È diventato un oggetto

Passi rapidi, decisi, scanditi, nel corridoio; passi che contrastano con lo scivolare felpato che sente tutto il giorno. Si fermano davanti alla sua porta: lo spiraglio si allarga e lui, attraverso le palpebre socchiuse, che gli danno la consapevolezza di barare, riconosce la signorina Blanche in elegante tenuta da città.
La signorina Blanche fa cenno a Joséfa di seguirla e tutt’e due, parlando sottovoce, si allontanano nel corridoio e raggiungono lo spogliatoio dove l’infermiera si cambia e abbandona le scarpe dal tacco a spillo per calzarne un paio basse. Deve avere una piccola automobile, che lui immagina di colore chiaro, azzurra o verde pallido.
Quando ritorna, è sola. Gli toglie il termometro. Maugras non ha chiuso gli occhi abbastanza in fretta e lei si accorge che è sveglio.
«Buongiorno!» esclama allegramente. «Mi dicono che ha passato una notte tranquilla. Se fa il bravo, tra poco vedrò di farle bere un succo d’arancia...».
Perché gli parla come a un bambino? Eppure è intelligente. E sa che anche lui lo è. Se si fossero incontrati altrove, non in un ospedale, si sarebbe rivolta a lui con deferenza e non le sarebbe passato per la testa di pronunciare parole stupide come:
«... Se fa il bravo...».
Non reagisce, si limita a seguirla con lo sguardo mentre consulta la cartella ai piedi del letto e vi annota la temperatura. È il solo a ignorare quello che c’è scritto su quel foglio, e dire che la cosa lo riguarda più di chiunque altro.
Insomma, è diventato un oggetto.
Pare che sia una regola quella di lasciare la porta socchiusa, non solo la sua, ma anche quella della sala grande di cui sente i rumori.


Da: Le campane di Bicêtre,
di Georges Simenon.
Traduzione di Laura F. Guarino.
Adelphi, Milano 2009.
Pag. 41