Cinema e medicina

a cura di Valeria Montebello

Astrofisica e astrocitoma: anche l’amore non è immortale

I protagonisti dell’ultimo film di Giuseppe Tornatore, La corrispondenza, sono due innamorati: Ed (Jeremy Irons) e Amy (Olga Kurylenko), un professore di astrofisica e la sua studentessa, un mago (lei lo chiama “wizard”) e una stunt nel tempo libero (lui la chiama “kamikaze”). Un uomo morto e una donna viva. Il tempo in cui i due riescono a toccarsi dura infatti solo la prima scena, in hotel, dove lei riceve in dono un amuleto a forma di stella, premonitrice della malattia di lui. Poi Ed sparisce, non si fa più vedere né trovare al cellulare, continuando però a intrattenerla – trovando quindi il modo di “farsi vivo” da morto – in una “conversazione” virtuale cadenzata e imprevedibile, fatta di mail, messaggi, misteriosi pacchi, lasciandole tracce sempre più tangibili: inizia a farle arrivare lettere di carta, così che possa stringere il foglio stretto prima da lui, e magliette con il suo odore.

Amy viene a sapere della sua morte a una conferenza che il professore avrebbe dovuto tenere all’università. E scopre che Ed, consapevole della propria condizione, ha passato le ultime settimane a comporre questa rete di sorprese, prevedendo i luoghi dove lei sarebbe andata e quello che avrebbe fatto. Da Borgo Ventoso, il loro luogo d’amore, un insieme di case in mezzo all’acqua immerso nella nebbia – l’isola di San Giulio nel lago di Orta, in Piemonte. Fino alla sua laurea, indirizzandola nelle ricerche, spronandola allo studio da una stanza lontana nel tempo e nello spazio. Lei è completamente presa dalla vicenda, a teatro neppure guarda lo spettacolo, non parla con i suoi compagni di judo, è sempre con l’iPhone in mano ad aspettare un messaggio-video di lui, tanto che un amico le chiede: «Ma ci vai anche a letto con l’iPhone?».
Vivere la vita con un morto che ti parla in continuazione, senza essere in un sogno. Ma Amy ha ricevuto anche l’antidoto per far smettere tutto: le basterebbe inviare una mail con il proprio nome scritto undici volte. E invece inizia anche lei a fare video e a riascoltarsi parlando da sola dei suoi segreti, con lui, attraverso il computer: mimando una seduta psicoanalitica con un analista davvero silenzioso.





A un certo punto non ce la fa più e blocca la corrispondenza, pentendosene immediatamente. Cerca in tutti i modi di tornare indietro ma, in un primo momento, riesce solo a recuperare alcuni scarti dei filmati di Ed rovinati dall’acqua: pezzi di discorsi, prove bloccate dalla tosse, parole che scappano, pianti, scatti d’ira, cose che non può dirle, stralci tagliati che la malattia rendeva veri, reali per quanto poco piacevoli, “non adatti alla visione”. Ma è proprio in questo momento, quando vede ciò che lui non avrebbe mai voluto farle vedere, che Amy si rende conto della debolezza, della sua condizione, della morte. Dopo numerosi tentativi riesce a sbloccare lo stop, a rimediare, e i filmati riprendono, tornano a essere perfetti, fino al video finale nel quale lui è di spalle per non mostrarle – per l’ennesima volta, l’ultima volta – come l’aveva ridotto la malattia.

Ed vuole prolungare la propria presenza e ci riesce tenendo alto il mito romantico dell’amore dopo la morte, che la supera e la vince. Oltre agli innumerevoli esempi letterari, ce ne sono anche di reali: in Francia vengono celebrati almeno dieci matrimoni postumi autorizzati in “casi eccezionali” da una sezione speciale del codice civile francese, l’articolo 171. Questa legge fu voluta da Napoleone, originariamente a favore dei militari in guerra e delle vedove. Ma quali sono, oggi, questi casi eccezionali? Jean-Louis Ronzier, ad esempio, pittore sessantottenne, ha tenuto fede alla promessa fatta sul letto di morte alla sua compagna Martine Cazeneuve, deceduta a causa di un’improvvisa malattia.
Ed e Amy non si sposano, ma è come se lo fossero. E la malattia di lui, il caso eccezionale della loro storia, è una “parola antipatica”, l’astrocitoma, il più diffuso fra i tumori cerebrali, in cui il tipo di cellula predominante deriva da un astrocita “immortalizzato”. Un astrofisico con un astrocitoma derivante da un astrocita immortalizzato che vuole diventare immortale per la sua donna: uno scioglilingua. A guardarlo, questo male, sembra sconfinato: Ed, infatti, osservava spesso la nebulosa del granchio, che gli assomigliava. Anzi, è proprio la stella dell’inizio – il primo regalo a Amy – il suo male, preso in chissà quale viaggio ultraterreno, come confessa a uno dei suoi amici: «Se vivi con la testa fra le stelle, prima o poi una ti si ficcherà nel cervello».