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Placebo: mente-cervello-corpo
Ancora oggi non sono pochi i malati che avendo riportato ad un medico sintomi e segni di disagio e di sofferenza e avendo ottenuto, di ritorno, meno farmaci che ascolto e comprensione, non esitano – tuttavia – a denunciare un miglioramento delle proprie condizioni, non soltanto psicologiche. È l’effetto placebo, tutt’altro che suggestione, come ha dimostrato un celebre studio di Fabrizio Benedetti: Placebo effects. Understanding the mechanisms in health and disease, pubblicato dalla Oxford University Press nel 2008. In esso veniva individuato e spiegato il meccanismo biochimico che opera nel contesto dei sistemi fisiologici, modulando i diversi processi da cui dipendono i sintomi e i disturbi: rilascio di endorfine, idoneo ad attenuare sofferenze e segnali di patologia organica. A questo poderoso e ponderoso saggio ha fatto seguito, del medesimo autore, una più agile ma non meno documentata e lucida monografia: L’effetto placebo. Breve viaggio tra mente e corpo. Pagine 126. Carocci Editore, Roma 2012; euro 12,00; ISBN 978-88-430-6494-6. In essa vengono ribaditi – sintetizzandoli – l’itinerario e i risultati sopraenunciati. «L’effetto placebo non è più considerato un artefatto della ricerca clinica quando si vuole testare una nuova terapia, bensì un fenomeno biologico che avviene nel cervello del paziente e che ci fa capire come funziona la nostra mente e come eventi mentali complessi sono in grado di influenzare tutto il nostro corpo. L’effetto placebo è dunque una finestra sull’interazione mente-cervello-corpo» (pagina 9). Sulla base di questo assunto vengono trattati corollari particolari, in rapidi ma esaurienti capitoli, tra i quali molto interessanti per la pratica clinica sono quelli dedicati al perché non tutti rispondono al placebo, ai dubbi sulla psicoterapia e sulla medicina alternativa, al perché il placebo è così efficace nel dolore, a ciò che è etico e ciò che non lo è. Quest’ultima problematica si impone all’attenzione terapeutica quotidiana e l’analisi è molto raccomandabile per la sua fruibilità. Al proposito, scrive magistralmente il Benedetti: «L’uso di procedure placebo al fine di ridurre l’assunzione di farmaci tossici appare avere una giustificazione più che etica. Si tratta di somministrare farmaco e placebo in modo alternato così da sfruttare meccanismi di condizionamento. Per esempio, se somministriamo morfina il lunedì, martedì, mercoledì, e il giovedì la sostituiamo con un placebo, e poi riprendiamo con morfina per altri due giorni e poi di nuovo la rimpiazziamo con un placebo, alla lunga possiamo ridurre l’assunzione di morfina di una buona percentuale. Alcuni studi dimostrano che è possibile ridurre l’assunzione di narcotici nel dolore post-operatorio di circa un terzo. Quando si somministra un placebo, in effetti si può dire al paziente la completa verità, soprattutto sulla base delle recenti scoperte biomediche sui meccanismi dell’effetto placebo. Per esempio, è possibile dire al paziente: “Effettuerò una procedura che consiste nell’iniezione di acqua distillata, che produrrà effetti psicologici sul tuo cervello, il quale comincerà a rilasciare endorfine ed endocannabinoidi, con conseguente riduzione del dolore . È etica una frase del genere? Sembra proprio che non ci sia alcun inganno e che un placebo somministrato con queste parole sia del tutto etico» (pag. 110).
A nostro parere, è questo approccio equilibrato e “vissuto” alla materia, consequenziale al sapiente sperimentalismo della ricerca di base, la virtù precipua del volume, così come di tutto l’operare dell’Autore. Apparentemente “riduzionistico”, esso ci chiarisce, in realtà, il motivo per cui un buon rapporto medico-malato diviene di per sé un agire terapeutico, confermando – alla luce di fatti – l’opportunità di interazione tra la medicina e le scienze umane.

Benedetta Marra