono modulate, anche come arredamento, sugli spazi aeroportuali piuttosto che su ambienti idonei all’intimità e alla riflessione. Luoghi spesso non tutelati, talvolta “parassitati” da altre esigenze vere o presunte: la stanza da letto per il medico di guardia, un ulteriore ambulatorio per poter concentrare la massima parte delle attività solo in orario mattutino, lo spogliatoio degli specializzandi, e via dicendo.
Come
Il “come” è affidato alle capacità non solo strettamente professionali, ma relazionali degli operatori, alla loro esperienza e alla loro formazione. Saper parlare e saper ascoltare sono ben più che regole di eleganza e di cortesia; la parola è pienamente tale solo nel momento in cui ha superato l’intervallo che separa colui che parla da colui che ascolta, e ritorna come risposta. Come una palla – scriveva Montaigne – tirata da un giocatore, che si attende quindi che sia rilanciata. Solo in questo modo, peraltro, un operatore sanitario, in un colloquio così impegnativo, può intuire se il paziente e i familiari – suscitando appunto quesiti e considerazioni da parte loro – comprendono e condividono, oltre ad assensi più o meno formali, le scelte di cura.
È difficile separare il “come” dal “dove”. Sarà certo vero che quella comunicazione autorevole, partecipata ed empatica, effettuata a sedere sul letto del paziente, separati da una tenda dal paziente vicino, o in piedi in un corridoio con inevitabili interruzioni e rumore di fondo, è stata adeguata, efficace e compresa. Ma quanta fatica in più! E poi, ne siamo sicuri? E la condivisione, se coinvolge il singolo operatore di cui pazienti e parenti apprezzano il sovrappiù di fatica, non si estende certo alla struttura e al sistema, che è stato così avaro di ambienti e di conforto.
Alla parola può aggiungersi lo scritto, esplicativo e di corredo. Mai, neanche parzialmente, sostitutivo. Il “… poi legga qui che è tutto spiegato con parole semplici…” non funziona, tanto più nel nostro Paese, in cui la lettura è – purtroppo – attività poco abituale, così che ci ritroviamo ancora con il 5% di analfabeti e il 71% sotto la soglia minima per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi di vita sociale quotidiana 3.
Quando
Il documento di consenso offre fondamentali indicazioni per identificare, anche attraverso la “surprise question”, quando affrontare nuovi obiettivi di cura proporzionati allo stato di salute e all’attesa di vita del paziente. Viene pertanto chiarito il “quando-congiunzione”: “Quando vedi un malato sufficientemente malato per morire parlagli, aiutalo e discuti con lui di questa possibilità”. Vi è tuttavia il “quando-avverbio”: in quale momento, in quale spazio del mio tempo-lavoro?
A fianco del tempo per l’assistenza, che deve ampliarsi per pazienti in end-stage, abbiamo bisogno di tempo per informare, comunicare e relazionarci. Tempo che il documento di consenso definisce giustamente come “tempo di cura”. Su quali variabili bisogna agire per incrementare la risorsa tempo? Ne indico tre.
Risorse di personale infermieristico: questo è un tema ineludibile per applicare correttamente il percorso clinico assistenziale che viene proposto, attuandolo in quota crescente in ambiti extra-ospedalieri (domicilio, ospedale) e assicurare, nei prossimi anni, un’assistenza adeguata in una popolazione in cui la percentuale di anziani e le comorbilità connesse all’invecchiamento sono in aumento. Il triste primato della carenza di infermieri nel nostro Paese (6,6/1000 abitanti a fronte di una media europea dell’8,4 e di parametri del 9,0 in Francia e Gran Bretagna, dell’11,5 in Germania del 15,7 in Danimarca) non è più compatibile con una servizio sanitario che si faccia carico di problematiche quali quelle esplicitate dal documento.
Organizzazione dell’assistenza: è necessario implementare e generalizzare nuove forme organizzative dell’assistenza (aree per intensità di cura, organizzazione Lean, ecc.) per ridurre gli sprechi e orientare le risorse liberate al “tempo di cura”.
Nuovo approccio informatico: l’informatizzazione dei dati è fondamentale, in particolare per interventi che integrano diverse competenze come quelli indicati dal documento di consenso. Bisogna tuttavia promuovere un nuovo approccio – anche culturale e professionale – ai sistemi informatici. L’informatizzazione mette a disposizione una massa di dati utilissimi, ma se non è flessibile, i sistemi non dialogano, le richieste – anche burocratiche – si incrementano e l’uso non è “saggio”, porta a una riduzione del tempo dedicato all’assistenza, come è stato evidenziato in vari contesti sanitari 4.

Interrogarsi sul dove, come e quando può essere utile non solo per concretizzare l’applicazione del documento di consenso, ma anche perché per rendere effettivamente operanti leggi e regole – come suggerisce Lynn Hunt5 – non basta imporle e prevedere sanzioni per chi non le rispetta. Questo, naturalmente, è importante, ma ciò che è decisivo è che gli individui, la comunità, respirino le regole, e che esse pervadano nei modi più diversi, magari apparentemente marginali, il nostro modo di vivere.
Se questo è vero per leggi e regole, lo è, a maggior ragione, per un documento di consenso.
Bibliografia
1. Gristina G, Orsi L, Carlucci A, et al. per il Gruppo di Lavoro Insufficienze Croniche d’Organo. Parte I. Il percorso clinico e assistenziale nelle insufficienze d’organo “end-stage”. Recenti Prog Med 2014; 105: 9-24.
2. F. Zucco (a cura di): Hospice in Italia, seconda rilevazione ufficiale, 2010. Bologna: Bononia University Press, 2010.
3. Camilleri A, De Mauro T. La lingua batte dove il dente duole. Roma-Bari: Laterza, 2013.
4. Remuzzi G. Medici e pazienti: 8 minuti insieme sono troppo pochi. Corriere della Sera, La Lettura, 12 gennaio 2014.
5. Hunt L. Inventing human rights: a history. New York-London: WW Norton & Company, 2008.