Un fallimento multisistemico: la storia dei farmaci antinfluenzali

Tom Jefferson1, Peter Doshi2

E-mail: jefferson.tom@gmail.com



Multisystem failure: the story of antinfluenza drugs.


Summary. For the past decade decision makers worldwide have endorsed the use of neuraminidase inhibitors. They spent billions of pounds stockpiling the two anti-influenza drugs oseltamivir and zanamivir from the mid-2000s as part of a global effort to be prepared for an influenza pandemic. When the H1N1 pandemic emerged in 2009 the drugs were rolled out around the globe for treatment and prevention of influenza and its complications. Under this spotlight, we were asked to conduct a systematic review for Cochrane to update evidence on their efficacy. What should have been a routine review got complicated as the validity of a key study that underpinned the evidence on efficacy was unclear. Our three and half year battle for data has resulted in the drug manufacturers providing us with full clinical study reports and unveiled a story in which no party has taken full responsibility for ensuring the validity of the evidence underlying its decisions. We hope that the publication of our systematic review of the trials, alongside all the source clinical study reports, will change the way such decisions are made.

Introduzione

Nell’ultimo decennio, in molti Paesi del mondo i decisori sanitari hanno sostenuto l’utilità degli inibitori della neuraminidasi facendo spendere ingenti somme di denaro per approvvigionare i due farmaci antinfluenzali oseltamivir e zanamivir, nella prospettiva di un’emergenza globale successiva a una pandemia influenzale. Quando l’influenza pandemica H1N1 è emersa nel 2009, la commercializzazione di questi due medicinali ha avuto un forte incremento per la prevenzione dell’influenza, per il trattamento della malattia e delle sue complicanze. In questo scenario ci è stato chiesto di aggiornare la nostra revisione Cochrane che era stata aggiornata tre anni prima, nel 2006. Quello che avrebbe dovuto essere un aggiornamento di routine si è trasformato in un affaire internazionale per l’impossibilità di confermare l’affidabilità di uno studio su cui si basavano le conclusioni più importanti circa l’efficacia di oseltamivir. La nostra battaglia per l’accesso ai dati ha progressivamente rivelato una storia nella quale nessuno degli attori coinvolti si è assunto la piena responsabilità per la valutazione della validità dei dati su cui si basavano le decisioni prese. Speriamo che la pubblicazione della nostra revisione sistematica dei trial, insieme all’offerta di accesso a tutti i clinical study report1, possa modificare il metodo alla base dell’assunzione delle scelte di politica sanitaria.

I nodi vengono al pettine

I decisori pubblici non hanno mai documentato in maniera chiara i motivi che hanno indotto diverse nazioni ad approvigionare ingenti scorte di oseltamivir e zanamivir, sebbene la decisione possa sembrare basata sul presupposto che il loro uso avrebbe ridotto del 50% circa i ricoveri ospedalieri e le complicanze gravi dell’influenza quali la polmonite, contribuendo altresì a ritardare il propagarsi del contagio virale2-4.

Alcuni dei presupposti erano basati su una pooled analysis di 10 studi randomizzati effettuata da Kaiser et al.5 e pubblicata nel 2003 su Archives of Internal Medicine. Sebbene, a prima vista, l’analisi di Kaiser et al. avesse l’aspetto di un lavoro di alta qualità scientifica e fornisse un razionale potentissimo per l’approvigionamento6, nel corso della nostra revisione del 2009 divenne chiaro che i dati della pubblicazione erano per la maggior parte non pubblicati e inaccessibili a un’analisi indipendente. Roche, azienda produttrice di ­oseltamivir, aveva finanziato la revisione di Kaiser et al., alcuni degli autori erano dipendenti dell’azienda e quest’ultima aveva anche finanziato i 10 trial presi in considerazione dalla revisione sistematica. Per 3 anni e mezzo, Roche si è rifiutata di fornire i clinical study report completi di tutte le loro parti, nonostante una pubblica promessa di adempiere a questo impegno7,8.

I clinical study report, usati nelle richieste avanzate dalle aziende di immissione di un nuovo prodotto sul mercato, sono rapporti complessi ed esaustivi che possono contenere migliaia di pagine9. All’interno, troviamo il protocollo dello studio, il piano di analisi statistico, il modello di una cartella clinica e altri materiali in appendice che forniscono importanti informazioni contestuali, quali i certificati di analisi che descrivono il contenuto e la forma del farmaco/intervento e del confronto/placebo.

La ricerca condotta per la preparazione della nostra revisione del 2009 ha anche evidenziato discrepanze e differenze nel processo decisionale. La Food and Drug Administration (FDA), che ha accesso ai clinical study report completi, nel foglio informativo del prodotto ha ottenuto fosse inserita la frase: «Non esistono prove che Tamiflu sia in grado di prevenire tali complicanze [infezioni batteriche gravi]». Di contro, la European Medicines Agency (EMA), che non aveva a disposizione la versione completa ma solo alcune parti dei rapporti, così come un’altra importante agenzia statunitense – i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) –, ha tratto conclusioni a prima vista diametralmente opposte basandosi sugli stessi trial10.

Nel 2013, a seguito di una lunga campagna stampa da parte nostra e del BMJ, Roche ha fornito i clinical study report integrali di ciò che riteniamo essere il set completo di trial di oseltamivir sponsorizzati da Roche, senza alcun limite di uso o accesso. Anche GlaxoSmithKline ha fornito gli equivalenti rapporti per i trial dello zanamivir, mettendoci in grado di completare, e successivamente pubblicare, l’analisi1.

Risultati modesti

I risultati della nostra revisione sistematica non sostengono i pressuposti sulla base dei quali i due farmaci sono stati impiegati finora. Sebbene l’uso profilattico diminuisca il rischio di sviluppare i sintomi dell’influenza, dal momento che la coltura virale non è stata eseguita su tutti i partecipanti dei trial non è chiaro se l’assenza di testing sia dovuta all’assenza di sintomi o di infezione11. L’uso di oseltamivir non ha avuto alcun risultato visibile nella prevenzione dell’influenza asintomatica; il dato è importante perché i pazienti asintomatici potrebbero essere infettivi. Non vi sono prove che i due farmaci abbiano effetto sulla mortalità, poiché si sono registrati solo 13 decessi fra i 24 mila partecipanti ai trial clinici (pari allo 0,05% circa). Non esistono neppure prove che il trattamento con oseltamivir possa ridurre il rischio di ricoveri ospedalieri negli adulti (rischio relativo 0,92, 95% IC 0,57 a 1,50) o nei bambini (1,92, 0,70 a 5,23); non sono disponibili dati per zanamivir. Sia la mortalità, sia le degenze erano eventi rari e nessun trial li annoverava come esiti di interesse primario.

Sebbene l’analisi di Kaiser et al. concludesse che l’uso di oseltamivir riduce il rischio di complicanze, i trial non possono supportare questa affermazione, in particolare per l’esito “polmonite”. È un evento difficile da diagnosticare clinicamente e nessun clinical study report di oseltamivir comprendeva una definizione di polmonite o di alcuna delle altre complicanze. Pertanto, nessuno può verificare se si trattasse realmente di polmonite, bronchite, sinusite ovvero otite media. La maggior parte dei trial (14 su 20) si basava su autodiagnosi di polmonite da parte dei partecipanti. La mancanza di definizioni non è sorprendente perché - nei protocolli della metà dei trial - le complicazioni non erano un esito pre-specificato. Per l’altra metà, le complicazioni erano un esito secondario o terziario. La nostra meta-analisi dell’esito “polmonite” non verificata indicherebbe addirittura una riduzione di rischio negli adulti (rischio relativo 0,55, 0,33 a 0,99; NNTB [number needed to treat to benefit]=100, 95% IC 67 a 451) ma non nei soggetti in età pediatrica (rischio relativo 1,06, 0,62 a 1,83). Si sono verificati solo 66 casi di polmonite in 4452 partecipanti e i risultati non sono sufficientemente robusti da consentire conclusioni certe.

Per valutare i possibili effetti di oseltamivir sulla polmonite grave ma non verificata strumentalmente e altre complicanze, abbiamo fatto un’analisi ulteriore di tutte le malattie secondarie e delle complicanze che hanno causato ricovero in ospedale o ritiro dai trial dei pazienti arruolati. Con un numero minore di eventi (24), il risultato non era significativo (0,91, 0,4 a 2,06).

Vi erano problemi simili nei trial di zanamivir, ma non vi erano effetti significativi sulla polmonite non verificata (0,90, 0,58 a 1,40). Zanamivir riduce il rischio di bronchite non verificata in adulti (NNTB=56, 36 a 155) ma la riduzione con trattamento con oseltamivir non era significativa (rischio relativo risk 0,75, 0,56 a 1,01). Nessuno dei due farmaci arrecava benefici significativi a soggetti in età pediatrica con bronchite non verificata.

Entrambi i farmaci riducono di circa mezza giornata il tempo di alleviamento dei sintomi dell’influenza dal momento della loro insorgenza, ma non è questo il motivo che ha indotto diversi servizi sanitari a farne scorta.

Inoltre, in alcuni trial di zanamivir non è stata analizzata l’eventuale assunzione contestuale di altri farmaci – tipo paracetamolo - per alleviare i sintomi sofferti da alcuni pazienti e i dati non sono riportati in sufficiente dettaglio nei clinical study report di oseltamivir. Pertanto, non è chiaro il contributo degli inibitori della neuraminidasi in confronto ai trattamenti sintomatici nell’alleviare la sintomatologia dell’influenza.

Riassumendo, i benefici garantiti da entrambi i farmaci sembrano modesti e comunque devono essere considerati in rapporto ai danni che la loro assunzione è potenzialmente in grado di arrecare.

I dati di tossicità

Si è a lungo taciuto sui danni potenziali di oseltamivir e le analisi di Kaiser et al. non hanno trattato l’argomento. I nostri risultati non dimostrano aumento di rischio negli adulti trattati con zanamivir. Tuttavia, quando usato come terapia antinfluenzale, oseltamivir aumenta il rischio di nausea (rischio relativo 1,57, 1,14 a 2,15; NNTH=28, 14 a 112) e vomito (2,43, 1,75 a 3,38; NNTH=22, 14 a 42). L’uso profilattico aumenta il rischio di cefalee (1,18, 1,05 a 1,33; NNTH=32, 18 a 115) e di effetti tossici psichiatrici lungo il follow-up (1,80, 1,05 a 3,08; NNTH=94, 36 a 1538)1. Come le complicanze, gli eventi avversi non erano stati definiti nei trial, pertanto la qualità dei dati è variabile. Comunque, la popolazione arruolata nei trial di profilassi era composta da persone di ogni età senza sintomi di sindrome influenzale: l’ideale per valutare la tossicità senza essere mascherata da sintomi di infezione come nei trial di trattamento.

Fallimenti multipli

Dal nostro lavoro, sembra che tutti i protagonisti avrebbero potuto agire in maniera differente per assicurarsi che un quadro completo emergesse più precocemente. Se l’analisi delle prove avesse avuto un ruolo nelle decisioni prese dai governi – come speriamo – sarebbe necessario avere una sintesi delle valutazioni, delle evidenze e delle considerazioni che hanno informato le decisioni.

Questioni regolatorie

La FDA, l’unico ente regolatorio ad avere rianalizzato e revisionato dettagliatamente alcuni clinical study report, ritenne 15 anni fa che i benefici dei farmaci erano “modesti” (questo aggettivo compare sei volte in un documento di valutazione di quattro pagine di lunghezza)12. Nonostante queste affermazioni, sui fogli informativi del prodotto le caratteristiche dei farmaci sono descritte in maniera entusiasta. Oggi, l’agenzia statutinense di sanità pubblica CDC continua a sostenere che gli inibitori della neuraminidasi possono ridurre complicanze e mortalità13, sebbene la FDA continui a mantenersi su posizioni più prudenti14.

Ci si chiede se i regolatori debbano registrare e autorizzare farmaci che ritengono di modesto valore rispetto al placebo. La nostra analisi dei documenti FDA su zanamivir mostra che il medicinale è stato registrato non tanto in virtù della sua performance ma perché offriva «un approccio terapeutico alternativo per un importante problema di sanità pubblica in un mercato nel quale le opzioni di trattamento contro l’influenza sono limitate»15. L’EMA ha concesso la registrazione a oseltamivir senza disporre del set completo di dati da Roche, set non necessario per il processo di rilascio di un’autorizzazione. L’EMA utilizza anche esperti esterni per valutare il materiale per la richiesta di registrazione, e un’indagine del 2009 del BMJ ha scoperto che due degli esperti consultati dall’EMA durante il processo di registrazione di oseltamivir avevano contribuito alla preparazione di materiale pubblicato da Roche. Non è noto se questo era stato dichiarato all’EMA16: il potenziale conflitto di interessi deve essere sempre dichiarato, ma problemi di questa natura potrebbero essere evitati se l’EMA disponesse di fondi sufficienti per assumere personale competente cui affidare una revisione invece di dover affidare il lavoro all’esterno.

Metodi e finanziamento della ricerca

La nostra indagine dimostra che la sintesi delle evidenze non può basarsi sulle pubblicazioni. Il processo di produzione delle revisioni sistematiche e la struttura dei finanziamenti non forniscono risorse sufficienti affinché i revisori sistematici possano analizzare a fondo i clinical study report invece di brevi articoli su riviste. Il nostro gruppo è stato molto fortunato avendo ricevuto finanziamenti dal National Institute for Health Research (NIHR) per 4 anni ma vi sono molte altre aree terapeutiche nelle quali sarebbe necessaria una sintesi delle evidenze credibile e approfondita. Data la disponibilità crescente dei clinical study report9, i finanziatori devono considerare come riallocare le risorse indirizzandole verso i ricercatori capaci di garantire un approccio evidence-based all’analisi della letteratura.

Nel 2013, la Roche ha costituito il Multiparty Group for Advice on Science (MUGAS) per rianalizzare il dataset di oseltamivir, ma il finanziamento dell’industria crea dubbi sull’obiettività dell’iniziativa. Al primo incontro del MUGAS, Roche ha minimizzato l’importanza dei trial nella valutazione dell’impatto sulle complicanze: «Non abbiamo chiesto ai medici di cercare le complicanze in maniera attiva […], le hanno riportate sui moduli se pensavano che i pazienti avessero, per esempio, la sinusite o l’otite media, la bronchite, la polmonite o altre infezioni delle vie aeree […]. Onestamente, a quei tempi non eravamo molto rigidi»17. Eppure l’analisi di Kaiser finanziata da Roche concludeva senza eccezioni che l’oseltamivir riduceva le complicanze.

Infine, le riviste biomediche che hanno pubblicato gli studi non hanno ancora corretto i reporting bias che abbiamo documentato con dovizia di particolari18, e il mondo dell’editoria non ha ancora affrontato il problema della peer review incapace di identificarli.

L’ultima parola sugli antivirali contro l’influenza?

Speriamo che gli organismi di sanità pubblica quali CDC e OMS prendano in considerazione le conclusioni della nostra revisione, così da decidere di modificare le loro posizioni. La raccomandazione degli inibitori della neuraminidasi da parte del CDC è oggi basata su analisi che comprendono dati osservazionali retrospettivi, molti dei quali incompleti e senza aggiustamento per il survivor bias (i pazienti che muoiono precocemente hanno meno opportunità di ricevere trattamento)19. L’OMS considera oseltamivir di tale importanza da averlo incluso nella lista dei farmaci essenziali che dovrebbero essere disponibili globalmente20,21 e le numerose assunzioni alla base della perfomance degli antivirali che formano la base dei piani antipandemici restano immutate. Dobbiamo agire per far sì che decisioni future non vengano basate su dati incompleti.

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