Manifesto delle criticità

in Nutrizione clinica e preventiva

Le prime dieci sfide italiane

(2015-2018)

ADI (Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica): Lucchin L, Fusco MA, Caretto A, Alessandrini L, Facchin N; Padiglione Italia EXPO 2015: Grossi E; AIDAP (Associazione Italiana Disturbi dell’Alimentazione e del Peso): Dalle Grave R, Banderali G, Banderali A; ANSISA (Associazione Nazionale Specialisti in Scienza dell’Alimentazione): Rovera GM, Ballardini D; ARNA (Associazione Ricercatori Nutrizione Alimenti): Bertoni G, Gramezi A; ASPA (Associazione per la Scienza e le Produzioni Animali): Ronchi B, Baldi A; Centro Studio e Ricerca sull’Obesità, Università di Milano: Carruba M; CIHEAM (Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici Mediterranei): Lacirignola M, Capone R; Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore, Milano: Agostoni C, Fargion S, Mosca F, Roggero P, Giannì ML, De Cosmi V; FEI (Food Education Italy): Donegani G, Leonardi F; FEM-CRI (Fondazione Edmund Mach - Centro Ricerche e Innovazione): Mattivi F, Viola R; FUNIBER (Fondazione Universitaria Iberoamericana): Ferreiro MS, Giannini M; NFI (Nutrition Foundation of Italy): Poli A, Marangoni F; ION (Italian Obesity Network): Fatati G, Grandone I; SICOB (Società Italiana Chirurgia dell’Obesità e delle Malattie Metaboliche): Di Lorenzo N, Carbonelli MG, Foschi D; SID (Società Italiana di Diabetologia): Riccardi G, Giacco R; SIE (Società Italiana di Endocrinologia): Trimarchi F, Aroso M; SIMI (Società Italiana di Medicina Interna): Corazza GR; SINPE (Società Italiana di Nutrizione Artificiale e Metabolismo): Biolo G; SINU (Società Italiana di Nutrizione Umana): Brighenti F, Casini A; SINUPE (Società Italiana di Nutrizione Pediatrica): Giovannini M, Riva E, Banderali G, Verduci E; SINUT (Società Italiana di Nutraceutica): Sirtori C, Cicero A, Racca A, Sarpa B; SIO (Società Italiana Obesità): Nisoli E, Sbraccia P, Busetto L, Muratori F; SISA (Società Italiana Scienza dell’Alimentazione): Migliaccio P, Piretta L; SIS.DCA (Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare): Melchionda N, Donini LM; SItI (Società Italiana Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica): Guberti E, Alonzo E; Università di Bari: Giorgino F, Laviola L; Università di Cagliari: Banni S; Università di Catania: Agodi A, Frittitta L; Università di Firenze: Rotella CM, Dicembrini I, Barbaro V; Università Cattolica “Sacro Cuore” Piacenza: Morelli L; Università di Napoli “Federico II”: Contaldo F; Sapienza Università di Roma: Donini LM, Gnessi L, Laviano A, Muscaritoli M, Pinto A, Vania A; Università di Roma “Tor Vergata”: De Lorenzo A, Di Renzo L, Sbraccia P; Università di Padova: Vettor R; Università del Piemonte Orientale: D’Andrea F; Università Politecnica delle Marche, Ancona: Battino M; Università di Trieste: Biolo G.

Altro Consumo: Melissano M; Slow Food Italia: Scaffidi C; FAND (Federazione Associazione Nazionale Diabetici): Archero E; Laboratorio 0246: Vezzali V, Buzzavo G.

Indice




Razionale

EXPO 2015 affronta un bisogno primario per l’essere umano: “nutrire il pianeta; energia per la vita”. Per le ripercussioni globali a breve-medio termine è una importante occasione di confronto nazionale e internazionale.

La problematica dovrebbe essere affrontata in modo razionale, chiaro e, soprattutto, ampiamente compartecipato dall’opinione pubblica. Dato per scontato che il primo nutrimento è l’ossigeno, l’assunto è che la composizione e non solo la qualità del cibo ingerito siano indispensabili per stabilire la porzione e la frequenza di consumo.

Il primo aspetto da fare emergere dovrebbe pertanto riguardare le caratteristiche della corretta nutrizione e le modalità per ottenerla, considerando che il comportamento alimentare è la risultante di una complessa interazione tra fattori biologici, psicologici e l’ambiente in cui si vive.

Cibo in quantità sufficiente, sicuro e in grado di fornire il giusto apporto nutrizionale sono le condizioni per mantenere la salute e avere una vita attiva (World Food Summit del 1996).

Mentre la Commissione Europea propone un aggiornamento dei Regolamenti a garanzia della sicurezza alimentare con una rinnovata attenzione alla prevenzione e alle ricadute ecologiche dell’alimentazione, le Agenzie Internazionali (OMS, FAO, UE) sottolineano la necessità di porre la giusta attenzione agli aspetti nutrizionali dell’alimentazione e alle sue conseguenze in termini di salute.

Sulla scelta al consumo le tre priorità emergenti sono:

1. ricerca del benessere e salute. L’equazione “mangiare bene-stare bene”, sempre più percepita dalla popolazione, necessita di chiarimenti sui rapporti tra sano e naturale, sano e industriale, sano e biologico (più di 700 milioni di euro in Italia nel 2014 per prodotti bio), sano ed eco-friendly;

2. attenzione all’ambiente e alla sostenibilità;

3. criteri etici nella scelta dei prodotti.

La visione globale della problematica risulta estremamente complessa, richiedendo una pianificazione a 360° che va oltre il mero ambito sanitario. Imprescindibile alla sua realizzazione, specie a livello nazionale, l’esistenza di un “Sistema Paese” di fatto coeso.

Se nutrire l’individuo è lo scopo principale del cibo, dovrebbero risultare definite le priorità/emergenze nutrizionali da affrontare su scala nazionale e internazionale per poter rendere efficaci i modelli d’intervento sia di tipo preventivo sia terapeutico e di pianificazione agro-alimentare per le popolazioni. Purtroppo, le politiche d’intervento attivate nei vari Paesi dimostrano ancora impostazioni fortemente settoriali e in parte condizionate da interessi economico-finanziari.

Una constatazione risulta evidente: l’incomprensibile inadeguato investimento strategico in nutrizione clinica e preventiva nell’ambito della politica sanitaria nazionale. E a maggior ragione, alla luce dei grandi cambiamenti demografici avvenuti in tutti i Paesi del mondo: invecchiamento della popolazione, aumento degli adolescenti, specie nei Paesi in via di sviluppo, migrazioni. Ciò ha modificato prevalenza e incidenza delle patologie cronico degenerative, che richiedono un numero crescente d’interventi riabilitativi, specie in relazione alla malnutrizione per eccesso e difetto (calorico-proteica e/o in micronutrienti)

Una evidenziazione delle criticità condivisa dai tecnici del settore, nel rispetto della necessaria multidisciplinarietà, risulta pertanto quanto mai necessaria per un serio raffronto, anche a livello internazionale, su problematiche comuni. La “pesatura” delle stesse, sulla base di criteri quantitativi assoluti, rende oggettiva e trasparente all’opinione pubblica e ai policy maker la possibile e ottimale allocazione delle risorse necessarie per contrastarle.

Il manifesto delle criticità in nutrizione clinica e preventiva:

• faciliterà la riflessione dei cittadini italiani, sottoposti a una eccessiva e costante pressione mediatica – prevalentemente a fini commerciali – su tali argomenti, fonte di crescente confusione e insicurezza circa i comportamenti da seguire. Non bisognerebbe lasciarsi sfuggire l’opportunità di un’ampia riflessione di carattere scientifico, che possa portare all’attenzione di un pubblico globale temi che sono centrali per l’intera Comunità Internazionale non solo per la durata di Expo 2015;

• potrà fungere da strumento operativo d’indirizzo istituzionale per un intervallo temporale di almeno quattro anni, necessario per una efficace pianificazione degli interventi.

Il documento non è una linea-guida o un decalogo di nobili propositi, ma una analisi oggettiva corredata di azioni strategiche fattibili e auspichiamo vincolanti.

Deve aumentare il convincimento che le problematiche nutrizionali (per lo più connesse alla patologia cronica), non sono risolvibili con soli interventi sanitari, ma richiede un cambio di orientamento culturale a livello produttivo, distributivo e di consumo.

In questa operazione risulta evidente la centralità del Ministero della Salute e in particolare della Direzione Generale della Igiene e Sicurezza degli Alimenti e della Nutrizione, per un’eventuale revisione delle politiche in materia (tramite strumenti quali linee-guida, LEA, PSN, ecc.) e ricadute in ambito nazionale (politiche regionali in materia sanitaria dedicate alla nutrizione) e internazionale.

Predisposizione del documento

Il Manifesto delle Criticità in Nutrizione Clinica e Preventiva per il quadriennio 2015-2018 prende corpo nel febbraio 2014.

Parte dalla constatazione, diffusamente condivisa, che il nostro Paese stenta a muoversi per priorità. Il ruolo giocato dalle Società Scientifiche, potenzialmente rilevante, risulta insoddisfacente e necessiterebbe di maggiore autocritica, specie in termini di determinazione nella ricerca d’intenti comuni.

L’occasione di EXPO 2015 ha fatto sorgere il dubbio se la tematica del Manifesto potesse risultare sufficientemente attrattiva rispetto ad altre più “popolari”. L’importanza dell’evento costituisce un’occasione imperdibile per affrontare in modo radicale anche le problematiche nutrizionali, specie se comuni ad altri Paesi. Solo non rimandando gli urgenti interventi da attivare, si può sperare di colmare l’attuale “vuoto culturale” in ambito nutrizionale, dalle ricadute immediate e prossime tutt’altro che trascurabili.

L’approccio riduzionistico alla salute e alla malattia ha ampiamente dimostrato il suo limite, sia sottovalutando il ruolo preventivo e terapeutico della nutrizione, sia minimizzando l’efficacia d’interventi multidisciplinari combinati.

Lo studio della complessità, in cui rientrano pressoché tutte le problematiche nutrizionali, costituisce la nuova sfida della scienza, non solo medica. La medicina dei sistemi, che ha l’obiettivo d’integrare la molteplicità dei dati biologico/medici delle più disparate discipline con quelli di discipline economico-finanziarie e socio-culturali, per comprenderne i reali meccanismi fisiopatologici, può concretizzarsi solo se nessuna disciplina viene trascurata, come per troppo tempo è accaduto con la nutrizione clinica e preventiva. Deve inoltre aumentare il convincimento che questo tipo di problematiche (per lo più connesse alla patologia cronica), non è risolvibile con esclusivi interventi sanitari.

Fondamentale la proposizione di soluzioni, in un’ottica di trasparenza nei confronti dell’opinione pubblica, che deve essere consapevole e possibilmente partecipe delle ragioni di determinate azioni e investimenti, e di strumento operativo d’indirizzo istituzionale.

Solo aprendo il sapere alla popolazione, facendogli percepire la complessità delle problematiche e delle azioni da intraprendere e cercando il confronto con Società Scientifiche di altre discipline, si può sperare di intercettare un coinvolgimento ampio e multidisciplinare (non solo in ambito sanitario, ma anche politico, economico e sociale) per portare le criticità all’interno di un sapere allargato, anche internazionale.

Alcune perplessità emerse in corso di elaborazione del presente documento sono relative:

• alla difficoltà nel separare aspetti clinico-preventivi da quelli di ordine più prettamente organizzativo-strutturali (per es., nutrizione clinica tra gli obiettivi formativi del core curriculum della laurea in medicina e chirurgia”, “confusione dei ruoli in nutrizione”, “deficitario sistema integrato ambiente-salute, ovvero la necessità di valorizzare l’ecologia nutrizionale”, “necessità di maggiore supporto istituzionale alle problematiche di nutrizione clinica e preventiva”);

• alla necessità di condividere il significato di terminologie quali: nutrizione clinica, ecologia della nutrizione, nutrizione preventiva, di base, ecc.;

• al dubbio circa le modalità di attribuzione di uno score alle singole criticità, al fine di una loro pesatura. Le fluttuazioni delle caratteristiche delle popolazioni di riferimento e i bias legati agli specifici ambiti di competenza, rendono imprecisa la pesatura. Sono state escluse le voci che non hanno raggiunto il punteggio di 7/10;

• alla necessità di definire nel documento le modalità d’implementazione. Sarà distribuito: a) al Direttore Generale e al Direttore Sanitario delle Aziende Sanitarie; b) agli Assessori Regionali e ai Capi Dipartimento delle Provincie Autonome; c) ai Direttori delle Programmazioni Sanitarie Regionali e delle Provincie Autonome; d) ai Presidi delle Facoltà di Medicina; e) alla Conferenza Permanente delle Facoltà e delle Scuole di Medicina e Chirurgia; f) alle Associazioni di Cittadini e Pazienti; g) ai Media; h) ai professionisti in ambito sanitario e, in una certa percentuale, i) ai medici di medicina generale.

Criticità nazionali in nutrizione clinica e preventiva comuni alla maggior parte dei Paesi avanzati

Negli ultimi 50 anni i consumi alimentari degli italiani sono radicalmente mutati. È impreciso ritenere che allora la dieta fosse migliore, perché per esempio c’era il boom delle margarine ed erano forti i movimenti antiallattamento al seno. La modifica della composizione della dieta ha portato a un progressivo allontanamento dal modello alimentare mediterraneo:

• incremento dell’apporto di energia (circa 150 kcal/die ogni 10 anni), passando da 2956 kcal/die per persona nel 1961, a circa 3627 kcal/die per persona nel 2010 (+22,7%, pari a circa 670 kcal/die, dovuto per i 2/3 all’aumentato consumo di alimenti di origine animale);

• incremento pro capite del consumo di proteine e grassi di origine animale; + 111,4% per i grassi (da 29 a 61 g/die) e + 110,7% per le proteine (da 33,3 a 70,4 g/die);

• riduzione del consumo di carboidrati complessi di circa il 9% (da 515 g/die nel 1961 a 469 g/die nel 2009) e incremento di circa il 20% del consumo di zuccheri aggiunti.

Il cambiamento dei consumi alimentari e di conseguenza della composizione della dieta, associato a uno stile di vita sedentario, ha avuto un notevole impatto sullo sviluppo delle malattie cronico-degenerative causando un incremento dell’incidenza di: obesità, diabete mellito di tipo 2 (DM2), ipertensione arteriosa, malattie cardiovascolari e tumori.

Sovrappeso/obesità

Definizione. Eccessivo accumulo corporeo di tessuto adiposo (negli uomini tra il 22 e il 27% e nelle donne tra il 27 e il 32% nel sovrappeso e maggiore del 22% negli uomini e del 27% nelle donne per l’obesità). L’obesità è una vera e propria malattia cronica a etiopatogenesi complessa con fenotipi molto diversificati e in parte ancora non riconosciuti. Più di 30 singoli polimorfismi nucleotidici (SNP) sono associati ai valori dell’indice di massa corporea (IMC) e più di ٣٠٠ geni su ٣٠-٤٠.٠٠٠ sono associati ai fenotipi di obesità.

Prevalenza. La classificazione a oggi adottata secondo l’IMC sottostima il problema perché molte persone normopeso presentano comunque una percentuale eccessiva di tessuto adiposo. Un italiano su 10 è in sovrappeso e 1 su 5 è obeso ma non sa di esserlo (http://caso.org/2015). L’obesità ha un andamento simil-epidemico: dal 2011 la patologia è aumentata del 25%.

Più della metà di tutti gli obesi del mondo abita in 10 Stati (15% in Cina e India, 13% negli USA e a seguire Russia, Brasile, Messico, Egitto, Germania, Pakistan e Indonesia). Tra il 1980 e il 2013 l’incremento del sovrappeso/obesità è stato del 28% tra gli adulti (da 875 milioni a 2,1 miliardi) e del 47% tra i bambini. Nei Paesi in via di sviluppo l’obesità è più diffusa tra le donne, in quelli ricchi tra gli uomini. Il tasso d’incremento tra il 1992 e il 2002 è stato maggiore di quello del decennio successivo, forse a causa di una “tiepida” presa di coscienza a livello politico (WHO, Global Burden of Disease Study).

Nel 2015 si stima che l’obesità interesserà 700 milioni di persone nel mondo. In Italia i pazienti con obesità grave e con potenziale indicazione al trattamento chirurgico sono stimati essere superiori al 1.000.000. Il numero di interventi bariatrici eseguito per anno è di circa 8.000, numero inferiore in termini sia assoluti sia relativi a quanto avviene nella maggioranza dei Paesi europei. La maggiore richiesta d’intervento proviene dal sesso femminile. Tra gli obesi USA quelli sottoposti a chirurgia bariatrica mostrano un tasso di mortalità a 5 e 10 anni per tutte le cause, significativamente minore rispetto ai non operati.

Conseguenze. L’eccesso ponderale è uno dei principali fattori che sostengono l’aumento delle malattie croniche non trasmissibili. L’obesità può ridurre l’aspettativa di vita anche di 8 anni, privando gli adulti persino di 19 anni di vita in buona salute e determina circa 57.000 morti all’anno in Italia (The European Health Report 2002, CCM 2005). Comporta importanti conseguenze sul piano clinico (malattie cronico-degenerative sul piano vascolare, dismetabolico, osteoarticolare, neoplasie), psicologico (ansia, depressione, peggioramento della qualità della vita) e funzionale. Specie nei giovani e negli anziani l’obesità severa aumenta di molto il rischio di disabilità, specie se associata a sarcopenia.

Costi. In termini di costi alla collettività nel mondo, l’obesità occupa il terzo posto dopo fumo di sigaretta e guerre e terrorismo (Mc Kinsey. Global Institute analysis, 2014).

Intervenire sull’obesità significa ridurre le patologie cronico degenerative non trasmissibili correlate all’obesità (DM2, patologie cardiovascolari, tumori, osteoporosi, sarcopenia) e conseguentemente ridurre la spesa sanitaria.

Il costo dell’obesità è pari all’1-8% della spesa sanitaria nazionale, cioè 1,12-8,96 miliardi di euro (64% di ospedalizzazioni); in pratica 18-144 euro per ogni cittadino sono spesi ogni anno per i costi diretti (assistenza sanitaria personale, assistenza ospedaliera, servizi medici e farmaci) dell’obesità, valore che supera i 300 euro se si includono i costi indiretti (assenteismo, diminuzione dell’efficienza lavorativa, anni di vita di salute persi, aumento dei premi assicurativi, riduzione rendimento scolastico, alterazioni della sfera psico-sociale. Su 1132 impiegati statali di Rotterdam i giorni lavorativi persi/anno sono stati 7,9 con BMI 20-25, 8,3 con BMI 25-30 e 13,6 con BMI >30 kg/m2; in Inghilterra si è stimata una perdita di 40.000 anni di vita lavorativa e un accorciamento della vita dell’obeso di 9 anni in media, pari a 18 milioni di giornate lavorative/anno). In Italia circa 2,5 miliardi di euro all’anno, al netto della spesa ospedaliera (Fondazione Economica Tor Vergata, 2012).

Interventi proposti. Sia nei bambini che negli adulti l’eccesso ponderale e la sedentarietà sono maggiormente rappresentati nei gruppi di popolazione con minore titolo di studio e più basso livello socio-economico. Da qui l’esigenza di azioni di coinvolgimento socio-culturale, specie in termini di equità (fonti: Okkio alla salute, 2014 e Passi, 2012).

Secondo il rapporto OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, 2014) una strategia di prevenzione sarebbe attuabile in Italia al costo di 17 euro a persona e garantirebbe un risparmio economico in termini farmaceutici salvando 75.000 vite nei primi anni.

La percezione distorta che spesso le persone hanno del proprio stato ponderale (o quello dei propri figli) e pressioni socio-culturali che lo facilitano, impongono la necessità di favorirne la consapevolezza come fattore chiave per motivare le persone a modificare stili di vita non adeguati.

In troppe aree del Paese sono assenti le UO di Dietetica e Nutrizione Clinica e carenti le UO SIAN, così come i percorsi clinici esplicitamente dedicati al trattamento dell’obesità (di I, II livello e riabilitative), che richiede trattamenti integrati a lungo termine con differenti livelli d’intensità e di preparazione.

Bibliografia di riferimento

– Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità. Linee Guida e stato dell’arte della chirurgia bariatrica e metabolica in Italia. Napoli: EdiSES, 2007.

– Società Italiana dell’Obesità - Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica. Standard italiani per la cura dell’obesità 2012/2013. www.sio-obesita.org

– Fried M, Yumuk V, Oppert JM, et al. Interdisciplinary European guidelines on metabolic and bariatric surgery. Obes Surg 2014; 24: 42-55.

– Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità. Indagine Conoscitiva anno 2013. Dati Ufficiali Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità. Genova: SICOB, 2014.

– Progetto Cuore. Istituto Superiore di Sanità, 2014. http://www.cuore.iss.it/eng/

– Appropriatezza clinica, strutturale, tecnologica e operativa per la prevenzione, diagnosi e terapia dell’obesità e del diabete mellito. Quaderni del Ministero della Salute 2011; 10.

– Colditz G. Economic costs of obesity. Am J Clin Nutr 1992; 55: s503-507.

– Withrow D, Alter DA. The economic burden of obesity worldwide: a systematic review of the direct costs of obesity. Obes Rev 2011; 12: 131-41.

– Seidell JC. The impact of obesity on health status: some implications for health care costs. Int J Obes Relat Metab Disord 1995; 19 (suppl 6): S13-6.

– Haslam D, Sattar N, Lean M, et al. ABC of obesity. Obesity: time to wake up. Br Med J 2006; 333: 640-2.

– ISTAT. Condizioni di Salute e ricorso ai servizi sanitari 2012-2013.

– Ministero della Salute. Piano Sanitario Nazionale 2011-2013. http://www.salute.gov.it (ultima consultazione: giugno 2011).

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– Gregg E. Obesity, diabetes and the movies targets of healthy years estimation. Lancet Diabetes Endocrinol 2015; 3: 93-4.

– Poggiogalle E, Migliaccio S, Lenzi A, Donini LM. Treatment of body composition changes in obese and overweight older adults: insight into the phenotype of sarcopenic obesity. Endocrine 2014; 47: 699-716.

– Donini LM, Grave RD, Caretto A, et al. From simplicity towards complexity: the italian multidimensional approach to obesity. Eat Weight Disord 2014; 19: 387-94.

– Donini LM, Poggiogalle E, Mosca V, Pinto A, Brunani A, Capodaglio P. Disability affects the 6-minute walking distance in obese subjects (BMI>40 kg/m2). PLoS One 2013; 8: e75491.

Obesità nell’anziano >65 a




Non si assiste a una significativa differenza di prevalenza tra uomini e donne. Tra i 64 e 74 anni la prevalenza è del 16%; scende al 12% tra i 74 e gli 85 anni e al 9% oltre gli 85 anni. In quest’ultima fascia d’età la riduzione di prevalenza è controbilanciata da un elevato grado di disabilità. Nonostante un lieve aumento della massa grassa sembri essere protettivo in età geriatrica, l’obesità mantiene comunque un notevole impatto su morbosità e mortalità.

Bibliografia di riferimento

– Servizio Sanitario Regionale Emilia-Romagna. Passi d’Argento, prevalenza di obesità ≥65 anni nel 2009.

– Donini LM, Savina C, Gennaro E, et al. A systematic review of the literature concerning the relationship between obesity and mortality in the elderly. J Nutr Health Aging 2012; 16: 89-98.

Obesità nel bambino/adolescente




Secondo l’OMS nel 2005 ben 20 milioni di bambini sotto i 5 anni erano in sovrappeso. Si stima che nel 2010 i bambini con meno di 5 anni di età in eccesso di peso siano stati oltre 42 milioni. A livello Europeo nel 2008 la prevalenza a 6-9 anni è risultata del 24% e a 11-15 anni del 13,5% (Studio HBSC 2005-2006).

Il 20,9 % dei bambini italiani della scuola primaria (8-9 a) sono in sovrappeso e il 9,8% obesi, con una evidente variabilità regionale che mostra percentuali generalmente più basse nell’Italia settentrionale e più alte nel meridione. Tra le madri di detti bambini, il 38% non ritiene che il proprio figlio sia in eccesso ponderale.

Dai 10 ai 17 anni il valore cumulativo di sovrappeso e obesità si assesta sul 20,9% (ISTAT, 2010).

Bambini e adolescenti obesi hanno più del 50% del rischio di diventare adulti obesi e di essere affetti da malattie croniche. Sovrappeso e obesità sono responsabili dell’80% dei casi di DM2, del 35% delle cardiopatie ischemiche e del 55% della malattia ipertensiva.

Ancora poco applicate le Linee d’Indirizzo Nazionale per la Ristorazione Scolastica prodotte dal Ministero della Salute e approvate in Conferenza Unificata nel 2010.

Inoltre, si assiste a un’inadeguata azione di contrasto all’eccessiva pubblicità di prodotti alimentari altamente calorici nelle fasce di ascolto della TV da parte dei bambini. L’8% circa salta la prima colazione, e il 31% la fa in maniera inadeguata, il 52% assume una merenda di metà mattina troppo abbondante, il 63% consuma una scarsa quantità di frutta e verdura (il 25% dei genitori dichiara che i propri figli non consumano quotidianamente frutta e/o verdura), il 14% fa un eccessivo uso di snack, e una vasta percentuale assume più di mezzo litro di bevande gassate e zuccherate al giorno. I valori dell’inattività fisica e dei comportamenti sedentari mostrano recentemente un piccolo miglioramento, da verificare nel tempo pur rimanendo elevati. In tal senso risulta importante implementare la cultura del movimento, anche aumentando le ore scolastiche dedicate all’attività fisica e agli aspetti ludici.

Bibliografia di riferimento

– Pulgaron ER, Delamater AM. Obesity and type 2 diabetes in children: epidemiology and treatment. Curr Diab Rep 2014; 14: 508.

– Ogden CL, Carroll MD, Kit BK, et al. Prevalence of childhood and adult obesity in the United State, 2011-2012. J Am Med Assn 2014; 311: 806-14.

– De Onis M, Blössner M, Borghi E. Global prevalence and trends of overweight and obesity among preschool children. Am J Clin Nutri 2010; 92: 1257-64.

– Ministero della Salute. Sistema di Sorveglianza nazionale OKkio alla Salute: risultati 2014 sugli stili di vita dei bambini. http://www.okkioallasalute.iss.it/

– Conferenza Unificata provvedimento 29 aprile 2010 Intesa, ai sensi dell’art.8, comma 6 della legge 5 giugno 2003, n.131, GU n.134 dell’11-6-2010.

– www.salute.gov.it/imgs/c_17_pubblicazioni_1248_allegato.pdf

Obesità nell’adulto 18-65 a




A livello mondiale l’OMS stima per l’obesità sopra i 20 anni una prevalenza del 10% nei maschi e del 14% nelle femmine; in Europa, del 20,4% nei maschi e del 23,1% nelle femmine (dati 2008).

In Italia il 34,3% degli adulti risulta in sovrappeso e l’11,2 % obeso. La prevalenza è maggiore al Sud: ٤٨٪ di sovrappeso in Basilicata e ٤٦٪ in Puglia. Nella fascia di età ٣٥-٧٤ anni la prevalenza del sovrappeso è del 50% nell’uomo e del 34% della donna, quella dell’obesità del 17% nell’uomo e del 21% nella donna.

Normal weight obesity




La definizione di obesità basata solo sul valore dell’IMC è considerata da molti esperti troppo semplicistica. Sarebbe più opportuno usare un criterio basato sulla adiposità piuttosto che sul peso. In effetti i soggetti (sembra vicino al 50%) con peso corporeo normale rispetto all’IMC ma con un’alta percentuale di grasso corporeo, mostrano un alto grado di disregolazione metabolica. Questo fenomeno, definito come normal weight obesity, è associato a un rischio significativamente maggiore di sviluppare sindrome metabolica, disfunzione cardio-metabolica, infiammazione e morte. Pertanto, è importante riconoscere questi gruppi ad alto rischio per una migliore stratificazione del rischio basata sull’adiposità.

Da dati di letteratura, la normal weight obesity riguarderebbe circa il 10% della popolazione femminile e meno dell’1% di quella maschile.

Bibliografia di riferimento

– Romero-Corral A, Somers VK, Sierra-Johnson J, et al. Normal weight obesity: a risk factor for cardiometabolic dysregulation and cardiovascular mortality. Eur Heart J 2010; 31: 737-46.

– Marques-Vidal P,coud A, Hayoz D, et al. Normal weight obesity: relationship with lipids, glycaemic status, liver enzymes and inflammation. Nutr Metab Cardiovasc Dis 2010; 20: 669-75.

– Marques-Vidal P, Chiolero A, Paccaud F. Large differences in the prevalence of normal weight obesity using various cut-offs for excess body fat. e-SPEN Europ J Clin Nutr Metab 2008; 3: e159-e162.

– Oliveros E, Somers VK, Sochor O, Goel K, Lopez-Jimenez F. The concept of normal weight obesity. Prog Cardiovasc Dis 2014; 56: 426-33.

– De Lorenzo A, Del Gobbo V, Premrov MG, Bigioni M, Galvano F, Di Renzo L. Normal weight syndrome: an early inflammation? Am J Clin Nutr 2007; 85: 40-5.

– Di Renzo L, Bertoli A, Bigioni M, et al. Body composition and -174G/C Interleukin-6 promoter gene polymorphism: association with progression of insulin resistance in normal weight obese syndrom. Curr Pharm Des 2008; 14: 2699-706.

– De Lorenzo A, Bianchi A, Maroni P, et al. Adiposity rather than BMI determines metabolic risk. Int J Cardiol 2013; 166: 111-7.

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– Di Renzo L, Sarlo F, Petramala L, et al. Association between -308 G/A TNF-α polymorphism and appendicular skeletal muscle mass index as a marker of sarcopenia in normal weight obese syndrome. Dis Markers 2013; 35: 615-23.

– Di Renzo L, Gratteri S, Sarlo F, Cabibbo A, Colica C, De Lorenzo A. Individually tailored screening of susceptibility to sarcopenia using p53 codon 72 polymorphism, phenotypes, and conventional risk factors. Dis Markers 2014; 2014:743634. doi: 10.1155/2014/743634.

Diabete mellito di tipo 2

Definizione. Malattia metabolica cronica caratterizzata da iperglicemia causata da una disfunzione della secrezione d’insulina associata a gradi variabili d’insulino-resistenza.

Prevalenza. Il DM2 è una patologia complessa, a carattere epidemico, causata dall’interazione di fattori genetici e ambientali. Tra questi ultimi un ruolo determinante è svolto dall’adesione a una dieta ricca di energia, di grassi e bevande zuccherate e da una ridotta attività fisica.

L’eccesso ponderale, soprattutto l’eccesso di massa grassa viscerale, è uno dei principali fattori che sostengono l’aumento delle malattie croniche non trasmissibili come il DM2. L’eccesso di grasso viscerale causa insulino-resistenza, una condizione di ridotta sensibilità dei tessuti dell’organismo all’azione dell’insulina a cui consegue un alterato metabolismo del glucosio. Inoltre, l’eccesso di grasso induce un’infiammazione di basso grado, presente anche a livello delle cellule beta del pancreas, che sembrerebbe contribuire anche alla produzione di autoanticorpi (Buzzetti et al. Diabetes Care, 2015) oltre che allo sviluppo di complicanze cardiovascolari.

Secondo i dati della Federazione Internazionale del Diabete (IDF) sono circa 346 milioni le persone in età adulta affette attualmente da diabete nel mondo; tale numero è destinato a superare i 552 milioni nel 2035. A questi va sommato un pari numero di persone che presenta un’alterazione del metabolismo glicidico e una quota di persone ignara di essere affetta dalla malattia.

Il DM2 sarebbe causa del 45% dei nuovi casi di diabete tra gli adolescenti americani, asiatici ed europei. In Europa e Italia la prevalenza di IGT nei giovani sarebbe pari al 4,5%.

In Italia la prevalenza del diabete noto è circa il 5,8% con un numero complessivo di diabetici pari a 3.516.333 di cui solo un paziente su 10 è affetto da diabete di tipo 1. Quindi, sono quasi 3,2 milioni le persone che dichiarano di essere affette da DM2, il 4,9% della popolazione, con una netta prevalenza al Sud (900 mila diabetici).




Nell’arco di soli 9 anni (dal 2000 al 2012) la percentuale di malati in Italia è passata dal 3,7% al 5,5% (dati ISTAT, 2012).

L’International Diabetes Federation, prevedeva per il 2025 più di 3 milioni di diabetici in Italia (età 20-75 aa). Già oggi abbiamo raggiunto questa stima, con oltre 15 anni di anticipo. Se la crescita continuerà ai ritmi attuali, entro 20 anni potrebbero essere 5 milioni le persone con diabete. Alla base del fenomeno due motivi principali: l’invecchiamento della popolazione e il progressivo aumento dell’obesità.

Conseguenze. Il diabete ha pesanti ripercussioni su aspettativa e qualità di vita del singolo individuo e sulla spesa sanitaria sostenuta dalla collettività in quanto essendo una malattia cronica evolutiva si associa a gravi complicanze a livello di tutti gli organi (malattie cardiovascolari: infarto del miocardio, ictus cerebrale, arteriopatia degli arti inferiori con rischio di amputazione, complicanze oculari fino alla cecità, complicanze renali fino alla necessità di dialisi).

Costi. Il costo medio per paziente con diabete è di circa 2.600-3.100 euro l’anno, più del doppio rispetto a persone di pari età e sesso ma senza diabete, pari a circa 8,4 miliardi di euro anno.

Interventi proposti. È opinione largamente condivisa che la prevenzione del DM2 costituisca l’unica arma per fronteggiare un problema sanitario e sociale che rischia di essere non più gestibile nel giro di qualche decennio. È stato dimostrato che il DT2 può essere efficacemente prevenuto nei soggetti ad alto rischio mediante modifiche dello stile di vita. In particolare, la riduzione del sovrappeso, le modifiche qualitative e quantitative della dieta in associazione all’attività fisica sono in grado di ridurre del 60% il rischio di sviluppare la malattia.

Se non si attuerà una strategia orientata a prevenire il DM2 ci sarà:

1. Un progressivo incremento del numero delle persone affette da diabete;

2. un peggioramento della qualità e aspettativa di vita della popolazione esposta a causa delle complicanze vascolari della malattia;

3. un incremento della spesa sanitaria sia per i costi diretti legati alla gestione della malattia e delle sue complicanze, che per quelli indiretti legati alla perdita della capacità lavorativa delle persone malate.

Bibliografia di riferimento

– International Diabetes Federation. IDF Diabetes Atlas, 6th edn. Brussels, Belgium: International Diabetes Federation, 2013. http://www.idf.org/diabetesatlas

– Il Diabete in Italia. A cura del Gruppo di Studio “Epidemiologia, Costi e Qualità”. Società Italiana di Diabetologia.

– Osservatorio ARNO Diabete. Rapporto 2011 Volume XVII - Cineca - Dipartimento SISS – Sanità.

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– Knowler WC, Barrett-Connor E, Fowler SE, et al. Reduction in the incidence of type 2 diabetes with lifestyle intervention or metformin. N Engl J Med 2002; 346: 393-403.

– Pinhas-Hamiel O, Zeitler P. The global spread of type 2 diabetes mellitus in children and adolescents. J Pediatr 2005; 146: 693-700.

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– World Health Statistics 2012. Global health indicators. France: WHO Press, 2012.

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– Profili di assistenza e costi del diabete in Emilia-Romagna. http://asr.regione.emilia-romagna.it/wcm/asr/collana_ dossier/ doss179/link/doss179.pdf

– Buzzetti R, Spoletini M, Zampetti S, et al.; NIRAD Study Group (NIRAD 8). Tyrosine phosphatase-related islet antigen 2(256-760) autoantibodies, the only marker of islet autoimmunity that increases by increasing the degree of BMI in obese subjects with type 2 diabetes. Diabetes Care 2015; 38: 513-20.

Malnutrizione calorico-proteica (MCP)

Definizione. Alterata assunzione di calorie e/o nutrienti (per ridotta disponibilità, incapacità di mangiare o per alterazione dei processi digestivi e di assorbimento) e/o loro alterata utilizzazione (modificata funzionalità degli organi deputati al metabolismo dei nutrienti). La MCP è la forma più frequente, ma sono in crescita anche quelle dovute a deficit vitaminico-minerale.

Prevalenza. La MCP è un problema clinico ed economico rilevante, purtroppo spesso misconosciuto, nonostante una relativa semplicità nella sua monitorizzazione. A livello europeo la prevalenza di MCP all’atto del ricovero oscilla tra il 20 e 60% e a livello nazionale si assesta sul 30%. La MCP ospedaliera iatrogena, cioè dovuta a un intervento inadeguato o assente, continua a essere ignorata nonostante una prevalenza tutt’altro che trascurabile (non inferiore al 15%) e conseguenti elevati costi. Nelle residenze per anziani la prevalenza della MCP si aggira mediamente sul 20%. Si stima sul 10% la prevalenza di bambini malnutriti per difetto all’atto dell’ingresso in ospedale.

Conseguenze. La MCP ha serie conseguenze sulla durata della convalescenza e sulla qualità della vita. A livello clinico incide seriamente sull’apparato cardiovascolare (riduzione della massa muscolare e della gettata cardiaca e riduzione della pressione arteriosa), respiratorio (riduzione della capacità vitale), muscolare (riduzione della massa, forza e resistenza), renale (deplezione di potassio, magnesio e fosforo e ritenzione di acqua e sodio), gastrointestinale (assottigliamento della mucosa intestinale con riduzione della capacità assorbente), cutaneo (assottigliamento e secchezza), psicologico (turbe dell’umore).

Costi. In presenza di MCP la degenza si allunga di circa un 45% rispetto a quella media. Per la malnutrizione ospedaliera il risparmio nazionale minimo annuo ipotizzabile con un regolare rilevamento dello stato di nutrizione non è inferiore a 2 milardi di euro (Lucchin, 2009).

Interventi proposti. Rilevamento dello stato di nutrizione, per lo meno in termini di screening. Dovrebbe essere reso obbligatorio nelle strutture sanitarie, come previsto dalla Joint Commission per l’accreditamento. Si dispone di test validati di rapida esecuzione. Il grande ostacolo da risolvere è relativo alla modalità attuativa per un’efficace implementazione della valutazione dello stato di nutrizione. Principali criticità: a) “vuoto culturale” nella nutrizione clinica; b) assenza della “cultura” del controllo non fiscale, finalizzata al miglioramento qualitativo continuo delle prestazioni erogate; c) insufficiente applicazione della documentazione ufficiale predisposta in merito. Il problema, peraltro, è stato evidenziato in tutti i documenti nazionali e internazionali elaborati, come quello delle “Linee d’Indirizzo Nazionale sulla Ristorazione Ospedaliera e Assistenziale”, edite dal Ministero della Salute nel 2011.

MCP Ospedaliera

I pazienti acuti ricoverati all’anno in Italia sono circa 9,4 milioni.




La malnutrizione calorico-proteica ospedaliera tende ad aumentare per l’invecchiamento della popolazione e per l’aumentata prevalenza delle malattie croniche invalidanti come neoplasie, patologie cardiovascolari, neurologiche, ecc.

Bibliografia di riferimento

– Lucchin L, D’Amicis A, Gentile MG, et al.; the PIMAI Group. An Italian investigation on nutritional risk at hospital admission: the PIMAI (Project: Iatrogenic MALnutrition in Italy) study. e-SPEN Europ J Clin Nutr Metab 2009; 30: e199-e202.

– Lucchin L. La malnutrizione ospedaliera in Italia. In: Gentile MG (a cura di). Obesità, anoressia e bulimia nervosa, malnutrizione ospedaliera. Fidenza: Mattioli 1885, 2009.

– Lucchin L, D’Amicis A, Gentile MG, et al.; the PIMAI Group. A nationally representative survey of hospital malnutrition: the italian PIMAI (Project: Iatrogenic Malnutrition in Italy) study. Med J Nutrition Metab 2009; 2: 171-80.

– Lucchin L. La malnutrizione ospedaliera in Italia: un problema che non si vuole vedere. In: Atti: Nutrition and Metabolism-Nu-Me 3rd International Mediterranean Meeting. Update Diabete tipo II e Malnutrizione, Genova 20-21 giugno 2011: 45-50.

– Resolution Res AP n° 3-12 november 2003 on food and nutrition care in hospital. 860° Meeting of the Minister’s Deputies.

– Schindler K, Pernicka E, Laviano A, et al. How nutritional risk is assessed and managed in European hospitals: a survey of 21,007 patients findings from the 2007e2008 cross-sectional nutritionDay survey. Clin Nutr 2010; 29: 552-9.

– Amerio ML, Borrello S, Caltagirone C, et al. Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione ospedaliera e assistenziale. Ministero della Salute, 2012.

MCP nell’anziano fragile e istituzionalizzato




La fragilità dell’anziano dovrebbe essere considerata una sindrome nosografica a sé stante.

Al momento del ricovero o al massimo entro 24-48 ore, in tutti gli anziani di età superiore a 75 anni andrebbe compilato il Mini Nutritional Assessment e la misurazione di peso, altezza, IMC, circonferenza braccio, plica tricipitale e plica sottoscapolare. Inoltre, i parametri ematochimici da rilevare dovrebbero essere: emocromo con formula e conta linfocitaria, albumina, prealbumina, transferrina, glicemia, colesterolo totale, colesterolo HDL, trigliceridi, colinesterasi, urea e creatinina, PCR. Lo stato di nutrizione va correlato con:

• valutazione multidimensionale VDM (stato funzionale ADL Activities of Daily Living e IADL Instrumental ADL; stato cognitivo MINI MENTAL STATE EXAMINATION; stato affettivo GERIATRIC DEPRESSION SCALE);

• numero e gravità delle complicanze riguardanti la patologia d’ingresso;

• infezioni intra-ospedaliere;

• durata dell’ospedalizzazione;

Bibliografia di riferimento

– Boström AM, Van Soest D, Kolewaski B, Milke DL, Estabrooks CA. Nutrition status among residents living in a veterans’ long-term care facility in Western Canada: a pilot study. J Am Dir Assoc 2011; 12: 217-25.

– De Luis DA, López Mongil R, Gonzalez Sagrado M, et al. Nutritional status in a multicenter study among institutionalized patients in Spain. Eur Rev Med Pharmacol Sci 2011; 15: 259-65.

– Donini LM, Neri B, De Chiara S, Poggiogalle E, Muscaritoli M. Nutritional care in a nursing home in Italy. PLoS One 2013; 8: e55804.

MCP nell’anziano a domicilio




MCP quale causa di mortalità nel paziente neoplastico




La mortalità per tumore in Italia si aggira sulle 180.000 unità all’anno.

1/3 dei casi di cancro può essere attribuito a scorrette abitudini alimentari e inattività fisica. La percentuale di morti che potrebbe essere evitata attraverso una modifica delle abitudini alimentari varia a seconda del tipo di neoplasia.

Si stima un incremento dell’incidenza del cancro in Italia del 12% nel 2020 e del 25% nel 2030.

Bibliografia di riferimento

– Byers T, Nestle M, McTiernan A, et al. American Cancer Society Guidelines on nutrition and physical activity for cancer prevention: reducing the risk of cancer with healthy food choices and physical activity. CA Cancer J Clin 2002; 52: 92-119.

– Willett WC. Diet, nutrition and avoidable cancer. Environ Health Perspect 1995; 103: 165-70.

Entità dell’integrazione nutrizionale per os

Quando si deve intervenire su un soggetto con MCP, i passaggi da effettuare sono: a) verificare se quanto spontaneamente ingerito per bocca è sufficiente per coprire i fabbisogni nutrizionali; b) aggiungere un integrazione per os; c) attivare una nutrizione artificiale (enterale e/o parenterale). Nella prevenzione della MCP l’integrazione per os costituisce la principale strategia.




MCP pediatrica

Si stima che all’atto dell’ingresso in ospedale (nel 2011 i ricoveri pediatrici sono stati circa 730.000, più 400.000 in regime di DH) la prevalenza di bambini malnutriti oscilli tra il 10% e il 30%. Questa variabilità dipende anche dalla definizione operativa di malnutrizione nelle popolazioni in studio. Da segnalare che il 10% circa dei bambini ricoverati è obeso.




La malnutrizione più grave comporta costi sociali più elevati, con conseguenze per tutta la vita.

Un aspetto sottovalutato è relativo all’entità delle nascite pretermine (prima della 37° settimana di gestazione) che risulta in preoccupante aumento. Le cause sono ascrivibili all’età media della madre più elevata, alla disponibilità di percorsi di procreazione medicalmente assistita e di trattamenti per malattie materne un tempo giudicate incompatibili con la gravidanza. Nel 2010 si è stimato che siano nati pretermine 14,9 milioni di bambini (12,3-18,1), pari all’11,1% dei nati vivi (range 5-12% in Europa e 18% in alcuni stati africani). Fra i Paesi industrializzati gli USA presentano una delle incidenze più elevate dei nati prematuri, specie nella razza nera, con 17,5% vs il 10,9% della razza bianca. Il basso peso alla nascita è fortemente associato alla prematurità. In Europa dal 4 all’8% dei nati ha un peso <2500 g, con un gradiente Nord-Sud. La % di coloro che nascono con un peso <1500 g e un’età gestazionale <32°settimana si colloca tra lo 0,7 e l’1,4%.

In Italia il 6,8% nasce prima della 37a settimana e lo 0,9% prima della 32a. Coloro che pesano meno di 2500 g sono il 6,8% e quelli con meno di 1500g l’1%.

L’Accademia Americana di Pediatria raccomanda la somministrazione di una quota di nutrienti e calorie pari a quella di un feto di pari età gestazionale. Tali apporti si raggiungono però solo nell’arco di due settimane. C’è pertanto un rischio di malnutrizione in questo lasso di tempo che può incidere seriamente sulla crescita postnatale. Se la sopravvivenza dei very low birth weight (1000-1500 g) pretermine (<32a settimana gestazionale) è aumentata sensibilmente grazie all’assistenza pre- e perinatale, maggiore attenzione va riposta nella definizione di adeguati apporti nutrizionali, date le limitate scorte energetiche e di deposito di grassi. Tra la 24a e 28a settimana la velocità di crescita è molto alta (guadagno proteico di 2,1-2,2 g/kg/die e uptake corrispondente di aminoacidi transplacentare di 3-3,5 g/kg/die). Il ritardo di crescita post-natale rappresenta un serio problema per lo stato di malnutrizione iatrogeno. Bisogna pertanto:

1. pesare e misurare i bambini all’atto del ricovero;

2. creare un team multidisciplinare dedicato alla presa in carico da un punto di vista nutrizionale del nato pretermine, così da poter attuare interventi nutrizionali precoci e personalizzati;

3. implementare la formazione degli operatori (neonatologi e infermieri) in Terapia Intensiva Neonatale;

4. implementare la formazione del pediatra di libera scelta e promuovere un maggior coordinamento tra ospedale e territorio e a eseguire il monitoraggio dell’accrescimento.

Per la valutazione dello stato di nutrizione:

1. anamnesi e misurazione dati antropometrici per tutti i bambini ricoverati, questionario STRONGkids, misurazione peso, altezza, IMC, circonferenza braccio, plica tricipitale e plica sottoscapolare;

2. determinazione parametri biochimici standard (emocromo con formula, IGF-1, albumina, prealbumina, transferrina, ferritina, glicemia, colesterolo totale, colesterolo HDL, trigliceridi, urea e creatinina);

3. in gruppi selezionati studio con calorimetria indiretta, confronto tra spesa energetica misurata e spesa energetica calcolata.

Da rammentare, infine, come l’aumento del PIL non sembri migliorare il livello di MCP infantile (stime 2011 danno 165 milioni di bambini dei Paesi in via di sviluppo colpiti da arresto della crescita e 101 milioni in sottopeso).

Bibliografia di riferimento

– Agostoni C, Fossali E, Calderini E, et al. Nutritional assessment and risk of malnutrition in hospitalised children in northern Italy. Acta Pædiatrica 2014; 103: e416-e417.

– Ministero della Salute. Direzione generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione. Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione ospedaliera pediatrica. Roma, 2015.

– Gianni ML, Roggero P, Garbarino F, et al. Nutrition and growth in infants born preterm from birth to adulthood. Early Hum Dev 2013; 89 (suppl 2): S41-44.

– Roggero P, Gianni ML, Liotto N, Taroni F, Morniroli D, Mosca F. Small for gestational age preterm infants: nutritional strategies and quality of growth after discharge. J Matern Fetal Neonatal Med (England) 2011; 24 (suppl 1): 144-6.

Sarcopenia

Definizione. Progressiva riduzione della massa muscolare (a prescindere dal peso corporeo) età-dipendente e aumento della componente grassa e connettiva. Ne consegue il declino nella forza muscolare e della performance fisica.

Prevalenza. Provocata da sedentarietà e invecchiamento, è spesso frequente anche in pazienti sovrappeso o obesi. È associata a malnutrizione calorico-proteica e/o sindrome dello yo-yo, quindi risulta essere punto nodale nella sindrome della fragilità dell’anziano. Il 19,9% degli italiani è over 65 anni; gli obesi sono circa l’11% e i sovrappeso circa il 32%. I soggetti di età superiore a 50 anni sono nel 50% dei casi o in sovrappeso o obesi, mentre nella fascia di età tra 65 e 75 anni il 15 % è obeso.

Secondo la revisione di Fielding pubblicata nel 2011, che rappresenta il dato epidemiologico più recente, il 17% dei maschi e l’11% delle femmine ultra 65enni è affetto da sarcopenia.




Conseguenze. La sarcopenia rappresenta un punto nodale intorno al quale ruota il processo di fragilizzazione del soggetto anziano. Comporta conseguenze sul piano clinico (scompenso cardio-respiratorio) e funzionali (riduzione dei livelli di autonomia), rischio di cadute e lesioni da decubito. Come conseguenze un aumento della durata del ricovero, un maggiore rischio di re-ricoveri o istituzionalizzazioni e un aumento della mortalità. Come accaduto per il DM2, un tempo considerato solo dell’anziano, anche la sarcopenia associata all’obesità non deve essere sottovalutata in età giovanile.

Costi. Non esistono studi precisi sull’entità dei costi: è stato calcolato che con il progredire della prevalenza degli ultra 65anni e degli obesi nei prossimi 20 anni si avrà un aumento di circa il 20% dei costi per la sola disabilità legata alla sarcopenia. A livello nazionale si stima in non meno di 3 miliardi euro/anno la spesa per tale condizione (dati estrapolati da Janssen, 2004).

Interventi proposti. Sono necessarie tempestive campagne di sensibilizzazione (Pubblicità Progresso) che mettano in rilievo l’importanza dell’attività fisica, perché la condizione continua a essere misconosciuta, specie dal personale sanitario. Le Direzioni Sanitarie dovrebbero essere opportunamente sensibilizzate circa la necessità di fare inserire nella documentazione clinica dei soggetti ultra 65enni la Short Physical Performance Battery (SPPB) e il Mini Nutritional Assessment (MNA). La giustificazione spesso addotta di mancanza di tempo da parte del personale non risponde ad alcun criterio di qualità della prestazione se l’evidence-based medicine ne documenta la necessità.

Bibliografia di riferimento

– http://www.epicentro.iss.it/problemi/obesità/epid.asp

– Roubenoff R. Sarcopenic obesity: the confluence of two epidemics. Obes Res 2004; 12: 887-8.

– Wildman RP, Muntner P, Reynolds K, et al. The obese without cardiometabolic risk factor clustering and the normal weight with cardiometabolic risk factor clustering: prevalence and correlates of two phenotypes among the US population (NHANES 1999-2004). Arch Int Med 2008; 168: 1617-24.

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– Cruz-Jentoft AJ, Baeyens JP, Bauer JM, et al.; European Working Group on Sarcopenia in Older People. Sarcopenia: European consensus on definition and diagnosis: report of the European Working Group on Sarcopenia in older people. Age Ageing 2010; 39: 412-23.

– Fielding RA, Vellas B, Evans WJ, et al. Sarcopenia: an undiagnosed condition in older adults. Current consensus definition: prevalence, etiology, and consequences. International working group on sarcopenia. J Am Med Dir Assoc 2011; 12: 249-56.

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Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione

Definizione. Disturbi persistenti o meno del comportamento alimentare finalizzati al controllo del peso corporeo, che danneggiano in modo significativo la salute fisica o il funzionamento psicologico e che non sono secondari a nessuna condizione medica o psichiatrica conosciuta.

Prevalenza. I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbo da binge eating, altri disturbi della nutrizione e dell’alimentazione specificati e non specificati) sono molto comuni, in particolare nelle adolescenti e nelle giovani adulte. La prevalenza media dell’anoressia nervosa, della bulimia nervosa e del disturbo da binge eating è dello 0,3%, dell’1% e del 2,6% rispettivamente; mentre la prevalenza del disturbo della nutrizione e dell’alimentazione specificato e non specificato è attorno al 3,7-6,4%. L’età d’esordio cade tra i 10 e i 30 anni, con una media d’insorgenza intorno ai 17 anni. Nel mondo si stima un’incidenza di circa 4-8 casi ogni 100.000 abitanti per l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa, rispettivamente. La Consensus Conference sui DCA negli adolescenti e giovani adulti (ISS, 2012) riporta una prevalenza femminile di quelli non altrimenti specificati (DANAS) del 9% a 18 anni in Finlandia (Isoma et al., 2009) e del 2,39% in Turchia (Vardar e Erzengin, 2011).




Conseguenze. Sono molteplici e possono diventare durature se non adeguatamente prevenute. Le principali di ordine clinico sono a carico dell’apparato: osteomuscolare (osteopenia, osteoporosi, ipotrofia muscolare), cardiovascolare (aritmie, ipotensione arteriosa, morte improvvisa), renale (insufficienza), cutaneo (ipercarotenemia, lanugo), riproduttivo (irregolarità del ciclo, sterilità, infertilità), buccale (corrosione smalto, carie). Da non sottovalutare le conseguenze di ordine psicologico con ricadute nelle relazioni sociali e nella carriera scolastica e lavorativa.

Costi. Il costo annuo per una persona con anoressia è di circa 5.300 euro e per una persona con bulimia di circa 1.300 euro. Per questi disturbi maggiori si stima in Italia una spesa annua di circa 240 milioni di euro, di cui 64 per spese dirette (Krauth, 2002).

Interventi proposti. Dovrebbe essere maggiormente diffusa la pratica del Task Shifting (formazione dei formatori) per implementare, in particolare, i trattamenti ambulatoriali basati sulle evidenze. Andrebbero inoltre attivati programmi di sorveglianza, specie nel gruppo target 9-18 a. Auspicabile la diffusione dello SCOFF Questionnaire per la facilità d’utilizzo e la sensibilità.




Bibliografia di riferimento

– Hoek HW. Incidence, prevalence and mortality of anorexia nervosa and other eating disorders. Curr Opin Psychiatry 2006; 19: 389-94.

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– Swanson SA, Crow SJ, Le Grange D, Swendsen J, Merikangas KR. Prevalence and correlates of eating disorders in adolescents. Results from the national comorbidity survey replication adolescent supplement. Arch Gen Psychiatry 2011; 68: 714-23.

– Conferenza di Consenso. Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) negli adolescenti e nei giovani adulti. ISS, 2012. Rapporti ISTISAN, 13/6.

Comportamenti e condizioni socio-economiche a rischio di scadimento dello stato di nutrizione

Definizione. La volontà dell’individuo nel contrastare errati stili di vita è solo in parte responsabile del loro progressivo diffondersi. Il contesto socio-culturale, specie in un’ottica di globalizzazione, e le conseguenti pressioni esercitate sulla collettività, gioca un ruolo non trascurabile nel rischio di scadimento dello stato di nutrizione. La salute del singolo è fortemente correlata a quella della comunità in cui vive.

Perdita della cultura dell’alimentazione mediterranea

Definizione. La dieta mediterranea si caratterizza innanzitutto per la frugalità. I tre alimenti cardine sono i cereali (grano, mais, orzo, farro, avena), l’oliva (prevalentemente come olio) e l’uva (prevalentemente come vino rosso). I cibi più frequentemente consumati sono gli ortaggi, la frutta (anche secca) e le spezie. In modica quantità pesce, carne e latticini. Da rammentare come questo regime alimentare si caratterizzi anche per altri fondamentali aspetti come: clima, convivialità, adeguate tempistiche di assunzione del cibo e di riposo, stagionalità dei cibi, rispetto dei bioritmi.

Prevalenza.




Conseguenze. L’aderenza al regime dietetico mediterraneo è associata a un miglioramento dello stato di salute: riduzione della mortalità totale (9%); per malattie cardiovascolari (9%); per cancro (6%); di Parkinson e Alzheimer (13%). Si osserva tuttavia un allontanamento da tale regime con una riduzione dell’Indice di Adeguatezza Mediterraneo da 10 (1960) a 0,5-1,5 (2013). Segnali di allontanamento dal modello mediterraneo sono: a) l’elevata % d’individui che mangiano fuori casa. Un estrapolazione su dati CS Fipe e ISTAT 2012 stima in 12.000.000 coloro che pranzano fuori casa, di cui 4, 7 milioni in mensa (a 35-44 a 7,3%) e 3,4 milioni sul posto di lavoro (a 35-44 a 13,9%); b) la percentuale media di scarto delle mense scolastiche specie riguardo gli alimenti fondanti della dieta mediterranea come cereali e vegetali. Nella città di Bolzano ammonta al 36% e risulta invariata in 10 anni (Lucchin, 1990 e 2000); c) l’aumento del consumo di cibo d’asporto. Negli ultimi 10 anni il consumo britannico dei cibi d’asporto è aumentato del 29%, con ripercussioni sia sull’incidenza di obesità sia di tipo ambientale (BMJ 2014; 348-13 March).

Costi. Analisi economiche a supporto delle pianificazioni sanitarie, politiche ed economiche, dimostrano che tra gli interventi nutrizionali la dieta mediterranea, insieme al cambiamento dello stile di vita (TLC), assomma il miglior rapporto costi-benefici. I cambiamenti intensivi di stile di vita per la prevenzione del diabete hanno un costo differenziale di 604 $ e un rapporto costo/beneficio di 7100 $. Gli interventi di prevenzione con la dieta mediterranea, mostrano benefici per tutte le cause di mortalità e in particolare per patologie cardiache e hanno un costo differenziale di 215 $ e un rapporto costo/beneficio di 2500 $ per eventi non fatali. Il costo per anno di vita è:

1. terapia farmacologica con beta-bloccante o statine 1300-3900 $;

2. bypass coronarico 20.200 $;

3. dieta mediterranea 703 $.

Interventi proposti. Bisogna adoperarsi per trovare il giusto compromesso tra i fondamenti dei consumi e le abitudini alimentari caratteristici del bacino del Mediterraneo e gli attuali ritmi e stili di vita (inclusa quella lavorativa, relazionale, ecc.).

Fondamentale un’azione di contrasto ai falsi claim riportati sulle etichette di alcuni prodotti alimentari che non sono supportati dall’EFSA e la necessità di sviluppare una legislazione che avversi qualsiasi strategia di marketing che favorisca l’acquisto e il consumo di prodotti alimentari “unhealthy”(termine di “moda” ma vago quanto a interpretazione) quali:

• esposizione di questi prodotti in aree strategiche, per esempio in prossimità delle casse nei supermercati; nei distributori locati nelle strutture sanitarie, scuole e palestre, ecc.;

• utilizzo di pubblicità ingannevole finalizzata a esaltare le proprietà benefiche di un prodotto in assenza di evidenze scientifiche;

• pubblicità invasiva per prodotti “unhealthy” durante le trasmissioni per le fasce protette.

Bibliografia di riferimento

– Sofi F, Cesari F, Abbate R, Gensini GF, Casini A. Adherence to mediterranean diet and health status: a meta-analysis. Brit Med J 2008; 337: a1344.

– Sofi F, Macchi C, Abbate R, Gensini GF, Casini A. Mediterranean diet and health status: an updated meta-analysis and a proposal for a literature-based adherence score. Public Health Nutr 2014; 17: 2769-82.

– Fidanza F, Alberti A, Fruttini D. The Nicotera diet: the reference Italian Mediterranean diet. World Rev Nutr Diet 2005; 95: 1115-21.

– Fidanza F. Who remembers the true Italian Mediterranean diet? Diab Nutr Metab 2001; 14: 119-20.

– De Lorenzo A, Noce A, Bigioni M, et al. The effects of Italian Mediterranean Organic Diet (IMOD) on health status. Curr Pharm Des 2010; 16: 814-24.

– De Lorenzo A, Petroni ML, De Luca PP, et al. Use of quality control indices in moderately hypocaloric Mediterranean diet for treatment of obesity. Diabetes Nutr Metab 2001; 14: 181-8.

– Di Renzo L, Rizzo M, Iacopino L, et al. Body composition phenotype: Italian Mediterranean Diet and C677T MTHFR gene polymorphism interaction. Eur Rev Med Pharmacol Sci 2013; 17: 2555-65.

Insufficiente assunzione di vegetali nella popolazione

Definizione. L’assunzione di frutta e verdura è fondamentale per una corretta nutrizione. Oltre a vitamine, minerali, fibre e una modesta quantità di energia (prevalentemente sotto forma di zuccheri) è ricca di molecole bioattive, molte delle quali dal potenziale ancora da scoprire.

Prevalenza. La crisi economica degli ultimi anni ha ridotto il potere d’acquisto, penalizzando il consumo di alimenti come frutta e verdura che si è allontanato dalle 5 porzioni al giorno ritenute essenziali per il benessere e la prevenzione delle principali patologie cronico degenerative (OMS strategia “Health 2020”). La media europea del consumo di verdura è di 220 g al giorno, mentre per la frutta è di 166 gr, per un totale di 326 gr, quantità che rimane sotto la “dose” consigliata dall’OMS. L’Italia, con il consumo di 452 g al dì, sarebbe uno dei 4 Paesi europei che centrano l’obiettivo (Preceduta da Polonia e seguita da Germania e Austria). Secondo la sorveglianza PASSI (2009-2012), però, le 5 porzioni al giorno di frutta e verdura sono consumate dal 10% appena della popolazione intervistata, con una maggiore frequenza di donne (11%), adulti (50-69 anni, 13%), dei più istruiti e senza difficoltà economiche (11%). Tale divario è destinato ad aumentare in virtù del peggioramento della crisi economica e del ridotto potere d’acquisto che colpisce i più deboli. Si osserva, inoltre, un gradiente geografico, con una più alta adesione al “five a day” nelle regioni settentrionali rispetto a quelle meridionali nonostante l’abbondante presenza di vegetali (ortaggi, legumi) nei piatti della tradizione. Nel 2011, ogni famiglia ha acquistato 5 chili in meno di frutta, 3 chili in meno di verdura e 1 chilo in meno di ortaggi surgelati, portando a un calo complessivo dei quantitativi del 2,6% tendenziale, per un totale di 8,3 milioni di tonnellate. In realtà, però, la crisi dei consumi di ortofrutta parte da più lontano: in undici anni, infatti, gli acquisti sono diminuiti del 23%, passando dai 450 chili a famiglia del 2000 ai 347 chili del 2011.




Gli italiani che non mangiano carne e pesce sono il 6,5%, mentre i vegani lo 0,6% (dati Eurispes 2014).

Conseguenze. La maggioranza degli Europei non rispetta le raccomandazioni dell’OMS che nel 2004 ha attribuito il 2,4% delle malattie croniche nella regione europea allo scarso consumo di frutta e verdura. Il WHO ha stimato che l’assunzione insufficiente di frutta e verdura causa, a livello mondiale, circa il 14% di morti per tumori gastroenterici, circa l’11% di morti per malattie cardiache ischemiche e circa il 9% di morti per infarto.

Le abitudini alimentari apprese da bambini sembrano predire i livelli di assunzione in età adulta. Un’introduzione precoce di vegetali, condotta sia in ambito sensoriale che conviviale (emulazione dei pari), può favorire il radicamento di abitudini positive. Prima i bambini vengono introdotti al consumo dei vegetali e più facilmente avranno livelli di assunzione più alti in età prescolare e adulta.

Costi. La spesa annua per l’ortofrutta si attesta mediamente sopra i 13 miliardi. I prezzi, pur con un trend di consumo in discesa, tendono ad aumentare invece che diminuire, rispettivamente +5,8% per la frutta e +4,8% per i vegetali freschi (agosto 2014).

Interventi proposti. L’OMS raccomanda di consumare più di 400 g al giorno di frutta e verdura escludendo le patate e altri tuberi amidacei. In Europa le raccomandazioni variano da Paese a Paese e in alcuni come la Danimarca si consigliano più di 600 g al giorno. In Italia i LARN raccomandano 5 porzioni al giorno di vegetali (1 porzione di: legumi=150 g freschi e 50 g secchi; insalata a foglia= 80 g; ortaggi crudi o cotti= 200 g; frutta= 150 g; frutta secca= 30 g).

Bibliografia di riferimento

– Studio Passi. Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia. http://www.epicentro.iss.it/passi. Ultima consultazione: giugno 2011.

– www.eufic.org

– Roccaldo R, D’Addezio L, Censi L, et al. Indagini sulle preferenze di consumo di frutta e verdura nei bambini italiani. La Rivista di Scienza dell’Alimentazione 2012; 41: 7-19. http://www.fosan.it/system/files/Anno_41_4_01_0.pdf

– www.confagricoltura.it

– http://aiac.it/la-salute-cardiovascolare-degli-italiani/

Aumento della povertà e del rischio di malnutrizione

Definizione. Per povertà s’intende l’impossibilità a vivere dignitosamente e di appartenere a pieno titolo alla comunità. La soglia di povertà assoluta rappresenta il valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza. In Italia per una famiglia di due componenti è rappresentata dalla spesa media mensile per persona, che nel 2008 è risultata pari a 999,67 euro.

Prevalenza. Un italiano su 10 si trova in condizioni di povertà assoluta. Il trend è in aumento; dal 6,8 al 7,9% in 12 mesi. Al Sud vi è stato un incremento dal 9,8% al 12,6%. Nel 2013, il 12,6% delle famiglie di due persone era in condizione di povertà relativa, ovvero viveva con meno di 972 euro. Nello stesso anno è aumentato dal 6 al 7,5% il numero di famiglie povere con un solo figlio e dal 16 al 21% quello con 3 o più figli. Nel 2013 i minori poveri hanno raggiunto 1.434.000 a fronte dei 58.000 del 2012.




Conseguenze. Assottigliamento del ceto medio a livelli di criticità sociale. Aumento degli stati di malnutrizione sia per difetto (con assunzione deficitaria di vegetali e alimenti di qualità scadente) sia per eccesso e della necessità di una maggiore assistenza sanitaria da parte del SSN. Aumento della conflittualità sociale. Il 68% delle famiglie europee ha un ridotto consumo proteico a causa della crisi (Movimento Enough di Elanco, 2015).

Costi. La morte prematura di poveri, disabili e malati costa oltre 1,3 trilioni di euro agli Stati membri dell’Unione Europea (rapporto Commissione UE, 2014). Cifra che equivale e addirittura spesso supera il valore del prodotto interno lordo di molte nazioni del Vecchio Continente messe insieme. Continuando a ignorare e sottovalutare i costi sociali, economici e sanitari delle disuguaglianze, la ripresa economica continuerà a essere improbabile. 

Interventi proposti. Molte disparità di salute sono legate alle diseguaglianze sociali ed economiche.

• Le più alte prevalenze di obesità si verificano tra i gruppi di popolazione con i tassi di povertà più alti e con meno istruzione.

• C’è una relazione inversa tra la densità di energia (MJ/kg) e il costo dell’energia ($/MJ), cioè gli alimenti ad alta densità energetica composti da cereali raffinati, zuccheri aggiunti o grassi possono rappresentare l’opzione a più basso costo per il consumatore.

• C’è una correlazione tra l’alta appetibilità di dolci e grassi e un più elevato introito energetico.

• Ogni anno in Italia vengono buttati 76 kg di cibo/pro-capite.

Occorrerebbe sostenere il volontariato per garantire almeno un pasto caldo al giorno ai meno abbienti.

Nutrizione artificiale domiciliare (NAD)

Definizione. Insieme di metodiche atte a garantire un’adeguata nutrizione a pazienti momentaneamente o permanentemente non in grado di coprire i propri fabbisogni per via orale. Può essere utilizzato il canale digerente (nutrizione enterale con sonda naso gastrica o naso digiunale o gastrostomia) o il circolo ematico (nutrizione parenterale totale o periferica).

Prevalenza. La necessità a deospedalizzare prima possibile aumenterà il ricorso alla pratica della nutrizione artificiale domiciliare.




Conseguenze. Una NAD non adeguatamente pianificata e gestita da personale poco competente aumenta i rischi di complicazioni, scadimento della qualità della vita del paziente e di ri-ospedalizzazione.

Costi. Da tenere presente che un’adeguata implementazione della NAD contribuisce in modo consistente a ridurre i costi assistenziali diretti e indiretti. Considerato che il costo complessivo di gestione di una giornata di nutrizione artificiale può oscillare tra i 40 e 100 euro, a fronte di una giornata di ricovero altrimenti obbligato di 600-800 euro, ben si comprendono i vantaggi dell’erogazione di servizi ottimali in tale direzione.

Interventi proposti. C’è necessità di:

1. rendere più omogenee le linee-guida regionali. Ci sono ancora troppe differenze nelle modalità di erogazione delle prestazioni e nei modelli organizzativi;

2. potenziare i servizi sul territorio;

3. un osservatorio nazionale ufficiale, o di osservatori regionali tra loro collegati in rete;

4. un miglior raccordo ospedale-territorio, tramite definiti percorsi terapeutici;

5. una più precoce deospedalizzazione, tramite il potenziamento delle prestazioni di NA ospedaliera.

Bibliografia di riferimento

– Documento di Consenso ADI-SINPE 2013. Nutrizione clinica e il suo ruolo all’interno dei percorsi terapeutici. http://www.sinpe.org/documenti/1. CD_NutrizioneClinica (2).pdf

Stati carenziali

Definizione. Deficienza di assunzione di macro o micronutrienti con ricadute negative sulla salute.

La prevalenza degli stati carenziali, specie vitaminico-minerali, è destinata ad aumentare, sia per una migliore conoscenza scientifica che aumenta la sensibilità sulla ricerca degli stessi, sia per la globalizzazione, che facendo convivere differenti culture e abitudini alimentari impone una conoscenza delle stesse proprio per prevenire deficit nutrizionali per la difficoltà nell’integrazione alimentare.

Carenza di vitamina D negli anziani

Prevalenza.




Conseguenze. Il rischio di mortalità associato con bassi livelli di vitamina D è superiore del 56%. La dose raccomandata per adulti >60a è 800 UI (20 μg), non coperta dalle fonti nutrizionali e dalla produzione cutanea, che si riduce con l’età. Il gene per il recettore delle vitamina D (VDR), che si trova al locus cromosomico 12q13-14, è un membro della famiglia dei recettori dell’ormone nucleare e influenza la funzione dei geni che sono coinvolti nella regolazione delle cellule, la crescita, e l’immunità. Sono stati identificati più di undici polimorfismi nella regione codificante e nel promotore del gene, coinvolti nel metabolismo osseo, nel danno ossidativo, nell’infiammazione e nelle patologie cronico degenerative non trasmissibili. Il rapporto tra la vitamina D e l’infiammazione cronica di basso grado, per esempio, con la resistenza all’insulina nel DM2, può essere mediato in parte dalle proprietà immunomodulanti della 1,25 (OH) 2D3, che è in grado di down-regolare la produzione di citochine pro-infiammatorie. Pertanto sarà di fondamentale importanza, nell’ambito di una predizione e prevenzione di rischio, nonché per una personalizzazione della cura, valutare tali e altri polimorfismi coinvolti nell’assorbimento della vitamina D, per poi modulare la concentrazione di vitamina D da assumere in relazione al profilo genetico (Kamel, 2014; Prabhakar, 2015; Xu, 2014). La carenza di vitamina D può generare rachitismo, osteomalacia, osteoporosi, ipertensione, cancro, iperparatiroidismo secondario e diverse malattie autoimmuni. Ultimamente si è anche dimostrato il suo ruolo nel determinismo della forza muscolare.

Costi. Risulta difficile quantificare il costo globale del deficit di vitamina D. Ma considerare anche un solo aspetto può essere indicativo. Le fratture osteoporotiche costituiscono certamente un problema socio-sanitario. Ogni anziano con frattura femorale genera 12.625 euro di soli costi ospedalieri e riabilitativi. Tra il 2000 2008 in Italia si sono verificate oltre mezzo milione di fratture femorali, responsabili di circa 800.000 ricoveri. I decessi sono stati 120.000 e i casi d’invalidità permanente oltre 150.000. I costi diretti totali per il SSN sono stati di circa 8,5 miliardi di euro (più 1 miliardo di euro pagato dall’INPS per le pensioni d’invalidità). Se si considerano le 150.000 fratture vertebrali il costo totale stimato in Italia si aggira sui 300 milioni di euro all’anno I costi totali delle fratture di omero negli anziani, che includono anche le fratture omerali non ricoverate, sono stimati in 85 milioni di Euro all’anno. I farmaci inclusi nella nota AIFA 79 rappresentano il 9% della spesa sostenuta per tutti i farmaci sottoposti a Note AIFA, per un totale di 363 milioni di euro (12,5 dosi per 1000 abitanti/die).

Interventi proposti. Implementare la cultura del movimento, specie all’aperto, fin dalla più giovane età e diffondere l’abitudine alla monitorizzazione dei livelli ematici di vitamina D.

Bibliografia di riferimento

– Zhou G, Stoitzfus J, Swan BA. Optimizing vitamin D status to reduce colorectal cancer risk: an evidentiary review. Clin J Oncol Nurs 2009; 13: E3-17.

– Pilz S, Dobnig H, Fischer JE, et al. Low vitamin D levels predict stroke in patients referred to coronary angiography. Stroke 2008; 39: 2611-3.

– Annweiler C, Rolland Y, Schott AM, et al. Higher vitamin D dietary intake Is associated with lower risk of Alzheimer’s disease: a 7-year follow-up. J Gerontol A Biol Sci Med Sci 2012; 67: 1205-11.

– Kamel MM, Fouad SA, Salaheldin O, El-Razek Ael-R, El-Fatah AI. Impact of vitamin D receptor gene polymorphisms in pathogenesis of Type-1 diabetes mellitus. Int J Clin Exp Med 2014; 7: 5505-10.

– Prabhakar P, Majumdar V, Kulkarni GB, Christopher R. Genetic variants of vitamin D receptor and susceptibility to ischemic stroke. Biochem Biophys Res Commun 2015; 456: 631-6.

– Xu JR, Yang Y, Liu XM, Wang YJ. Association of VDR polymorphisms with type 2 diabetes mellitus in Chinese Han and Hui populations. Genet Mol Res 2014; 13: 9588-98.

Carenza di folati nella popolazione, specie in soggetti di sesso femminile

Prevalenza. Studi epidemiologici cross-sectional condotti su una popolazione di donne sane a Catania (Agodi et al., 2011; 2013; 2014; Barchitta et al., 2014) risulta:

• un’elevata prevalenza di donne con carenza di folati; complessivamente il 51,5%: risultano carenti l’83,4% delle donne non in gravidanza e il 12,3% delle donne in gravidanza. Circa il 50% delle donne presenta bassi livelli di folati eritrocitari (<305 nmol/l) e tutte <906 nmol/l, nonostante l’utilizzo di supplementi contenenti acido folico;

• che il 91,5% delle donne presenta elevati livelli di omocisteina;

• una scarsa aderenza alla dieta mediterranea (MDS mediana 4; range 0-9): solo l’8,2% delle donne presenta un’elevata aderenza (MDS >6);

• un’elevata prevalenza di sovrappeso/obesità (32,6%), dato confrontabile con quello nazionale;

• un rischio di ipometilazione globale del DNA più elevato nelle donne carenti di folati, scarsamente aderenti alla dieta mediterranea e che consumano poca frutta.




Conseguenze. Diverse evidenze scientifiche hanno dimostrato il ruolo dell’acido folico nel ridurre l’anemia megaloblastica in gravidanza e prevenire malformazioni fetali, in particolare difetti del tubo neurale (Tamura e Picciano, 2006). Inoltre, è stato suggerito un ruolo protettivo per alcune forme di cancro.

L’aderenza alla dieta mediterranea è stata associata a una riduzione della mortalità totale, dell’incidenza o mortalità per malattie cardiovascolari, dell’incidenza o mortalità per cancro, dell’incidenza di DM2, dell’ipertensione, della sindrome metabolica e dell’obesità e a un aumento della sopravvivenza (Trichopoulou et al., 2003; Buckland et al., 2009; Romaguera et al., 2010; Sofi et al., 2010; Couto et al., 2011).

Il modello dell’enzima metiltetraidrafolato reduttasi (MTHFR) è esemplificativo del ruolo dei polimorfismi genetici e di come una dieta appropriata possa bilanciare gli squilibri causati da un difetto primitivo, intrinseco al genoma di un individuo (Di Renzo, 2013). Questo enzima, il cui gene è espresso costitutivamente dalle cellule, presenta talora un polimorfismo nella regione codificante per l’mRNA per cui vi sarà una mutazione del tipo 677C®T, che comporterà la sostituzione di un aminoacido con un’alanina alla posizione 222 della catena polipeptidica, con un conseguente aumento della Km dell’enzima e una conseguente riduzione dell’attività dell’enzima stesso. Sappiamo come la MTHFR sia un enzima centrale nella regolazione del metabolismo dei folati e della metionina, per cui un ottimo marcatore per rendere evidenti i livelli di funzionalità dell’enzima è la valutazione della concentrazione serica dell’omocisteina, un metabolita direttamente coinvolto nelle reazioni catalizzate dall’MTHFR. Ebbene, l’iperomocisteinemia è un fattore di rischio per malattie cardiovascolari, difetti del tubo neurale e recentemente è stato ipotizzato un suo coinvolgimento anche nell’Alzheimer e nell’osteoporosi (Hermann, 2002; Cagnacci, 2003).

Interventi proposti. Prescrivere una dieta ricca di folati, eventualmente completata da integrazione con acido folico, sulla base delle necessità individuali (età, genere, stato di gravidanza). Monitorare i livelli ematici di omocisteina, per i rischi connessi a un suo accumulo (Di Daniele, 2014; Di Renzo, 2014; Ashfield-Watt, 2002).

Bibliografia di riferimento

– Agodi A, Barchitta M, Valenti G, Marzagalli R, Frontini V, Marchese AE. Increase in the prevalence of the MTHFR 677 TT polymorphism in women born since 1959: potential implications for folate requirements. Eur J Clin Nutr 2011; 65: 1302-8.

– Agodi A, Barchitta M, Valenti G, et al. Dietary folate intake and blood biomarkers reveal high risk groups in a Mediterranean population of healthy women of childbearing potential. Ann Nutr Metab 2013; 63: 179-85.

– Agodi A. Progetto “Profili nutrizionali, fattori protettivi e bio-marcatori per la prevenzione del Cancro nelle donne dell’area metropolitana di Catania”, 2010-2015.

– Agodi A, Barchitta M, Quattrocchi A, Adornetto V, Canto C, Marchese AE. Diet, genetic and epigenetic signatures in women of childbearing age from a Mediterranean population: perspectives for public health. In: Act of the 26th Annual International Society for Environmental Epidemiology Conference. Seattle, Washington, USA, August 24-28th, 2014.

– Ashfield-Watt PA, Pullin CH, Whiting JM, et al. Methylenetetrahydrofolate reductase 677CT genotype modulates homocysteine responses to a folate-rich diet or a low-dose folic acid supplement: a randomized controlled trial. Am J Clin Nutr 2002; 76: 180-6.

– Barchitta M, Quattrocchi A, Adornetto V, Marchese AE, Agodi A. Tumor necrosis factor-alpha −308 G>A polymorphism, adherence to Mediterranean diet, and risk of overweight/obesity in young women. BioMed Res Int 2014; 2014: 742620. doi./10.1155/2014/742620.

– Cagnacci A, Baldassari F, Rivolta G, Arangino S, Volpe A. Relation of homocysteine, folate, and vitamin B12 to bone mineral density of postmenopausal women. Bone 2003; 33: 956-9.

– Di Daniele N, Di Renzo L, Noce A, et al. Effects of italian Mediterranean organic diet vs low-protein diet in nephropathic patients according to MTHFR genotypes. J Nephrol 2014; 27: 529-36.

– Di Renzo L, Marsella L, Sarlo F, et al. C677T gene polymorphism of MTHFR and metabolic syndrome: response to dietary intervention. J Transl Med 2014; 12: 329.

– Di Renzo L, Rizzo M, Iacopino L, et al. Body composition phenotype: Italian Mediterranean Diet and C677T MTHFR gene polymorphism interaction. Eur Rev Med Pharmacol Sci 2013; 17: 2555-65.

– Gallus S, Odone A, Lugo A, et al. Overweight and obesity prevalence and determinants in Italy: an update to 2010. Eur J Nutr 2013; 52: 677-85.

– Herrmann W, Knapp JP. Hyperhomocysteinemia: a new risk factor for degenerative diseases. Clin Lab 2002; 48: 471-81.

– Sofi F, Abbate R, Gensini GF, Casini A. Accruing evidence on benefits of adherence to the Mediterranean diet on health: an updated systematic review and meta-analysis. Am J Clin Nutr 2010; 92: 1189-96.

– Couto E, Boffetta P, Lagiou P, et al. Mediterranean dietary pattern and cancer risk in the EPIC cohort. Br J Canc 2011; 104: 1493-9.

– Trichopoulou A, Costacou T, Bamia C, Trichopoulos D. Adherence to a Mediterranean diet and survival in a Greek population. N Engl J Med 2003; 348: 2599-608.

– Buckland G, Bach A, Serra-Majem L. Obesity and the Mediterranean diet: a systematic review of observational and intervention studies. Obes Rev 2008; 9: 582-93.

– Romaguera D, Norat T, Mouw T, et al. Adherence to the Mediterranean diet is associated with lower abdominal adiposity in Europeanmen and women. J Nutr 2009; 139: 1728-37.

Carenza di ferro tra 0 e 3 anni

Prevalenza.




 

Conseguenze. Nei primi 6 mesi di vita vengono utilizzate le scorte fornite dalla madre. Anemia sideropenica che se si cronicizza interferisce con lo sviluppo psicomotorio. C’è anche una ricaduta negativa sul sistema immunitario, sui sistemi di neurotrasmissione cerebrale e sulla termoregolazione. La carenza marziale si accompagna ad atrofia del tessuto linfatico con conseguenti risposte ipoergiche. Il neonato pretermine necessita di una quantità più che doppia rispetto al neonato a termine.

Interventi proposti. Promozione dell’allattamento al seno per l’elevata biodisponibilità del ferro del latte materno. Al momento dello svezzamento prediligere alimenti che contengono ferro-eme (carne, pesce), limitando quelli che ne inibiscono l’assorbimento (es., tè).

Basso apporto di acidi grassi polinsaturi con la dieta

Trattasi di carenza “relativa”, nel senso che è al di sotto di quanto suggerito dalle linee-guida di prevenzione cardio-vascolare, ma non tale da configurare un vero e proprio stato carenziale (PUFA coprono il 4-5% dell’energia quotidiana) (dati rilevati nello Studio INRAN-SCAI 2005-2006). L’intervallo di riferimento per l’assunzione di acidi grassi polinsaturi, indicato dai LARN 2014 è pari al 5-10% dell’apporto energetico totale/die.

Tossinfezioni alimentari

Definizione. Malattie determinate dal consumo di alimenti contenenti sia sostanze tossiche sia batteri.

Prevalenza. Le malattie dovute ai cibi contaminati costituiscono forse uno dei problemi di salute pubblica più diffuso nel mondo contemporaneo. Oggi si contano al mondo più di 250 tossinfezioni alimentari che si manifestano con differenti sintomi e sono causate da diversi agenti patogeni, che aumentano con il passare degli anni (es., Campilobacter jejuni, Listeria monocitogenes). Si stima che ogni anno, nei soli Paesi industrializzati, il 30% della popolazione sia colpito da una tossinfezione alimentare. Il nuovo report annuale Efsa-Ecdc sulle zoonosi e sui focolai di tossinfezione a trasmissione alimentare nell’UE, pubblicato a febbraio 2014, evidenzia che nel 2012 si è assistito a un leggero decremento rispetto al 2011. La campilobatteriosi, con 214.268 casi riportati, rimane la zoonosi più frequentemente notificata in Europa. Dal rapporto emerge che i casi di salmonellosi hanno registrato un continuo calo nel corso degli anni, con 91.034 casi segnalati nel 2012, mentre la listeriosi – responsabile di 1642 casi segnalati nel 2012 – registra un aumento del 10,5 % rispetto al 2011, confermando il graduale incremento osservato nel corso degli ultimi cinque anni. Nel 2013 i Servizi Igiene degli Alimenti e Nutrizione e Veterinari delle ASL hanno effettuato 512.103 ispezioni controllando 327.021 attività alimentari. Di queste, 52.395 (16%) hanno mostrato irregolarità (carenze igieniche, delle strutture e dell’Hazard Analysis and Critical Control Point - HACCP). Sono seguiti 66.316 provvedimenti amministrativi e 1252 notizie di reato. Dei 160.089 campioni di alimenti controllati solo l’1,6% è risultato irregolare.




Conseguenze. Una non adeguata prevenzione e sorveglianza delle tossinfezioni alimentari comporta perdita di giornate lavorative, progressiva diffidenza dei consumatori nei confronti dell’alimento incriminato e in alcuni casi anche aumentato rischio di mortalità. L’apparato più coinvolto è quello gastrointestinale (nausea, vomito, crampi addominali e diarrea) in un arco di tempo relativamente breve (da ore a giorni). Nel caso di ingestione di alimenti contaminati, viene solitamente colpita la prima parte dell’apparato gastroenterico e i sintomi si manifestano in tempi più brevi. Nel caso invece di tossinfezioni causate da microrganismi che tendono a diffondersi anche nel sistema sanguigno, i tempi d’incubazione possono essere più lunghi (sintomo più frequente la diarrea, con febbre e brividi. Tuttavia, vi sono casi in cui i sintomi interessano altri apparati corporei e il decorso della malattia è molto diverso. Nel caso del prione legato alla malattia di Creutzfield-Jakob, per esempio, il periodo di incubazione può essere anche di molti anni e le manifestazioni sintomatiche non interessano il sistema gastrointestinale, ma quello nervoso.

Costi. Negli USA il complesso delle malattie di origine alimentare rappresentano un costo stimato di 15.600 milioni di dollari. Nel 2013, la spesa maggiore è stata prodotta dalla salmonella con 3.600 milioni di dollari, seguita dalla Listeria Monocytogenes con 2.800 milioni di dollari (Economic Research Service - ERS, 2014).

Interventi proposti. La tutela della salute dei consumatori è resa difficile da modalità produttive intensive e sofisticate e da filiere alimentari sempre più complesse conseguenti alla crescente globalizzazione. Per farvi fronte, la Comunità Europea ha prodotto una serie di norme in tema di sicurezza alimentare, note come “Pacchetto igiene” e fondate sull’HACCP, che prevedono il coinvolgimento dell’intera filiera alimentare, dai campi alla tavola. Per valutare e garantire la qualità nutrizionale, è stato messo a punto il processo NACCP (Nutrient and Hazard Analysis of Critical Control Point), un insieme di procedure, decisioni e protocolli che consentono di mantenere standard qualitativi elevati lungo l’intera filiera “dal campo al consumatore”. Il processo NACCP si fonda su quattro principi generali:

1. garanzia del mantenimento del diritto alla salute;

2. garanzia della qualità nutrizionale;

3. garanzia di una corretta informazione sul prodotto per un consumo consapevole;

4. garanzia di un profitto etico.

L’attuazione del processo NACCP permetterà di ottenere prodotti in grado di soddisfare le esigenze del consumatore, in accordo con le proposte del nuovo approccio PAN (Preference, accetpance, need), basato sulle preferenze e necessità fisiologiche, nutrizionali, energetiche, genetiche e metaboliche individuali. Oltre a un beneficio per la salute umana, potrebbe garantire per il futuro uno sbocco economico-professionale per l’industria e per l’intero settore agroalimentare, con una ricaduta in termini di risparmio della spesa sanitaria, legata ai costi di morbilità e mortalità per patologie cronico-degenerative non trasmissibili dieta-dipendenti.

Bibliografia di riferimento

– Di Renzo L, Carraro A, Minella D. Nutrient Analysis Critical Control Point (NACCP): hazelnut as a prototype of nutrigenomic study. Food Nutr Sci 2014; 5: 79-88.

– Di Renzo L, Carraro A, Valente R, Iacopino L, Colica C, De Lorenzo A. Intake of red wine in different meals modulates oxidized LDL level, oxidative and inflammatory gene expression in healthy people: a randomized crossover trial. Oxid Med Cell Longev 2014; 2014: 681318. doi: 10.1155/2014/681318.

– Di Renzo L, Di Pierro D, Bigioni M, et al. Is antioxidant plasma status in humans a consequence of the antioxidant food content influence? Eur Rev Med Pharmacol Sci 2007; 11: 185-92.

– De Lorenzo A, Noce A, Bigioni M, et al. The effects of Italian Mediterranean Organic Diet (IMOD) on health status. Curr Pharm Des 2010; 16: 814-24.

– Calabrese V, Cornelius C, Trovato A, et al. The hormetic role of dietary antioxidants in free radical-related diseases. Curr Pharm Des 2010; 16: 877-83.

– The European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic agents and Food-borne Outbreaks in 2012.

Diffusione incongrua di integratori alimentari e necessità di aggiornamento legislativo nell’ambito della nutraceutica

Definizione. Gli integratori alimentari (o complementi alimentari o supplementi alimentari) sono prodotti alimentari destinati a integrare la comune dieta con una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti sia pluricomposti, in forme predosate (articolo 2 del Decreto Legislativo n° 169 del 21 maggio 2004).

I nutraceutici (fusione di “nutrizione” e “farmaceutica”) sono alimenti o loro parti con effetti benefici sulla salute, associando la componente nutrizionale alle proprietà “curative”. Va pertanto definita: 1) la quantità dei nutrienti, in termine di concentrazione, con effetti positivi sulla salute. In genere si tratta di nutrienti che svolgono un’attività biologico-farmacologica a dosaggi più alti di quelli che normalmente si raggiungono con una dieta standard; 2) la qualità degli alimenti, in termini di sicurezza, cioè assenza di componenti a cui sia associato un rischio per la salute; 3) la fruibilità, intesa come facile reperibilità dell’alimento e soddisfazione nell’assunzione. Spesso i nutraceutici sono introdotti negli alimenti in una forma chimica diversa da quella naturalmente presente e questo potrebbe influenzarne le caratteristiche nutrizionali. Il termine “nutraceutico” viene frequentemente usato come sinonimo di alimento funzionale, inteso come quello capace di apportare benefici per la salute dell’uomo, non solo in termini conservativi, ma soprattutto preventivi. La sua funzione primaria è quella di apportare nutrienti, quella secondaria di soddisfare organoletticamente. Esercita un effetto positivo sulla salute nelle quantità normalmente previste dalla dieta equilibrata. Il ruolo protettivo degli “alimenti funzionali” non è ascrivibile a una singola componente, ma piuttosto a un insieme di nutrienti e non nutrienti, in grado di agire sinergicamente tra loro. Esempi di alimenti funzionali nutraceutici sono il tè verde per il contenuto in catechine e la mela per il contenuto in quercetina.

Prevalenza. Nel 2013 ben 7 italiani su 10 hanno utilizzato integratori almeno 1 volta. I più richiesti sono stati quelli vitaminico-minerali, i probiotici, quelli per il controllo del peso, gli antiossidanti, gli energetici, i coadiuvanti della funzione intestinale e quelli per il controllo della colesterolemia.




L’86% dei decessi in Europa è dovuto a patologie croniche. Al giorno d’oggi sono stati identificati circa 30.000 fitocomponenti nei vegetali, di cui circa 5.000-10.000 in quelli di comune consumo. Assumendo 5 porzioni al giorno di frutta e verdura, si garantisce l’assunzione di circa 1,5 g/die di fitocomponenti nutraceutici.

I prodotti nutraceutici affrontano realtà concorrenziali ai farmaci. Vengono indicati in patologie come l’ipercolesterolemia e l’ipertensione, fino all’obesità o alla malattia di Alzheimer, dove molecole farmacologiche di sintesi, anche sofisticate, hanno fallito. Ne fa uso poco meno della metà della popolazione italiana adulta.




Calcolando in circa 100.000 i soggetti che direttamente o indirettamente traggono beneficio economico dalla produzione-distribuzione di nutraceutici, e a fronte della salita media del settore del 10-15% annuo (contro un andamento piatto o in leggera discesa del farmaceutico) l’area della nutraceutica va considerata di elevata priorità nello sviluppo socio-economico del Paese.

Conseguenze. Il ricorso all’automedicazione, favorito da pubblicità non scientificamente rigorose, può comportare spese ingiustificate e ritardi nella corretta impostazione di terapie efficaci.

Costi. In Europa si stima in 700 miliardi/anno i costi per curare le patologie croniche (Active Citizenship Network-9° celebrazione 2015). Nel 2014 il fatturato della vendita di integratori ha raggiunto quota 1.946,5 milioni di euro (ricerca Nielsen Market Track Healthcare) per un totale di 141 milioni di confezioni vendute. Il trend è in crescita con un +3,1% rispetto all’anno precedente per quanto riguarda il fatturato, e un +2,1% rispetto all’anno precedente in termini di confezioni vendute. I nutraceutici costituiscono una quota variabile fra il 15 e il 35% del fatturato delle farmacie, oltre a una quota paragonabile nella grande distribuzione e nelle parafarmacie.

Interventi proposti. Andrebbe promosso l’aggiornamento di un prontuario degli integratori e dei nutraceutici e l’identificazione di strutture in grado di effettuare studi di validazione degli stessi che, in quanto prodotti da banco, sono poco regolamentati. Con gli opportuni accorgimenti e con il supporto di una legislazione da aggiornare, va sostenuta l’industria italiana del settore nutraceutico.

Da contrastare con decisione la progressiva diffusione di test predittivi alimentazione-genetica.

Bibliografia di riferimento

– Sirtori CR, Eberini I, Arnoldi A. Hypocholesterolemic effects of soya proteins: results of recent studies are predictable from the Anderson meta-analysis data. Br J Nutr 2007; 97: 816-22.

– Sirtori CR, Galli C, Anderson JW, Sirtori E, Arnoldi A. Functional foods for dyslipidaemia and cardiovascular risk prevention. Nutr Res Rev 2009; 22: 244-61.

– Sirtori CR, Arnoldi A. Nutraceutica e dietetica. In: Novellino E, Iadevaia V (eds). La gestione tecnico-professionale della farmacia. Milano: Punto Effe, 2012.

– Sirtori CR, Arnoldi A. La nutraceutica, in risposta a una nuova domanda di salute. Sistema Università 2012; (39/40): 8-9.

– Galli C, Maggi FM, Risè P, Sirtori CR. Bioequivalence of two omega-3 fatty acid ethyl ester formulations: a case of clinical pharmacology of dietary: a case of clinical pharmacology of dietary supplements. Br J Cin Pharmacol 2012; 74: 60-5.

Tabella delle pesature per voce

Si è voluto tentare di attribuire un punteggio alle singole criticità, innanzitutto per separare quelle di maggiore rilevanza, elencate nel Manifesto, da quelle ritenute di minore impatto e, secondariamente, per stimolare la riflessione tra addetti ai lavori circa la ricaduta economico-sanitaria delle varie problematiche. Sono state escluse le voci che non hanno raggiunto il punteggio di 7/10. Il risultato ottenuto in termini di valori assoluti va comunque interpretato come indicativo, essendo il frutto di specialisti dell’ambito della nutrizione, ma con specificità e interessi differenti. A prescindere dalla posizione occupata nel rating, le voci identificate rappresentano con certezza le principali criticità nutrizionali da affrontare.




Proposte d’intervento

Se l’identificazione delle criticità, pur impegnativa, segue comunque passaggi metodologici fattibili in tempi relativamente rapidi, la proposizione di strategie correttive risulta invece più difficoltosa. Si fatica a non cadere nel frequente errore di ritenere che ciò che apparentemente è logico e razionale venga istituzionalmente e accademicamente interpretato nello stesso modo. Tempi e modi di realizzazione si allungano e gli obiettivi si allontanano proporzionalmente alle risorse economiche richieste.

Verranno analizzate prima le criticità di ordine organizzativo-gestionale, per poi passare a una sintetica disamina di tutte le altre proposte formulate. Preliminarmente, risulta indispensabile dare una risposta definitiva ai seguenti quesiti:

• Le criticità identificate costituiscono realmente una seria problematica socio-sanitaria per la comunità, non solo nazionale?

• La nutrizione clinica e preventiva deve recuperare un ruolo strategico nella pianificazione sanitaria?

• Le problematiche nutrizionali identificate possono essere efficacemente contrastate con l’esclusivo intervento sanitario?

Assenza della nutrizione clinica tra gli obiettivi formativi del core curriculum del corso di laurea in medicina e chirurgia




Si fatica a comprendere come a fronte di un pressoché plebiscitario consenso del mondo accademico circa il ruolo giocato dalla nutrizione clinica e preventiva, nella realtà pratica si assista a una totale indifferenza per la problematica, che trova la sua massima espressione: a) nell’assenza di un insegnamento specifico (Nutrizione Umana dopo quello di Fisiologia) nel Corso di Laurea in Medicina; b) in uno scarso grado di preparazione medica specifica; c) in una preoccupante copertura della domanda dell’opinione pubblica da parte di organizzazioni e figure professionali con finalità lontane da quelle sanitarie.

Si insegnano molte nozioni che nella pratica professionale del giovane medico o specialista probabilmente verranno utilizzate molto poco; si ha la presunzione che parlare di nutrizione sia facilmente acquisibile, magari con il solo buon senso o forse debbano essere altre figure professionali a occuparsene?

Con un’organizzazione pubblica come quella attualmente disponibile (figura 1) è molto difficile pensare ad azioni di contrasto efficaci su scala nazionale. E il fatto che anche in altre regioni europee tale disciplina non sia normata, non significa che non abbia validità. L’“intuizione” italiana di una specializzazione post-laurea in scienza dell’alimentazione dovrebbe essere promossa a livello internazionale e non ridimensionata, come spesso accade per molti aspetti della vita pubblica. Le azioni da intraprendere dovrebbero allora essere:

1. contattare gli organismi accademici responsabili della formazione, specie in ambito medico (Ministero Salute, MIUR, CUN, Conferenza Permanente dei Presidenti Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia, ecc.). L’esperienza ha dimostrato come questo passaggio risulti molto difficoltoso se non facilitato da un attore istituzionale forte;

2. proporre una pianificazione formativa rispettosa degli attuali ordinamenti. La Federazione delle Società Italiane di Nutrizione (FeSIN), dispone già di un documento, frutto del lavoro pluriennale di specialisti universitari e ospedalieri e disponibile come base di discussione;

3. attivare corsi FAD per i MMG da parte di società scientifiche accreditate a livello ministeriale.




Bibliografia di riferimento

– Codice di Dentologia Medica – FNOMCeO 2014 (art 3) http://www.fnomceo.it/fnomceo/home.2puntOT

– Documento di posizione della FeSIN sulla formazione in nutrizione umana nei Corsi di Laurea (in press).

– Nutrizione clinica e il suo ruolo all’interno dei percorsi terapeutici. Documento di Consenso ADI-SINPE 2013. http://www.sinpe.org/documenti/1. CD_NutrizioneClinica (2).pdf

– Risoluzione del Consiglio d’Europa ResAP (2003)3.




Confusione dei ruoli in nutrizione clinica

La rilevanza delle problematiche socio-sanitarie a concausa nutrizionale non può esimere il livello istituzionale dalla responsabilità di arginare, quanto meno, il dilagare di proposte non basate su evidenze scientifiche e “truffaldine”, che incrementano la confusione dell’opinione pubblica e il rischio di aggravamento delle problematiche stesse.

Attualmente almeno 10 qualifiche professionali possiedono il riconoscimento statale e possono trattare aspetti attinenti alla nutrizione: assistente sanitario, biologo, chimico merceologo, dietista, farmacista, laureato in nutrizione umana, laureato in agraria, medico, tecnologo alimentare, veterinario. A queste vanno aggiunte un numero crescente di figure professionali che invadono il settore frequentando corsi piuttosto remunerativi e promossi anche da alcune università: cuoco, laureato in scienze motorie, nutritional trainer, educatore alimentare, naturopata, estetista, ecc. Sorgono spontanei alcuni quesiti:

• sono chiare le specifiche competenze nutrizionali delle varie figure professionali?

• nonostante il gran numero di figure in campo, alla fine l’ambito più gettonato è quello della nutrizione clinica. Ma questa è terapia e quindi atto medico?

• come si distinguono i consigli nutrizionali generici da quelli più squisitamente terapeutici?

• quali danni possono essere causati sul cittadino da consigli nutrizionali sbagliati, specie se forniti da persone non qualificate? Che responsabilità ricadono sul legislatore nel non avere chiarito ruoli e competenze degli operatori del settore?

• va chiaramente differenziato l’intervento sul soggetto sano da quello su soggetto con problematiche sanitarie, ovviamente stabilite dal medico;

• non è il caso di chiarire ufficialmente all’opinione pubblica che il termine “nutrizionista” non ha valore giuridico?

La “Scienza della Nutrizione” o “Scienza dell’Alimentazione” è una scienza molto complessa, chiamata a occuparsi di numerosi aspetti che vanno dalla sicurezza alimentare alla tecnologia alimentare, dalla nutrizione fisiologica a quella patologica, ecc. Per ogni aspetto c’è bisogno di professionisti specifici con chiare e specifiche competenze, in grado d’interagire sinergicamente e non conflittualmente. Per quanto riguarda il settore clinico, le competenze nutrizionali non possono prescindere dal medico.

Le azioni da intraprendere dovrebbero allora essere:

1. convocare un tavolo con gli ordini professionali e le associazioni di categoria interessate, per stilare un documento definitivo sulle competenze in materia di nutrizione. In una persona che presenta una patologia, anche il semplice consiglio è un atto terapeutico e quindi medico. L’esperienza ha dimostrato come questo passaggio risulti molto difficoltoso se non facilitato da un attore istituzionale forte;

2. promuovere una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica circa le modalità d’individuazione delle corrette figure professionali a cui rivolgersi;

3. ufficialmente e sistematicamente la mala-informazione nel settore. Per un più efficace rapporto con i media, potrebbe essere promossa una struttura gestita da giornalisti professionisti e da un consorzio di società scientifiche;

4. coinvolgere le associazioni scientifiche del settore, per l’accreditamento di professionisti e strutture;

5. regolamentare meglio in termini di obiettivi, le attività formative, specie master, nel settore preventivo e della nutrizione clinica.




l paradosso. A fronte di una modesta, se non insufficiente, offerta didattica nel corso di laurea in medicina e nelle scuole di specializzazione, sono stati concepiti due corsi di laurea; uno triennale in dietistica e uno magistrale in nutrizione umana. Il razionale sfugge! Il vuoto attuale relativo ai crediti formativi riguarda in modo trasversale sia la nutrizione di base, sia quella applicata, sia quella clinica, artificiale in particolare.

Bibliografia di riferimento

– Codice di Dentologia Medica – FNOMCeO 2014 (art 3) http://www.fnomceo.it/fnomceo/home.2puntOT

– Documento di posizione della FeSIN sulla formazione in nutrizione umana nei Corsi di Laurea (in press).

– Nutrizione clinica e il suo ruolo all’interno dei percorsi terapeutici – Documento di Consenso ADI-SINPE 2013 http://www.sinpe.org/documenti/1. CD_NutrizioneClinica (2).pdf

Insufficiente integrazione ambiente-salute. Necessità di valorizzazione dell’ecologia nutrizionale

Il destino ultimo del cibo è di finire in bocca. La prima considerazione che emerge è se piace e quanto piace. In caso affermativo, è probabile ci si ponga la domanda su quanto se ne può assumere perché non faccia male alla salute. Per rispondere a quest’ultimo aspetto è fondamentale la conoscenza della composizione dell’alimento in termini sia quantitativi sia qualitativi, nonché la sua costante monitorizzazione. Inoltre, c’è bisogno di una maggiore consapevolezza sul fatto che la salute dell’uomo, e conseguentemente una sana alimentazione, è vincolata alla “salute” del territorio e quindi dipende da adeguati interventi a questo livello (importanza delle politiche sociali e del territorio): ovvero valorizzazione dell’ecologia nutrizionale. La diffusione dell’obesità e di tutte le patologie direttamente collegate a errate abitudini di vita, che sono la gran maggioranza di quelle che oggi incidono sullo stato di salute e sulla mortalità, richiede interventi di politica di sanità pubblica, con leggi adeguate, piuttosto che con il semplice impegno medico (si dovrebbe intervenire come è accaduto per la cintura di sicurezza, il casco, l’abolizione del fumo nei locali pubblici). È ancora insufficiente:

• l’attenzione alle abitudini e comportamenti alimentari in età evolutiva;

• la consapevolezza che la terapia dietetica, compresa la nutrizione artificiale, è una terapia non farmacologica per molte patologie, acute e croniche.

Se questa è l’ottica, 3 macro-insiemi devono sinergizzarsi per ottenere il migliore risultato:

1. quello della salvaguardia della salute (promozione di adeguati stili di vita, promozione dell’invecchiamento attivo, gestione della cronicità. Attualmente in Italia 18,5 milioni di abitanti sono affetti da almeno una patologia cronica) Dati rilevati da ISTAT, 2012 (38,6%);

2. quello del socio-culturale, che include l’operato istituzionale e incide fortemente sui comportamenti degli individui;

3. quello ambientale (sostenibilità, biodiversità, contrasto dell’inquinamento).

Le azioni da intraprendere sono difficili perché: a) i tre macro-insiemi risultano ancora eccessivamente disarticolati al loro interno; b) il peso di ognuno, percepito dall’opinione pubblica, risulta troppo disomogeneo; c) è ancora insufficiente l’interazione multiprofessionale con discipline apparentemente lontane; d) vi sono le resistenze delle grandi lobby finanziarie. È necessaria una pianificazione a medio termine che preveda:

1. una forte sensibilizzazione dell’opinione pubblica circa l’indispensabilità di una sinergia tra questi tre macro-insiemi;

2. l’attivazione di alcuni modelli sperimentali pilota su piccole comunità;

3. l’implementazione del processo NACCP (buone pratiche per il nutriente);

4. un tavolo di coordinamento istituzionale congiunto tra Ministero della Salute, delle Politiche Agricole, dell’Ambiente e della Ricerca Scientifica;

5. la valorizzazione di un organismo di riferimento nazionale nell’ambito della nutrizione.




Necessità di maggiore sensibilizzazione istituzionale alle problematiche di nutrizione clinica e preventiva

Non disponendo di stime aggiornate circa le risorse strutturali pubbliche in ambito nutrizionale, i dati verosimili sono i seguenti:




È indubbio che con una tale organizzazione non siano prevedibili sensibili miglioramenti delle criticità nutrizionali evidenziate. Risultano carenti attrezzature adatte a un’approfondita valutazione dello stato di nutrizione e all’assistenza di pazienti con quadri di grave obesità, sia nei pochi servizi di dietetica e nutrizione clinica presenti sia, in generale, nelle strutture ospedaliere. Ogni azienda sanitaria e territoriale dovrebbe dotarsi di una struttura di riferimento per la nutrizione clinica (Unità Operativa di Dietetica e Nutrizione Clinica Clinica) e preventiva (Servizio d’Igiene degli Alimenti e della Nutrizione). Andrebbero altresì previste strutture riabilitative in grado di trattare coerentemente aspetti metabolici, dietetici e psicologici per obesità e disturbi del comportamento alimentare. Tutte le strutture di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione dovrebbero fare riferimento a pratiche evidence-based e dotarsi di modalità di monitoraggio (standard e relativi indicatori) dei risultati dell’attività svolta in coerenza con la pianificazione (Piano Nazionale della Prevenzione 2014-19 e Piani Regionali applicativi). In attesa che i tempi consentano un’organizzazione strutturale più efficace, tramite l’implementazione delle sopracitate UUOO ospedaliere e territoriali di riferimento (possibilmente con sistema Hub e Spokes) si può migliorare l’implementazione dell’attività nutrizionale pubblica, a costo zero, nel seguente modo:




Inoltre:




Bibliografia di riferimento

– Bell CL, Tamura BK, Masaki KH, Amella EJ. Prevalence and measures of nutritional compromise among nursing home patients: weight loss, low body mass index, malnutrition, and feeding dependency, a systematic review of the literature. J Am Med Dir Assoc 2013; 14: 94-100.

– Dati nazionali 2012 - OKkio alla SALUTE 2012: Sintesi dei risultati https://www.okkioallasalute.it/?q=node/74

– Donini LM, Cuzzolaro M, Spera G, et al. Obesità e disturbi dell’alimentazione. Indicazioni per i diversi livelli di trattamento. Documento di Consensus. Eat Weight Disord 2010; 15 (1-2 suppl): 1-31.

– Donini LM, Neri B, De Chiara S, Poggiogalle E, Muscaritoli M. Nutritional care in a nursing home in Italy. PLoS One 2013; 8: e55804.

– Studio HBSC Italia – Rapporti ISTISAN 2010 http://www.iss.it/binary/publ/cont/13_5_web.pdf

– Tamura BK, Bell CL, Masaki KH, Amella EJ. Factors associated with weight loss, low BMI, and malnutrition among nursing home patients: a systematic review of the literature. J Am Med Dir Assoc 2013; 14: 649-55.

– Donini LM. Debate on obesity medicine. Endocr Pract 2013; 19: 169.

– Donini LM, Dalle Grave R, Caretto A, et al. From simplicity towards complexity: the Italian multidimensional approach to obesity. Eat Weight Disord 2014; 19: 387-94.

– Leach RM, Brotherton A, Stroud M, Thompson R. Nutrition and fluid balance must be taken seriously. BMJ 2013; 346: f801.

– Booth HP, Prevost AT, Gulliford MC. General practice/Family practice Research. Access to weight reduction interventions for overweight and obese patients in UK primary care: population-based cohort study. BMJ Open 2015; 5: e006642. doi:10.1136/bmjopen-2014-006642.

Miscellanea di proposte

Attivare programmi nazionali di prevenzione di sovrappeso e obesità che facciano leva non solo sull’educazione del cittadino, ma anche su misure di ordine sociale ed economico

Nonostante da anni il programma Nazionale “Guadagnare Salute” e il Piano Nazionale Prevenzione focalizzi l’attenzione sull’importanza delle attività di prevenzione primaria e secondaria, di fatto ben poco del budget sanitario (in media circa il 3,5%) viene destinato alla realizzazione di tali importanti e improcrastinabili attività. Intuibile la scarsa attrattività in investimenti che potranno essere valutati solo a distanza di anni, ma non si dovrebbe confinare il tutto a meri calcoli economici nel breve termine. È una scelta culturale e civile quella di decidere quale tipo di futuro riservarci.

Ben 4 infarti su 5 sarebbero evitabili adottando corretti stili di vita (Akesson, Am College of Cardiology, 2014). Da enfatizzare il ruolo della misurazione del grasso corporeo, piuttosto che del peso.

Un recente studio OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha evidenziato come in alcune Nazioni (quali Canada, Olanda, Spagna, Francia e USA) un progressivo incremento della spesa in prevenzione sia associata a una progressiva e significativa riduzione della spesa per prestazioni curative e di riabilitazione; in particolar modo, un incremento dell’1% del rapporto spesa in prevenzione su spesa sanitaria pubblica è stato associato a una riduzione del 3% nella spesa destinata alle prestazioni terapeutiche. Mutuando tale trend all’Italia, entro il 2050 si potrebbe ottenere un risparmio di 17,1 miliardi di euro, pari a una riduzione dello 0,6% nel rapporto spesa sanitaria pubblica su PIL. È forte la necessità d’implementare i programmi nazionali, regionali e locali relativi alla promozione della corretta alimentazione e alla prevenzione nutrizionale, nonché i curriculum formativi e l’aggiornamento professionale sui temi della prevenzione nutrizionale e buone pratiche nelle attività di sanità pubblica.

Rendere l’educazione alimentare vincolante nei piani formativi scolastici della scuola dell’obbligo

È annoso il dibattito circa l’opportunità o meno di tale operazione. Attualmente si assiste a una grande disomogeneità, in termini sia d’impegno sia di qualità, sia di finalità. Con il termine educazione alimentare nella scuola s’intende qualcosa di differente da quanto inteso a livello sanitario. Un’operazione a costo zero consisterebbe nel spalmarla in tutte quelle materie del ciclo di studio che offrono spunti in tal senso e nel vincolare i docenti coinvolgibili a una formazione e aggiornamento regolari a opera delle società scientifiche. Il momento mensa scolastica e l’approvvigionamento di generi alimentari tramite distributori all’interno dei locali scolastici, andrebbero adeguatamente ripensati alla luce delle attuali necessità. Inoltre, andrebbero fatti interventi educativi sulla famiglia (genitori), affinché forniscano un esempio positivo anche tramite una “spesa consapevole” che renda la dispensa di casa più “mediterranea”. Per contrastare gli effetti negativi sulla salute legati all’adozione di un modello alimentare sempre più lontano per caratteristiche nutrizionali da quello mediterraneo e sempre più vicino a quello globale della “western diet” e dei fast food è necessario adottare delle strategie correttive di popolazione quali:

1. recupero delle tradizioni gastronomiche mediterranee e innovazione tecnologica per la produzione di alimenti con esaltate proprietà benefiche;

2. applicazione di una corretta alimentazione nella ristorazione di massa (mense scolastiche e aziendali);

3. sviluppo di reti di collaborazione tra Istituzioni Scolastiche, Sanitarie (SIAN) e Ditte di Ristorazione Collettiva per l’implementazione della qualità nutrizionale dei pasti mensa;

4. sviluppo di una legislazione a tutela del consumatore per il controllo di eventuali pubblicità ingannevoli e più in generale per tutti gli aspetti della comunicazione in ambito alimentare;

5. implementazione della legislazione esistente a tutela del consumatore per il controllo di eventuali pubblicità ingannevoli e sviluppo generale degli aspetti della comunicazione in ambito alimentare.

Bibliografia di riferimento

– Lucchin L. Indirizzo metodologico per l’informazione e l’educazione alimentare. In: Amerio ML, Fatati G (a cura di). Dietetica e Nutrizione. Clinica, terapia e organizzazione. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2007.

– Sofi F, Macchi C, Abbate R, Gensini GF, Casini A. Mediterranean diet and health status: an updated meta-analysis and a proposal for a literature-based adherence score. Public Health Nutr 2014; 17: 2769-82.

Endorsement da parte degli organi di governo della sanità delle linee-guida per il trattamento di obesità, malnutrizione e disturbi della nutrizione e alimentazione

Spesso c’è un lungo e pericoloso vagare da un approccio miracolistico all’altro. Questi possono proliferare e svilupparsi grazie all’assenza di chiari e accreditati quadri di riferimento che, peraltro, le Società Scientifiche hanno elaborato.

Bibliografia di riferimento

– Conferenza di Consenso “Disturbi del Comportamento Alimentare negli adolescenti e nei giovani adulti” (24-25 Ottobre 2012) promossa dall’Istituto Superiore di Sanità. http://www.iss.it/publ/?lang=1&id=2690&tipo=5

– Criteri di appropriatezza clinica, strutturale, tecnologica e operativa nella prevenzione, diagnosi e terapia dei disturbi del comportamento alimentare. Ministero della Salute (coordinato dal prof. Mario Maj). Quaderni del Ministero della Salute 2013; (17/22): luglio-agosto.

– Leach RM, Brotherton A, Stroud M, Thompson R. Nutrition and fluid balance must be taken seriously. BMJ 2013; 346: f801.

– Standard Italiani per la Cura dell’Obesità – SIO-ADI 2012-2013. http://www.sio-obesita.org/Standard.pdf

– Zanchetti A, et al. La riabilitazione in ambito metabolico In: La centralità della Persona in riabilitazione: nuovi modelli organizzativi e gestionali. Quaderni del Ministero della Salute 2011; (8): 79-82.

Applicazione dei nuovi livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia per la popolazione italiana, specie in età pediatrica

Obiettivo principale dei nuovi LARN è la prevenzione: prevenzione delle sindromi da carenze, dello stato delle riserve corporee, delle funzioni biochimiche e fisiologiche dell’individuo, ma ancor più prevenzione delle malattie cronico-degenerative. Per quanto riguarda l’età pediatrica, le problematiche nutrizionali riguardano la prevenzione delle condizioni di carenza marziale nei primi 3 anni di vita e la prevenzione del sovrappeso e dell’obesità in età scolare partendo da corrette abitudini alimentari nei primi anni di vita. Il problema principale riguarda però le strategie d’implementazione di tali raccomandazioni, che mediamente impiegano anni prima che una percentuale accettabile di sanitari le applichi. Associazioni scientifiche e istituzioni inserite in una rete operativa concreta e non teorica dovrebbero assumersi la responsabilità di questa operazione attraverso un’efficace attività di controllo non fiscale e di interfaccia con le direzioni sanitarie locali.

Bibliografia di riferimento

– LARN - Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana. Revisione 2012. Documento di sintesi per il XXXV Congresso Nazionale SINU. Bologna, 22-23 ottobre 2012.

– Michaelsen KF, Larnkjær A, Mølgaard C. Amount and quality of dietary proteins during the first two years of life in relation to NCD risk in adulthood. Nutr Metab Cardiovasc Dis 2012; 22: 781-6.

– Agostoni C, Scaglioni S, Ghisleni D, Verduci E, Giovannini M, Riva E. How much protein is safe? Int J Obes 2005; 29 (suppl 2): S8-13.

– Weber M, Grote V, Closa-Monasterolo R, et al.; European Childhood Obesity Trial Study Group: lower protein content in infant formula reduces BMI and obesity risk at school age: follow-up of a randomized trial. Am J Clin Nutr 2014; 99: 1041-51.

– Domellof M, Braegger C, Campoy C, et al.; ESPGHAN Committee on Nutrition: Iron requirements of infants and toddlers. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2014; 58: 119-29.

Attivazione di strutture riabilitative di tipo metabolico-nutrizionale-psicologico e di chirurgia bariatrica dedicate a obesità e disturbi della nutrizione e dell’alimentazione

Anche se i tempi non sembrano idonei per investimenti organizzativi, non si può continuare a ignorare l’intervento riabilitativo strutturato nelle tematiche connesse alla nutrizione clinica, perché il non intervento comporta alti costi per la collettività. Peraltro, come dimostrato da numerosi studi, la compartecipazione economica del cittadino alla spesa, specie relativamente a sovrappeso e obesità, risulta un atto di rafforzamento motivazionale e, quindi, terapeutico. Le forti riorganizzazioni in atto nelle aziende sanitarie non sono incompatibili con l’attivazione di strutture riabilitative pubbliche, purché pianificate per una copertura accettabile del territorio nazionale. In queste strutture, da distribuire equamente sul territorio, dovrebbe essere prevista una specifica professionalità e competenza, data la complessità delle problematiche.

Bibliografia di riferimento

– Capodaglio P, Donini LM, Petroni ML, et al. Rehabilitation in obesity with comorbidities: a consensus document from experts of the Italian Society of Physical and Rehabilitation Medicine (SIMFER), the Italian Society of Obesity (SIO) and the Italian Society of Eating Disorders (SISDCA). Eat Weight Disord 2014; 19: 383-6.

– Donini LM, Cuzzolaro M, Spera G, et al. Obesità e disturbi dell’alimentazione. Indicazioni per i diversi livelli di trattamento. Documento di Consensus. Eat Weight Disord 2010; 15 (1-2 Suppl) 1-31.

– Donini LM, Petroni ML. Principles and protocols in nutritional rehabilitation. In: Capodaglio P, Faintuch J, Liuzzi A (eds). Disabling obesity: from determinants to health care models. Heidelberg: Springer, 2013.

– Donini LM, Cuzzolaro M, Gnessi L, et al. Obesity treatment: results after 4 years of a Nutritional and Psycho-Physical Rehabilitation Program in an outpatient setting. Eat Weight Disord 2014; 19: 249-60.

Attivazione di corsi di formazione sulle terapie ambulatoriali basate sull’evidenza per i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione utilizzando la metodologia del task shifting

Per curare i disturbi dell’alimentazione sono oggi disponibili trattamenti psicologici la cui efficacia è stata dimostrata in studi controllati. Molte persone che soffrono di questi disturbi ricevono però trattamenti sub-ottimali perché i terapeuti formati in queste terapie scarseggiano. La strategia più ovvia è formare un maggior numero di terapeuti, come raccomandato dal programma inglese Improving Access to Psychological Treatments (IAPT), che ha l’obiettivo di formare persone meno qualificate ad assumere compiti che sono stati precedentemente intrapresi da persone più qualificate (task shifting). Il processo di formazione tradizionale prevede di “formare il formatore” attraverso un percorso che include seminari, manuali e supervisioni periodiche. Un’alternativa potenzialmente più efficace e meno costosa per disseminare il trattamento è la “formazione centrata sul web”, ideata per formare molti terapeuti simultaneamente. In questo tipo di formazione, un sito web appositamente progettato per la formazione descrive e illustra il trattamento in grande dettaglio e incorpora funzionalità per aiutare gli allievi ad afferrare i concetti chiave e a padroneggiare le principali procedure.

Bibliografia di riferimento

– Dalle Grave R. Eating disorders: progress and challenges. Eur J Int Med 2011; 22: 153-60.

– Fairburn CG, Patel V. The global dissemination of psychological treatments: a road map for research and practice. Am J Psychiatry 2014; 171: 5.

Predisporre e implementare percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali

È l’unica tipologia di documento in grado di conciliare le raccomandazione di linee-guida con la migliore gestione possibile in relazione alle risorse localmente disponibili. Tali documenti sono piuttosto carenti nella pratica quotidiana, pur richiesti da tutti i modelli di certificazione della qualità a livello internazionale, e sono stati sollecitati da ben 20 associazioni nazionali di pazienti che, evidentemente, ne avvertono la necessità più dei sanitari. Spetterebbe in primis alle società scientifiche predisporre un format base condiviso, adattabile poi da ogni singola realtà sanitaria locale, che rispetterebbe comunque criteri scientifici validati e modalità operative similari.

Azioni in difesa dei cittadini/consumatori

Comunicazione. È noto come il cittadino/consumatore venga quotidianamente bersagliato dai media con informazioni su alimenti salutistici e su come applicare una corretta alimentazione. Il problema è relativo a chi fa la comunicazione, cosa dice e perché! La ricerca su internet sta divenendo un abitudine comportamentale. Occorre monitorare e denunciare messaggi scorretti e fuorvianti forniti per finalità commerciali troppo spesso da “personaggi” non qualificati. Fare chiarezza sulla tipologia dei professionisti della nutrizione a difesa del cittadino/consumatore diventa un imperativo. Per questo le associazioni dei cittadini devono adoperarsi in primis per pubblicizzare solo la comunicazione qualificata/certificata da società scientifiche. Occorre dare finalmente definizione piena al Reg. (CE) 1924/2006 sui claim nutrizionali, introducendo i tanto attesi profili nutrizionali. Il suddetto regolamento deve applicarsi anche agli integratori alimentari, tra cui i nutraceutici e gli alimenti funzionali, sulla cui eventuale distinzione occorre fare chiarezza. Per gli integratori, inoltre, viene richiesto che gli studi presentati in loro sostegno siano validati.

Informazione. Occorre informare meglio i consumatori sul concetto, anche normativo, di “free” (da additivi, da fitofarmaci, da residui, da OGM, ecc.). Devono essere riviste le normative e meglio informata la cittadinanza sulle etichette. In particolare, dovrebbero essere migliorate la comprensibilità e la leggibilità e rispettata l’indicazione in etichetta della quantità di alcuni additivi, in particolare i solfiti. Essi distruggono le vitamine B1 e B12 e il DGA di 0,7 mg/kg di peso corporeo può essere facilmente superato; nei vini la quantità è molto variabile, potendo arrivare fino a 250 mg/l, ma ogni produttore usa quantità diversificate, che il consumatore deve poter conoscere. L’EFSA ha deciso una nuova valutazione degli additivi attualmente impiegati, da terminarsi entro il 31.12.2018: da questo lavoro stanno emergendo nuovi dati che, per alcuni additivi, suggeriscono una maggiore prudenza e, di fatto, una limitazione del loro impiego. La maggior parte degli additivi viene impiegata in diversi alimenti e la quantità che viene aggiunta è conosciuta soltanto dalle aziende alimentari che li utilizzano. Ciò comporta il rischio di un’assunzione non consapevole. Sarebbe quindi necessaria una maggiore trasparenza sulle etichette, con l’indicazione delle quantità presenti degli additivi e sulla quantità giornaliera consentita. Bisogna spingere i governi nazionali e l’UE a non accettare un Patto transatlantico (TTIP) che vanifichi gli sforzi fin qui compiuti verso un miglioramento della qualità e della sicurezza dei prodotti alimentari. Occorre poter tracciare: a) le criticità del trasporto nei prodotti alimentari (http://foodsupplychain.diem.unibo.it); b) la filiera di produzione e la provenienza geografica (origine) di tutti i prodotti alimentari. Occorre inoltre: a) dare la priorità a una campagna d’informazione sugli sprechi alimentari, sia quantitativi sia qualitativi; b) raggiungere accordi condivisi a livello internazionale per la salvaguardia dei prodotti alimentari di qualità e per la lotta alle contraffazioni alimentari. A questo proposito si potrebbe studiare un marchio caratterizzante “prodotti alimentari sani certificati italiani” (per es., non contenenti additivi chimici dannosi, non contenenti materie prime OGM, non contenenti residui di fitofarmaci, aventi una composizione nutrizionalmente corretta).

Educazione. Occorre promuovere più incisivamente “alimenti sani”, incentivandone l’acquisto, e introdurre i “principi di una corretta educazione alimentare” nei curricula di tutte le scuole di ogni ordine e grado, compresa l’università, in forma coerente, omogenea e cogente, formando preventivamente i formatori. L’aggettivo “sano” risulta di vaga interpretazione e necessiterebbe di una definitiva specificazione. Necessaria anche una revisione profonda e radicale delle normative sull’etichettatura degli alimenti, in modo che sia facilmente possibile risalire all’origine sia geografica sia agronomica.

Welfare. Occorre formare gli addetti alle mense scolastiche, che devono diventare un modello di corretta alimentazione, nonché i medici di qualsiasi estrazione.

Cultura. Per poter incidere positivamente su un corretto stile di vita alimentare degli italiani occorre “fare rete”, occorre che medici, organizzazioni scientifiche, culturali e dei consumatori lavorino insieme. “Insieme verso un percorso alimentare corretto” può essere lo slogan del futuro.

Ecosostenibilità. Se si vuole attuare l’ecologia della nutrizione, nuova scienza interdisciplinare, occorre creare “reti di professionisti”. Ecologia della nutrizione significa anche: territorialità, stagionalità, pratiche agronomiche corrette e sane, prevenire prima che curare, cura delle biodiversità.




Conclusioni

Alla luce dei dati riportati e delle considerazioni espresse dal presente documento, continuare a rimandare la pianificazione strutturale-organizzativa delle problematiche sanitarie connesse alla nutrizione rischia, nel giro di pochi decenni, di rivelarsi un boomerang negativo per la società italiana.

Le decisioni che debbono essere prese non possono esulare dal coinvolgere nelle scelte la società civile, perché ritenuta poco preparata su specifici aspetti tecnici. È un errore che si è commesso in molte occasioni con la presunzione di pochi, di poter decidere per molti.

Tale passaggio è fondamentale perché coinvolge inevitabili interessi di grosse multinazionali; per es., per ridurre il livello di IMC a quello del 1980 in Gran Bretagna, bisognerebbe tagliare l’introito calorico dell’8%, che costerebbe all’industria alimentare circa 8,7 miliardi di sterline l’anno, pari a più di 11 miliardi di euro (Mc Pherson, Oxford University, 2014).

Il coinvolgimento delle associazioni dei cittadini, dei consumatori e dei pazienti risulta imprescindibile.

È oltremodo necessario innescare un vero processo di cambiamento che preveda contemporaneamente misure di ordine sanitario, sociale e culturale.

Sono note quali siano le buone pratiche per far fronte in via preventiva alle principali patologie acute e croniche con interventi su comportamenti individuali e di contesto, interventi tanto più cogenti e importanti in momenti di crisi in cui la ridotta disponibilità economica del servizio pubblico e dei privati cittadini porta a risparmiare su farmaci, riduce il potere d’acquisto e rende più difficile sostenere l’onere di diagnosi e cura.

L’Italia può contare su un Servizio Sanitario Nazionale in grado di rispondere globalmente alle problematiche nutrizionali della popolazione dalla prevenzione alla diagnosi e cura, alla riabilitazione in grado di mettersi in relazione utile con un’ampia gamma di portatori di interesse, valorizzarne le potenzialità significa contribuire al benessere dei cittadini ponendo il giusto accento al perseguimento dell’equità sociale e dell’economia del Paese.

Auspichiamo che quanto affermato dal ministro Lorenzin il 20 novembre 2014 a margine della Seconda Conferenza Internazionale sulla Nutrizione a Roma: «Per l’Italia l’impegno per assicurare la sicurezza alimentare e nutrizionale è prioritario» sia una promessa concreta.