Medicina e arte

I luoghi, la tecnologia e la cura

Hospitalia è il titolo di un progetto fotografico di Elena Franco, supportato da una mostra itinerante (ora a Santa Maria della Scala a Siena), da incontri e da un libro in tiratura limitata pubblicato in due edizioni, italiana e inglese. Sembra essere una ricerca a cavallo tra la fotografia e l’architettura avendo come obiettivo la documentazione di archivi e luoghi costruiti e usati per l’assistenza ai malati, per incoraggiare – così scrive l’autrice sul proprio sito – la riflessione sul riuso e sulla valorizzazione di questi spazi. Fotografie che esaltano la bellezza di queste strutture, molte delle quali di eccezionale valore storico e artistico: basti pensare agli Hospices di Beaune, in Borgogna, o alla stessa sede – ora museale – che accoglie attualmente la mostra.

Le immagini esposte a Siena sono commentate da una riflessione del grande giornalista Domenico Quirico che purtroppo appare fuori tema. Leggiamone una parte.

“Conosco questi luoghi, i luoghi della Misericordia. Ho fatto in tempo a camminare in alcuni, quando erano ancora affollati, pieni di segrete cavità. Prima che arrivasse l’ospedale moderno con le sue ambigue efficienze, qui potevi “patire insieme”, condividere con il paziente il peso della sua malattia. Che non era solo un guasto corporeo ma piuttosto una pena, che coinvolgeva corpo e anima, cui porre rimedio con passione e partecipazione affettiva.”







Prosegue Quirico: “I malati ti venivano incontro, in questi ospedali antichi, già nei corridoi dei chiostri, spazio intermedio tra la normalità e la reclusione, dove si mescolavano le colonne centenarie con i segni un po’ rozzi dell’irrompere – necessario per carità! – della moderna assistenza: porte in alluminio, sedie di plastica, attrezzature paramediche. Intrusi, occupanti arroganti e volgari. Sembravano segni ostili e incongrui in quelle geometriche, classiche spaziature dove solo l’uomo, l’uomo dolente, fragile, sfinito era stato immaginato dai costruttori aver spazio e diritto. Scaffali e ingombri guastavano antichi affreschi in cui si mostravano, a consolazione e monito a non farsi ghermire dalla Disperazione, divine risurrezioni e insospettabili guarigioni umane […]”.

Dalla celebrazione della bellezza artistica degli spazi (rovinata dalla non necessaria presenza della tecnologia) Quirico passa a una esplicita critica della medicina scientifica: “Attraverso la malattia e il dolore qui pulsava una realtà che nell’asettica scientificità della moderna medicina e dei luoghi in cui essa celebra i suoi fallaci riti laici, non esiste più. Qui ci era proibito di essere dei morti perché ci era dato il potere se credevamo di ridiventare dei vivi. Queste foto senza uomini ci fanno riflettere come l’apparato tecnico strumentale che ormai si frappone tra medico e paziente abbia comportato storicamente come per legge dialettica, un esilio dalla realtà antropologica del malato: che comportava di guarire il corpo e ascoltare le anime. Chi entrava in questi ospedali per praticare la umile misericordia del quotidiano doveva sapere che diventava parte, custode di grandi dolori, che avrebbe dovuto tenere la mano ai moribondi…”




Il testo di presentazione del lavoro di Elena Franco è indubbiamente seducente. Ma è antico come le strutture raccontate dalle splendide immagini dell’artista. Abbiamo certamente bisogno di un lavoro competente di documentazione, tutela e valorizzazione delle opere d’arte – dall’architettura ai dipinti – presenti sul territorio europeo. Ma non c’è alcuna necessità di criticare la tecnologia e gli “asettici riti laici” (per fortuna non sempre fallaci) di chi cerca oggi di guarire i malati e, quando non è possibile, di alleviare il loro dolore. C’è una grande discussione (giunta anche in Italia) sulla possibile influenza positiva che una tecnologia utile usata in modo appropriato potrebbe avere sulla relazione tra l’operatore sanitario e il malato (e più in generale il cittadino che ricorre al servizio sanitario). Affrontare una questione del genere senza avere conoscenza dell’argomento è molto rischioso anche per una persona straordinaria, come indubbiamente è Domenico Quirico.

Per questo, fuori contesto anche la persona più “esperta” rischia di dire cose inesatte o, nel migliore dei casi, banali.