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A quale spazio della rivista assegnare il commento di Nicoletta Dentico su Ebola? Alla fine, Oggi e non Domani. La nota parla soprattutto della situazione odierna dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, fatta di finanziamenti inadeguati e di incapacità di governo globale della salute. Domani, forse, lo scenario sarà diverso ma perché ciò avvenga è indispensabile riconsiderare molte delle certezze che definiscono oggi le politiche sanitarie.

Una è direttamente collegata all’articolo della Dentico: il direttore generale dell’OMS ha dichiarato l’emergenza internazionale di sanità pubblica che, come sottolineato sul JAMA da Gostin, Lucey e Phelan il 17 settembre, presuppone una risposta coordinata. La leadership è stata assunta dagli Stati Uniti: benvenuti, scrive un editoriale del Lancet dell’11 ottobre, ma il Governo americano non è un’agenzia sanitaria multilaterale. Il boccino deve tornare nelle mani dell’OMS dopo una generosa attività di finanziamento. Va anche pianificato un efficace monitoraggio indipendente delle International Health Regulations, sistema che dovrebbe prevenire il propagarsi di emergenze sanitarie che si verificano localmente.

Una seconda lezione riguarda il rapporto tra performance e prestigio delle strutture sanitarie. Diversi articoli sul New York Times testimoniano l’incredulità dell’opinione pubblica statunitense riguardo la risposta del Texas Health Presbyterian Hospital al primo paziente visitato, il signor Thomas E. Duncan. L’anamnesi è stata raccolta da un’infermiera che ha correttamente chiesto al malato la sua provenienza ma non ne ha successivamente informato il medico, che pertanto non ha disposto il ricovero. Ancora: sembra che le infermiere contagiate abbiano rispettato i protocolli dei Centers for Diseases Control ma proprio la complessità della svestizione dagli indumenti protettivi pare abbia favorito il contagio. Il Presbyterian è l’ospedale di scelta per i texani più ricchi, assai ben piazzato nelle varie classifiche dei Best Hospital americani. Le graduatorie lasciano il tempo che trovano e la chiave per il miglioramento è nell’audit per apprendere dagli errori.

Una terza questione tocca delicati aspetti etici che ancor più si presentano nel decidere in condizioni di emergenza: a quali pazienti dare la precedenza disponendo di risorse assistenziali scarsissime? Gli operatori sanitari in prima linea devono avere la priorità nell’allocazione delle risorse o nell’erogazione delle cure? Nella valutazione di una terapia sperimentale è corretto randomizzare? Trattandosi di un’emergenza potenzialmente planetaria, quale peso ha l’orientamento dei decisori politici locali?

«You can’t stop Ebola without staff, stuff, space and systems», ha scritto Paul Farmer in quello che è, ad oggi, l’articolo più bello pubblicato su Ebola. Scritto il primo del mese, è uscito sulla London Review of Books del 23 ottobre con il titolo “Diary”. Da anni, Farmer è il testimone diretto di tutte le emergenze sanitarie patite dal pianeta. Catastrofi sociali, prima ancora che mediche. Forse, per questo, sembra prudentemente ottimista sulla possibilità che possa comunque essere prestata una terapia per il virus: «Yet if the Ebola virus surfaced in Boston or Toronto, there is little doubt that their health systems, despite shortcomings, could effectively contain and then eliminate the disease with far lower case-fatality rates than those reported now in West Africa», ha scritto sul JAMA insieme a Boozary e Jha. Ma la risposta sarà organizzativa: personale preparato, cose utili, spazi adeguati e sistemi che funzionano.

Soprattutto, l’Africa non dovrà più restare un continente abbandonato a se stesso, dove essere costretti a traslocare un mondo sul tetto dell’automobile o a dover piangere nel fare il visto per tornare, come nelle pagine di Teju Cole (vedi p. 439).

Una buona notizia: le riviste scientifiche stanno facendo il loro dovere, pubblicando contributi eccellenti, di autori qualificati, sempre accessibili a tutti gratuitamente. E online. Perché la migliore salute di Domani passa anche per la dematerializzazione che, come sostiene da anni Mauro Moruzzi, è anche la condizione per lo sviluppo di network virtuosi.

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