Dalla letteratura

In collaborazione con l’Associazione Alessandro Liberati – Network Italiano Cochrane
www.associali.it

Cosa leggere su Ebola?

Farmer P.

Diary.

London Review of Books 2014; 36: 38-9.

http://www.lrb.co.uk/v36/n20/paul-farmer/diary

Scritto il 1° ottobre da uno dei più competenti protagonisti della salute globale, docente ad Harvard e infettivologo del Brigham and Women’s Hospital di Boston. Ebola è una patologia che è possibile gestire in un centro ospedaliero attrezzato, sostiene l’autore. Ma nei paesi che hanno dovuto fronteggiare l’epidemia mancano le strutture e non ci sono medici sufficienti: con una popolazione di oltre 4 milioni di persone, la Liberia aveva meno di 50 medici e molti sono morti a causa del virus. Il peggio, però, deve ancora venire, perché la situazione sociale ed economica dei paesi coinvolti dalla crisi sanitaria è destinata ad aggravarsi. La risposta a Ebola chiede: staff, stuff, space and system. Quattro “esse” da cui non si può prescindere.

Boozary AS, Farmer PE, Jha AK.

The Ebola outbreak, fragile health systems, and quality as a cure. 

JAMA. Published online October 06, 2014. doi:10.1001/jama.2014.14387.

http://jama.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1915433

L’articolo riprende alcuni dei concetti che lo stesso Paul Farmer aveva esposto nel saggio uscito sulla LRB (vedi sopra). Sarebbe inopportuno (e probabilmente inutile) rispondere all’epidemia di Ebola con misure-tampone. Piuttosto, è necessario cogliere l’occasione per ripensare il sistema sanitario dei paesi colpiti: «Responding to Ebola with a broader approach that involves meaningful investments in the provision of health care staff, resources, and systems could succeed now and help create sustainable models for the future. If the approach involves reengineering health systems around the patient, there remains an opportunity to bring lasting progress for those who need it most».

Joffe S.

Evaluating novel therapies during the Ebola epidemic.

JAMA 2014; 312: 1299-300.

http://jama.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1905875

Le terapie per Ebola non sono ancora a portata di mano, ma l’emergenza sanitaria solleva questioni etiche rilevanti riguardanti, tra l’altro, le modalità di sperimentazione dei nuovi trattamenti. L’autore, del Dipartimento di Medical Ethics and Health Policy dell’università di Pennsylvania, pone quattro precise domande: «First, is there a role for “compassionate use” of agents in the absence of human safety, efficacy, or dosing data? Second, given the critical scarcity of these agents, which patients should receive priority access? Third, what trial designs should be used to study these agents? Fourth, how should efforts to evaluate experimental agents coexist with established clinical and public health interventions to treat patients and to minimize spread?». Qualsiasi risposta deve andare incontro a due esigenze: minimizzare il numero di morti e contribuire a costruire una base di conoscenze utilizzabile nel futuro.

Kreuels B, Wichmann D, Emmerich P, et al.

A case of severe Ebola virus infection complicated by gram-negative septicemia

New Engl J Med 2014;October 22. doi: 10.1056/NEJMoa1411677.

http://www.nejm.org/doi/pdf/10.1056/NEJMoa1411677

Il quadro clinico e il protocollo assistenziale tracciato da Farmer nell’articolo della LRB è ripercorso dall’équipe tedesca che ha trattato con successo l’infezione da Ebola virus nel paziente trasferito nell’ospedale universitario di Hamburg-Eppendorf. Le conclusioni sono asciutte come il corpo del lavoro: «This case shows that severe EVD with serious complications can be treated successfully with general intensive care measures».




WHO Ebola Response Team

Ebola virus disease in West Africa. The first 9 months of the epidemic and forward projections

N Engl J Med 2014; 371: 1481-95.

Circa 90 mila visite dagli utenti del sito del New England Journal of Medicine per la rassegna dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che fa il punto sui 9 mesi dal manifestarsi dell’epidemia e sulle prospettive per la sanità Africana e internazionale. Sulla base di questa analisi – strutturata rigorosamente in Introduzione, Metodi, Risultati e Discussione – sono stati costruite le infografiche sulla malattia e aggiornati i piani di monitoraggio e intervento internazionale.

Cowling BJ, Yu H.

Ebola: worldwide dissemination risk and response priorities.

Lancet 21 October 2014 doi: 10.1016/S0140-6736(14)61895-X.

http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(14)61895-X/fulltext

Anche il Lancet ha costruito all’interno del proprio sito un’area dedicata a Ebola. La rivista – da sempre molto attenta all’approfondimento delle questioni legate alla salute internazionale – presta particolare attenzione alle problematiche legate alla trasmissione del virus e all’organizzazione sanitaria nei paesi più colpiti dall’epidemia. Oltre agli articoli usciti sul Lancet, nelle pagine del sito sono segnalati altri lavori pubblicati su altre riviste della casa editrice Elsevier. Purtroppo, al contrario di quanto deciso dalle principali riviste statunitensi, gli articoli non sono accessibili a chi non è abbonato alla rivista.

Osterholm MT.

What we are afraid to say about Ebola.

The New York Times 2014; September 11.

http://tinyurl.com/osterholm-nyt

«The Ebola epidemic in West Africa has the potential to alter history as much as any plague has ever done». La poco rassicurante apertura dell’articolo sul New York Times – nell’anniversario di uno dei giorni più drammatici per la storia degli Stati Uniti – è giunta da uno degli esperti più in vista del paese, direttore del Center for Infectious Disease Research and Health Policy dell’università del Minnesota. A cosa era dovuta la forte preoccupazione di Osterholm? Primo, alla possibilità che – considerata la non breve incubazione del virus – il contagio potesse estendersi alle popolose megalopoli nigeriane e indiane. Secondo, che una mutazione del virus ne permettesse la trasmissione per via aerea. «If we wait for vaccines and new drugs to arrive to end the Ebola epidemic, instead of taking major action now, we risk the disease’s reaching from West Africa to our own backyards».

Osterholm MT, Moore KA, Gostin LO.

Public health in the age of Ebola in West Africa.

JAMA Intern Med October 10, 2014. doi:10.1001/jamainternmed.2014.6235

A distanza di un mese dall’Op-Ed sul New York Times, Osterholm torna su Ebola insieme ad altri due autorevoli esperti, questa volta su JAMA Internal Medicine. Un contributo certamente meno enfatico, che mitiga alcune affermazioni decisamente allarmanti che avevano caratterizzato il precedente intervento. Resta il messaggio di fondo: la crisi causata da Ebola deve essere un campanello di allarme anche per i paesi avanzati. È necessaria una governance diversa e più consapevole da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e una capacità di intervento immediata che sappia – all’occorrenza – anche ricorrere all’uso dell’esercito per contenere le emergenze di sanità pubblica.

Godlee F.

Ebola: will enlightened self interest spur us to act?

BMJ Published 16 October 2014; 349 doi: http://dx.doi.org/10.1136/bmj.g6254.

Johnston A, Bailey M

Operation Gritrock: first UK army medics fly to Sierra Leone.

BMJ Oct 14; 349:g6237. doi: 10.1136/bmj.g6237.

Mabey D, Flasche S, Edmunds WJ.

Airport screening for Ebola.

BMJ 2014; 349: g6202 doi:10.1136/bmj.g6202.

La Editor’s choice di The BMJ presenta i numerosi articoli pubblicati nel fascicolo del 16 ottobre tra cui un’intervista al presidente di Medici Senza Frontiere, Joanne Liu, che racconta la propria frustrazione nell’assistere all’impotenza dei paesi colpiti e al ritardo nell’intervento delle nazioni del “Nord” del mondo, ribadendo la necessità di un intervento militare.

L’articolo di Andy Johnston e Mark Bailey descrive la Operation Gritrock che vede militari britannici impegnati nella costruzione di un centro di cure in Sierra Leone. Un editoriale critica la decisione di avviare screening negli aeroporti con l’obiettivo di diagnosticare Ebola nei passeggeri: provvedimenti analoghi durante l’epidemia di SARS non hanno portato alcun risultato e sono costati diverse decine di milioni di euro.

Ebola and big data: waiting on hold.

The Economist 2014; October 25

http://tinyurl.com/economist-ebola

Articolo interessante che suggerisce l’uso dei dati delle aziende di telefonia per un più tempestivo e capillare tracciamento dei focolai epidemici di Ebola. Il call-data record (CDR) si è rivelato un elemento prezioso in occasione dell’epidemia di colera ad Haiti nel 2010 e una ricerca di diversi centri universitari – tra cui Harvard e la Carnegie Mellon University – ha analizzato in modo capillare la localizzazione geografica dei casi di malaria in Kenia, contribuendo alla identificazione delle località a maggior rischio. L’Economist sollecita l’uso dei CDR anche in Africa occidentale, ma nulla si sta facendo: è necessaria un’azione coordinata tra telefonia, autorità internazionali e governi locali.




L’impegno del JAMA per l’EBM

Il JAMA presenta le Clinical Guidelines Synopsis: sintesi e valutazioni critiche di linee guida “per il clinico indaffarato”: un nuovo strumento di sintesi e valutazione critica di linee guida prodotte dalle principali organizzazioni internazionali1. Ogni articolo offre una panoramica delle principali raccomandazioni, sintetizza il problema clinico e le evidenze sulle quali si basa la linea guida. Gli articoli sono tutti corredati da una tabella di valutazione della linea guida che prende in considerazione elementi critici quali la trasparenza, i conflitti di interesse, il grado di applicabilità.

Continua dunque l’impegno pedagogico del JAMA: un percorso iniziato con la serie inaugurata nel 1993, Users’ guides to the medical literature2, che va ancora avanti: uno degli ultimi articoli è su come leggere una revisione sistematica e una metanalisi e su come applicare i risultati nella pratica clinica3. Il contributo (firmato da alcuni dei principali esponenti dell’EBM) ha il pregio di partire da un esempio pratico, con il caso di un paziente con più patologie, per poi illustrare le fasi della ricerca e della valutazione delle migliori evidenze disponibili.

Tra le iniziative del JAMA segnaliamo anche Guide to Statistics and Methods (2014): per aiutare i lettori a comprendere concetti di statistica e intepretare correttamente i risultati di uno studio sono pubblicati articoli che presentano argomenti specifici (il primo è il principio intention-to-treat), affiancati da articoli di ricerca in cui il metodo statistico viene applicato4.

Altre due serie della stessa rivista, molto utili per la pratica clinica, tornano di attualità. Clinical Evidence Synopsis (2013): viene pubblicata (con frequenza mensile) la sintesi di una revisione sistematica proveniente dalla Cochrane Collaboration o dalla US Preventive Services Task Force5. Gli articoli della serie, in un formato estremamente sintetico, trattano argomenti relativi alla pratica clinica quotidiana e riportano le informazioni più importanti; sono privilegiate, come fonte, revisioni sistematiche pubblicate negli ultimi 24 mesi, con alcune eccezioni in caso di argomenti di estrema attualità (per es., le epidemie).

Diagnostic Test Interpretation (2014): viene presentato un caso clinico reale, con i risultati del test eseguito, accompagnato da un esercizio con domande a risposta multipla, che ha l’obiettivo di “stimolare il ragionamento, piuttosto che verificare le conoscenze”. L’articolo è completato da una descrizione del test: cosa misura? come funziona? L’obiettivo dell’iniziativa è far conoscere meglio i test che si prescrivono e promuoverne un utilizzo più meditato.

Bibliografia

1. Cifu AS, Davis AM, Livingston EH. Introducing JAMA Clinical Guidelines Synopsis. JAMA 2014; 312: 1208-9.

2. Guyatt GH, Rennie D. Users’ guides to the medical literature. JAMA 1993; 17: 2096.

3. Murad M, Montori VM, Ioannidis JA, et al. How to read a systematic review and meta-analysis and apply the results to patient care: users’ guides to the medical literature. JAMA 2014; 312: 171-9.

4. Livingston EH. Introducing the JAMA Guide to Statistics and Methods. JAMA 2014; 312: 35.

5. McDermott M, Livingston EH. Introducing JAMA clinical evidence synopsis: from systematic reviews to clinical practice. JAMA 2013; 309: 89.

6. Livingston EH, McDermott M. JAMA diagnostic test interpretation: a new series. JAMA 2014; 311: 1977.

Arabella Festa
Biblioteca Alessandro Liberati
del Servizio Sanitario
della Regione Lazio




Non ricevere gli informatori farmaceutici?

In occasione dell’ultimo congresso della Royal Australian College of General Practitioners è stata formalmente lanciata una nuova campagna per sollecitare i medici a non ricevere in visita gli informatori delle industrie farmaceutiche. L’obiettivo dell’iniziativa No advertising please è ridurre l’inappropriatezza nella prescrizione dei farmaci. Il Coonsumer Health Forum australiano ha subito approvato la decisione dei numerosi medici che hanno aderito, sostenendo che la loro decisione non potrà che garantire al servizio sanitario maggiore trasparenza e credibilità.

Non tutti sono d’accordo sull’opportunità di questa presa di posizione, a iniziare dalla associazione degli industriali del farmaco australiani che, tramite il presidente Martin Cross, hanno affermato che «l’idea di poter ignorare l’informazione proveniente da un’azienda farmaceutica che ha portato avanti un’approfondita ricerca sul farmaco che ha sviluppato è nel migliore dei casi risibile e, nel peggiore, negligente».

«Se io fossi un paziente – ha replicato Justin Coleman di The naked doctor – avrei più fiducia nelle qualità del mio medico se lui non incontrasse informatori». Sta di fatto che la metà dei medici cita l’industria come la principale fonte di informazione sui nuovi medicinali. Dato che appare particolarmente sorprendente se pensiamo che in Australia l’informazione indipendente sui farmaci è molto ricca e vivace: basti pensare al servizio NPS. Medicine wise, al sito Therapeutic Guidelines e all’Australian Medicines Handbook.

In Australia sta nascendo un movimento convincente che preme per il cosiddetto deprescribing, sostenuto soprattutto tra i geriatri, preoccupati dalla prescrizione contemporanea di troppi medicinali, in particolar modo nell’anziano: circa il 20 per cento delle persone in terza età assume regolarmente oltre 10 medicinali. «I don’t see deprescribing any differently from prescribing – ha affermato il professor David Le Couter, geriatra dell’università di Sidney. It has risks and benefits, it needs consent and monitoring, it’s done to improve patient outcomes, how you do it will depend on the drug and the patient. The only difference is that deprescribing is cheaper».

Fonti

http://blogs.crikey.com.au/croakey/ 2014/10/09/new-campaign-urges-doctors-to-stop-seeing-drug-reps/

http://www.nps.org.au/

http://www.tg.org.au/

https://shop.amh.net.au/about

https://www.mja.com.au/insight/2014/35/time-start-deprescribing




Un Nobel nella borsa

La vittoria di un premio Nobel coglie quasi sempre impreparati anche i diretti interessati. E, dal giorno della nomina ai primi di ottobre, la vita di un “Nobel laureate” è destinata a cambiare radicalmente. E per sempre. «La tua esistenza cambia dalla sera alla mattina», ha ricordato Brian Schmidt, astrofisico premiato nel 2011 per i suoi studi sull’energia oscura e l’accelerazione dell’espansione dell’universo. «Nessuno ti avverte in anticipo – ha spiegato in un evento a New York – e, nel mio caso, si è trattato di una semplice telefonata nel bel mezzo di una cena: Pronto? A proposito, lei ha vinto il Nobel Prize».

Tra le tante novità, anche ciò che può capitare quando si tratta di dover viaggiare portandosi appresso la medaglia del premio, un disco d’oro che pesa più o meno due etti e mezzo. «Dopo la premiazione, la mia bisnonna che vive a Fargo in North Dakota ha voluto assolutamente vedere la medaglia. C’è chi pensa che portarsi appresso una cosa del genere non possa causare alcun problema, e così pensavo anch’io fin quando non si è trattato di passare al metal detector in eroporto. La tenevo nella borsa del portatile: un disco d’oro e, dal momento che assorbe tutti i raggi, appare completamente nero».

“Signore, c’è qualcosa nella sua borsa”.

“Sì, credo intenda questa scatola”.

“Cosa c’è dentro”.

“Una medaglia d’oro”.

“Di che è fatta scusi?”

“Ho detto d’oro”.

“Uhhh, e chi gliela avrebbe data?”

“Il re di Svezia”.

“E perché mai gliel’avrebbe data a lei?”

“Perché ho aiutato a scoprire che il ritmo di espansione dell’universo era accelerato”.

“E perché sta qui a Fargo?”

Fonte

Moskowitz C. What it’s like to carry your Nobel Prize through airport security. Observations. Scientific American blogs. 10 ottobre 2014. http://blogs.scientificamerican.com/observations/2014/10/10/nobel-prize-airport-security/

Ci piacciono le vacanze? No, parola di Richard Smith

Può sembrare strano parlarne a novembre, ma è proprio in autunno che capita più spesso di fare i bilanci dell’anno, e non solo. Alla gente piaccione la vacanze? Se lo è chiesto Richard Smith, che da quando non è più direttore del BMJ trascorre gran parte del proprio tempo in giro per il mondo, impegnato soprattutto nello svolgimento di conferenze sul controllo e la gestione delle malattie croniche, argomento che da tempo è tra i suoi principali interessi professionali. «Non credo che la gente si goda le proprie vacanze e sono giunto a questa conclusione dopo aver passato tre giorni carcerato in un albergo in Tunisia».

C’erano più di 500 ospiti in quell’hotel, spiega Smith nel suo blog, per lo più europei: tedeschi, italiani, francesi e qualche inglese. Di tutte le età ma la gran parte obesa. Chiusi in un albergo “all inclusive”: dal breakfast alla cena fino, per chi pagava le tariffe più alte, ai superalcolici con cui si chiudeva la giornata. Tutti in fila per cibi disgustosi: enormi scodelle di couscous (“abbastanza grandi per poterci nuotare dentro”) e scadente cucina internazionale. Dieci metri di fila al caffè, tutti con lo sguardo di chi sale all’alba sulla metropolitana londinese. Stesso umore sulla spiaggia, ad osservare la linea dell’infinito verso il mare. Donne in bikini unte di crema e uomini in calze e sandali con i bermuda macchiati di ketchup.

“Dimenticati le vacanze” è la conclusione di Smith. O, meglio: progetta una pausa dal lavoro che ti porti a fare lunghissime camminate, per arrivare stanchi alla sera con una buona cena ed una birra che ti conduca alla notte. Ma per una persona intelligente come l’autore del post, la conclusione non può che essere un’altra: è il lavoro che dovrebbe essere più divertente del divertimento. Certo, più facile a dirsi che a farsi, perché è una benedizione che capita a pochi. A chi, ricorda Smith, come Lucien Freud che dipingeva ancora il giorno della propria morte.

Volendo aggiungere ancora un commento, il brevissimo non-professional post di Richard Smith suggerisce di riflettere sulle molte “vacanze” di cui ancora i medici godono grazie alla cortesia interessata delle industrie. A ben guardare, non di rado si trasformano anch’esse in una grande rottura di scatole, tra improbabili “letture magistrali”, cene raramente memorabili e incontri poco interessanti: se decissero, i medici, di farne a meno?

Fonte

Smith R. Do people really enjoy holidays? Richard Smith’s non-medical blog. 11 ottobre 2014. http://richardswsmith.wordpress.com/2014/10/11/do-people-really-enjoy-holidays/