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C’è un medico capace di comprendere davvero, senza averla direttamente vissuta, la condizione di malato parkinsoniano descritta da Jonathan Franzen nel romanzo Le correzioni? Quelle mani come bambini cattivi, “creature irragionevoli, egoiste e capricciose…” (pagina 264). Probabilmente no, perché un conto è chiedere ai pazienti di osservare e valutare la propria salute, altro è cogliere l’identità degli «esiti riferiti dal paziente», una realtà complessa e ricca di sfumature che si innesta in un mondo affollato di survey, empowerment e customer satisfaction pericolosamente soggettive e condizionabili.

Lo spiegano Davide Botturi e Stefania Rodella in due contributi destinati a diventare il riferimento per chi, anche in Italia, si affaccia ad un tema di grande rilievo per la valutazione della qualità dell’assistenza. Il paziente, dunque, è al centro di questo fascicolo di Recenti progressi: in definitiva, così dovrebbe essere sempre, smentendo l’improbabile contrapposizione tra “prove” (più o meno correttamente sistematizzate in linee-guida o percorsi di cura) e preferenze espresse dal malato.

Nel 2008, rivisitando criticamente sul JAMA quindici anni di medicina basata sulle prove, Victor Montori e Gordon Guyatt toccavano un punto chiave: i valori del malato non sono un dato stabile ma sono continuamente ridisegnati lungo un processo esposto a molte influenze: “Values and preferences refer not only the patients’ perspectives, beliefs, expectations, and goals for life and health, but also the processes individuals use to consider the available options and their relative benefits, harms, costs, and inconveniences”.

Al percorso che impegna il malato e i suoi familiari guardano sia la politica sia l’industria, ricorrendo ad un’enfasi talvolta eccessiva (come giudicare le infografiche della Canadian Liver Foundation riprodotte in basso?) e costantemente richiamandosi a un orizzonte che si pretende considerare come “nuovo”: quella value-based medicine che in realtà conosciamo da almeno dieci anni.

C’è bisogno di un approccio diverso, come sostiene Federico Spandonaro riflettendo a partire dalla complessa questione della rimborsabilità dei farmaci per la cura dell’epatite C? (pagina 227). Probabilmente sì, ma ridefinire le priorità può implicare il disegnare una sanità diversa, non aggiungendo bensì sottraendo medicina e aggiungendo tutela sociale.

Anche perché sarebbe il caso di porsi la domanda centrale che in pochi si fanno e che è stata rilanciata di recente da Richard Smith sul blog del BMJ: dov’è il valore nella cura del malato?

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