Società scientifiche e governo dei conflitti di interesse

Chiara Rivoiro1, Luca De Fiore2, Nerina Dirindin3

1Istituto di Ricerche Economiche e Sociali del Piemonte (IRES), Torino; 2Il Pensiero Scientifico Editore, Roma; 3Dipartimento di Scienze Economico-Sociali e Matematico-Statistiche, Università di Torino.

Pervenuto su invito il 12 marzo 2019.

Riassunto. La complessità dei sistemi sanitari implica spesso una condizione di conflitto di interessi per molti degli attori coinvolti: professionisti sanitari, dirigenti del SSN, industrie farmaceutiche, di dispositivi medici e alimentari, editori e agenzie di comunicazione, organizzatori di eventi congressuali. È una condizione di rischio, non una sentenza di colpevolezza: per questo, va governata attraverso un’informazione completa e la formazione del personale sanitario. Le società scientifiche giocano un ruolo importante essendo attive nell’aggiornamento dei propri iscritti (pensiamo per esempio ai congressi organizzati o patrocinati o ai corsi di formazione residenziali e a distanza) e nell’orientare l’assistenza sanitaria con la produzione di linee guida di pratica clinica. È importante che le associazioni professionali siano in prima linea per tutelare l’integrità dei propri iscritti e per minimizzare il rischio di conflitto di interessi, anche per evitare sprechi di risorse e rendere il sistema sanitario più equo e sostenibile.

Professional societies and conflict of interests governance.

Summary. The complexity of health systems often implies a condition of conflict of interests for many of the players involved: health professionals, managers of the NHS, pharmaceutical, medical devices or food industries, publishers and communication agencies, conference event organizers. Conflict of interests is a condition of risk, not a sentence of guilt: for this reason, conflict of interests should be managed through information and training of health personnel. Scientific societies play an important role being active in updating their members (conferences, meetings, e-learning and residential training courses) and influencing healthcare with the production of clinical practice guidelines. Professional associations must be active to foster the integrity of their members and to minimize the risk of conflict of interests, also to avoid wasting resources, making the health system fairer and more sustainable.

Le persone che lavorano nella ricerca o nell’assistenza sanitaria si trovano a operare in contesti sempre più complessi e ricchi di relazioni tra soggetti portatori di interessi diversificati. Occorre dunque essere consapevoli che ci si trova a prendere decisioni riguardanti il malato o i cittadini in condizioni caratterizzate sempre più frequentemente da conflitto di interessi (CdI), ovvero correndo un maggior rischio di essere influenzati da fattori che non coincidono con l’interesse primario dei pazienti o dei cittadini.

È una premessa necessaria perché, quando si parla di CdI, è molto frequente che il confronto si sviluppi a partire da equivoci e semplificazioni che determinano posizioni di difesa che non aiutano a comprendere il problema e ad affrontarlo in modo efficace1. Il CdI, dunque, non è una sentenza di colpevolezza ma un insieme di circostanze che si osserva con molta frequenza in ambito sanitario, al punto che è molto difficile pensare di riuscire a evitare qualsiasi potenziale situazione “conflittuale”. Questo anche perché, contrariamente a quel che si potrebbe pensare, i condizionamenti non dipendono solo dalla nota influenza dell’industria farmaceutica: «Il complesso medico-industriale comprende non soltanto i tradizionali maleducati noti come big pharma, ma molti altri gruppi professionali e commerciali compresi i ricercatori biomedici, l’industria degli alimenti salutistici, i produttori di dispositivi medici, le società professionali, le facoltà di medicina, le compagnie di assicurazione, le organizzazioni no profit, gli enti regolatori e professioni parassite come quelle dei lobbisti e dei consulenti d’azienda»2.

Non sottovalutare il problema è il primo, fondamentale passo da fare. La letteratura scientifica dimostra l’indubbia associazione tra il ricevere doni anche di modesto valore e un sentimento di gratitudine che si traduce in una più intensa prescrizione dei prodotti dell’azienda più generosa3. I regali o i favori ricevuti, però, non solo spingono alla prescrizione di medicinali, ma anche all’inclusione di principi attivi nei prontuari farmaceutici ospedalieri4 e all’inserimento di classi di farmaci nei percorsi assistenziali o nelle linee guida5.

Esserne consapevoli è essenziale. I professionisti sanitari dovrebbero conoscere i rischi ai quali sono esposti, anche per riflettere in modo più informato sul rapporto tra i vantaggi che possono derivare da un comportamento disinvolto e le opportunità che, al contrario, potrebbero nascere da una condotta più rigorosa. La condizione di rischio dovrebbe dunque diventare un tema centrale nella formazione del medico che non soltanto non si sofferma mai su questi argomenti ma, come sappiamo, è talmente condizionata dagli investimenti dell’industria nella sponsorizzazione di eventi accreditati dai programmi di educazione continua in medicina che l’acronimo CME (continuing medical education) è stato ribattezzato negli Stati Uniti “commercial medical education”6.




Al tempo stesso, le organizzazioni – dalle istituzioni centrali alle aziende sanitarie e ospedaliere – dovrebbero adottare una prospettiva che valorizzi il patrimonio di integrità presente in ogni persona, riconoscendo l’impegno, i valori e le buone pratiche che costituiscono la struttura portante del Servizio sanitario nazionale. Ridurre la gestione del CdI a un adempimento burocratico o alla semplice e quasi invisibile presenza in calce a un articolo o in apertura di una relazione congressuale di una dichiarazione di compensi ricevuti o di rapporti intrattenuti sarebbe un errore. Certamente, la trasparenza è garanzia di limpidezza e i risultati ottenuti da iniziative come AllTrials7 o YODA8 – volte ad assicurare la pubblicazione di tutti i protocolli e i risultati degli studi anche solo avviati e non conclusi o non pubblicati – sono un successo importante: ma non sono sufficienti. Affrontare le questioni che riguardano il CdI richiede un cambiamento di prospettiva che vada al di là di quanto previsto dalla normativa. Se è vero che la medicina accademica – dalle università alle strutture ospedaliere fino ai singoli professionisti – vive una crisi di credibilità mai sofferta in passato9, il recupero di una relazione di fiducia con i cittadini passa attraverso le porte strette di un ripensamento dei rapporti tra pubblico e privato. Questione che coinvolge la definizione dell’agenda della ricerca clinica, che troppo spesso è pensata per assecondare la necessità di supportare il marketing dell’industria.

In un contesto in cui operano molti attori tra loro legati da relazioni molto strette e interessi condivisi, le società scientifiche giocano un ruolo centrale. «I congressi da loro organizzati, i corsi di formazione medica continua, le linee guida di pratica clinica, le definizioni delle norme etiche e le campagne di promozione della salute da loro supportate hanno un grande peso sia nei riguardi dei medici sia del pubblico», scrivevano gli autori di un articolo uscito sul JAMA10 dieci anni fa, sintetizzando molti studi precedenti e anticipando una riflessione proseguita fino a oggi11. «Dal momento che molte società scientifiche ricevono finanziamenti ragguardevoli da aziende farmaceutiche e di dispositivi medici – proseguivano – è fondamentale che queste associazioni si dotino di policy capaci di governare sia il conflitto di interessi reale che quello percepito. Qualsiasi minaccia all’integrità delle società scientifiche professionali deve essere affrontata e risolta in modo completo ed efficace».

In questa direzione va il documento elaborato dal Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri (CIPOMO)12 che rappresenta l’espressione condivisa ed esplicita della posizione di un collegio di responsabili di struttura in merito alla condizione di CdI e suggerisce modalità di soluzione che, per essere accolte, devono superare paure, critiche e “prudenze” ancora molto diffuse. Servono coraggio e umiltà, oltre a un paziente e faticoso impegno per diffondere e costruire consenso intorno alla proposta di relazioni più rispettose dei ruoli dei diversi portatori di interesse.

Le conseguenze nocive del CdI – sembra dire il position paper CIPOMO – consistono sia nel peggioramento (o nel mancato miglioramento) della qualità delle cure, sia nell’aumento dei costi dell’assistenza sanitaria. Quest’ultimo aspetto finisce per influenzare il primo: l’aumento esponenziale del costo della medicina determina diseguaglianze crescenti nell’accesso alle cure e di fatto ne limita fortemente i vantaggi. Controllare il CdI diventa allora uno degli strumenti indispensabili per migliorare la qualità della medicina e per migliorare la sua sostenibilità.

Non è detto, in fin dei conti, che intorno a una sanità più rigorosa, sobria ed equa non possa determinarsi una virtuosa convergenza di vedute tra la maggior parte delle componenti coinvolte nella ricerca e nell’assistenza ai cittadini.

Conflitto di interessi: gli autori hanno pubblicato un libro sui conflitti di interesse in sanità, ma non percepiscono compensi sui ricavi dalle vendite.

Bibliografia

1. Dirindin N, Rivoiro C, De Fiore L. Conflitto di interessi e salute. Bologna: Il Mulino, 2018.

2. O’Mahony S. Can medicine be cured? The corruption of a profession. London: Head of Zeus, 2019.

3. DeJong C, Aguilar T, Tseng CW, Lin GA, Boscardin WJ, Dudley RA. Pharmaceutical industry-sponsored meals and physician prescribing patterns for Medicare beneficiaries. JAMA Intern Med 2016; 176: 1114-22.

4. Chren MM, Landefeld CS. Physicians’ behavior and their interactions with drug companies: a controlled study of physicians who requested additions to a hospital drug formulary. JAMA 1994; 271: 684-9.

5. Schünemann HJ, Al-Ansary LA, Forland F, et al.; Board of Trustees of the Guidelines International Network. Guidelines International Network: principles for disclosure of interests and management of conflicts in guidelines. Ann Intern Med 2015; 163: 548-53.

6. Fugh-Berman A, Hogenmiller A. CME stands for commercial medical education: and ACCME still won’t address the issue. J Med Ethics 2016; 42: 172-3.

7. www.alltrrials.net/

8. www.yoda.yale.edu/

9. Blendon RJ, Benson JM, Hero JO. Public trust in physicians: US medicine in international perspective. N Engl J Med 2014; 371: 1570-2.

10. Rothman DJ, McDonald WJ, Berkowitz CD, et al. Professional medical associations and their relationships with industry: a proposal for controlling conflict of interest. JAMA 2009; 301: 1367-72.

11. Sox HC. Conflict of interest in practice guidelines panels. JAMA 2017; 317: 1739-40.

12. CIPOMO. Position paper CIPOMO sul conflitto di interessi. Recenti Prog Med 2019; 110: 119-21.