Comunicare la ricerca con i social media

Davide Bennato1

E-mail: dbennato@unict.it

Communicating research with social media.

Summary. Participation is the new keyword of communication. In the scientific field, communication is a very complex task that can’t ignore the careful consideration of the target audience. To minimize the difficulties, it is useful to rely on storytelling: it can greatly benefit from the space offered by social media that can be used to raise awareness and to engage through the sharing of experiences. The marriage between scientific research and social media can take place, as long as you carefully reflect on the roles, strategies and appropriate tools.

Milioni di persone interagiscono attraverso internet, partecipando attivamente alla creazione di un modo nuovo di comunicare e socializzare. I ruoli tradizionali della comunicazione devono pertanto essere ripensati e resi attuali, tenendo conto che la nuova parola chiave – anche quando si parla di comunicazione della ricerca scientifica – è “partecipazione”.

Il processo di comunicazione della ricerca implica in prima istanza valori e credenze, legati da una relazione che si scopre più complessa di quel che appare a prima vista. Se consideriamo ad esempio uno dei temi caldi del confronto odierno, i vaccini, la ricerca di Brendan Nyhan1 del Darthmouth College ha dimostrato che l’informazione corretta ha scarsi effetti su chi nutre un sentimento negativo nei confronti della prevenzione vaccinale e, cosa ancora più sorprendente, la comunicazione basata sulle evidenze scientifiche riduce l’intenzione a vaccinare anche da parte di chi ha un minimo atteggiamento positivo. Volendo trarre una prima conclusione, diremmo che, se in passato prevaleva una posizione “illuminista” per cui si riteneva che un pubblico informato fosse più disposto a far proprie le istanze scientifiche, recentemente ci si è accorti che le persone che hanno un forte convincimento rispetto a una questione che sta loro a cuore mantengono inalterate le loro difese indipendentemente dalle informazioni acquisite.

La comunicazione della ricerca scientifica si configura dunque come un’attività estremamente complessa e articolata, rispetto alla quale occorre stabilire con lucidità la strategia da utilizzare, strategia che dipende innanzitutto dal pubblico di riferimento. Il ricercatore che desidera comunicare i risultati del proprio lavoro potrà porsi nell’atteggiamento del professionista del sapere che “produce” ciò che verrà comunicato. Il giornalista svolgerà il ruolo di colui che “diffonde” l’informazione, in quanto professionista della comunicazione. L’attivista, infine, svolgerà il ruolo di “persuasore”, da “tecnico” dell’advocacy. Ciascuno dei tre attori (ricercatore, giornalista, attivista) utilizzerà una diversa, particolare strategia per rendere efficace la propria attività, facendo ricorso alla tecnica dello storytelling per comunicare raccontando una storia convincente.

I ricercatori, ad esempio, potranno raccontare una “bella storia” alla propria comunità di appartenenza, avendo come obiettivo la propria legittimazione. I giornalisti, invece, avranno il compito di costruire una “bella storia” individuando nel materiale di cui dispongono la chiave a partire dalla quale suscitare l’interesse del pubblico di riferimento. Gli attivisti, infine, con la propria “bella storia” cercheranno di persuadere gli interlocutori sottolineando il valore di quel punto di vista, utilizzando ogni componente emotiva utile per creare curiosità, interesse e consenso.

Riguardo al secondo elemento del “comunicare la ricerca” – soffermandosi, in altre parole, sul termine “ricerca” – chi la vive quotidianamente sa che i dati devono essere raccolti e valutati secondo procedure rigorose, dal momento che quello della correttezza del dato è l’elemento dirimente. Per i giornalisti, invece, il termine “ricerca” può avere un significato diverso: si tratta di individuare, riguardo a un problema specifico, i risultati che si ritiene il pubblico pensi valga la pena ascoltare. Ancora diversa la posizione degli attivisti, per i quali la ricerca è lo strumento per sostenere una posizione valoriale specifica. Si pensi all’ex vice-presidente degli Stati Uniti, Al Gore, e al suo documentario sul tema del riscaldamento globale, An inconvenient truth2.




Per comunicare la ricerca con i social media dobbiamo in primo luogo comprendere come questi non siano canali di comunicazione, ma spazi sociali e aperti abitati da community3. In altri termini, i social media sono strumenti di relazione ed è proprio questo elemento della relazione a dare al processo della comunicazione una valenza diversa rispetto a quella dei canali tradizionali, come la televisione. Al contrario di quanto non sia possibile con quest’ultima, i social media possono essere utilizzati come strumenti di sensibilizzazione e coinvolgimento tramite esperienze che vengono realmente provate da chi li utilizza. A questo proposito, un esempio particolarmente interessante è The Alzheimer’s event4, ideato con il preciso obiettivo di riprodurre nell’utente l’esperienza del disorientamento che viene comunemente provato da chi è ammalato di Alzheimer. I social media possono essere spazi per un aggiornamento sulla conoscenza scientifica, come nel caso della pagina Facebook della biologa Carin Bondar5 che pubblica sistematicamente aneddoti, notizie e curiosità del mondo della natura, e non solo. Possono essere spazi di orientamento e approfondimento, come nel caso di Webicin@6, una raccolta di risorse social media sulla medicina; luoghi utili alla narrazione di una professione che cambia, spazi di contrasto alla disinformazione scientifica come nel caso del progetto itinerante La bufala è servita7. E ancora, spazi di attivismo scientifico per un’informazione corretta: #ladisinformazioneuccide8 di Pro-Test Italia, nata come azione di sensibilizzazione (advocacy) contro le (dis)informazioni diffuse dal programma televisivo “Le Iene Show”9 con un sit-in pacifico e un hashtag su Twitter. E, infine, spazi di attivismo da parte dei pazienti, come il progetto, a metà tra arte e scienza, de La curaThe cure di Salvatore Iaconesi10, digital artist al quale nel 2012 fu diagnosticato un tumore al cervello. Iaconesi ha “hackerato” i propri dati medici (proprietari) per renderli open access e poter così avviare la ricerca di una cura in crowdsourcing, con l’endorsement della comunità scientifica. Un’opportunità resa possibile dagli open data personali.

In conclusione, per comunicare la ricerca con i social media:

• occorre confrontarsi con credenze e valori del pubblico e avere la capacità di scegliere la strategia comunicativa più adatta a superarne le resistenze;

• il ricercatore deve negoziare il proprio ruolo, enfatizzare eventualmente le proprie strategie di comunicazione, a seconda dell’interlocutore, nonché essere disposto a cambiare veste diventando, ad esempio, attivista, accettando anche di “sporcarsi le mani”;

• i social media sono strumenti potenti di comunicazione della ricerca, ma solo se si utilizzano strategie di storytelling congruenti con l’uso sociale dei media digitali: non è possibile raccontare la ricerca su Facebook con la stessa dovizia di particolari di un documentario.

Il matrimonio tra comunicazione e ricerca non è impossibile, e alla sua celebrazione tutti sono invitati.

Bibliografia

1. http://www.brendan-nyhan.com/blog/2014/05/new-nyt-vaccine-skeptics-can-be-immune-to-education.html

2. http://www.takepart.com/an-inconvenient-truth/film

3. Bennato D. Sociologia dei media digitali. Bari-Roma: Laterza, 2011.

4. http://hetalzheimerevent.nl/

5. https://www.facebook.com/pages/Dr-Carin-Bondar-Biologist-With-a-Twist/193162710726173

6. http://www.webicina.com/

7. http://italiaxlascienza.it/main/giornata-2014/

8. https://www.facebook.com/hashtag/ladisinformazio­neuccide?fref=ts

9. http://attivissimo.blogspot.it/2014/05/le-iene-ci-ricascano-dopo-stamina-ora.html

10. http://opensourcecureforcancer.com/