Medicina e letteratura: un’antologia




Sguardi

Il professor J.F. mi aveva consigliato, come ho detto, di non parlare con nessuno del cancro. Mi aveva precisato: le persone, anche quelle più vicine, ti guardano in modo diverso. Non per cattiveria, neanche intenzionalmente. È più forte di loro. Proiet­tano la propria angoscia di malattia e di morte. Bisogna evitare che sappiano. Potrai fare questa confidenza a una o due persone intime, ma non di più. In ogni caso, aveva concluso, molto presto sarai guarito e a quel punto potrai parlarne se vuoi…

Anche quando non si nota, la malattia isola, impone la soli­tudine e il silenzio. Fa parte del suo odore. Anche quando non è contagiosa, fa paura, e allontana, forse non le persone a noi più vicine, ma le altre, quelle che formano il coro di una vita.

Me ne sono reso conto abbastanza presto, malgrado tutti i consigli del professor J.F. Un venerdì sera, mentre mi appresta­vo a tornare a casa, un collega del centro di ricerca comincia a guardarmi con insistenza e finisce col dirmi: “Sei cambiato. Hai l’aria preoccupata, non sei normale. Spero che tu non sia mala­to, che tu non stia covando qualcosa di brutto…” Stavo per dirgli: “Si vede così tanto?” Ma mi sono trattenuto, ho abbassa­to la testa e ho continuato il mio percorso. Era la settimana in cui mi avevano detto che avevo un cancro alla prostata.

Nello stesso periodo, per distrarmi, sono andato a teatro con Maria, una delle mie amiche. Usciva da una depressione dopo essere stata lasciata dal marito. Era una donna ancora giovane, affascinante, brillante nel lavoro ma che, contrariamente a certe donne competitive, non sapeva difendersi e rispondere alle aggressioni che subiva. Accusava subito il colpo, poi cadeva in una brusca stanchezza nervosa. Quella sera, si accorse subito che non ero il solito. Certamente la scelta dello spettacolo era stata sbagliata. Mi annoiava e questo si vedeva e si sentiva perché sbadigliavo e non riuscivo a stare fermo sulla poltrona. Appro­fittammo dell’intervallo per andarcene e lei fu subito diretta:

“Tu non stai bene. Dimmi cosa ti turba.”

Io sono rimasto in silenzio un momento, poi, come in un brutto film, mi sono fermato, le ho preso il viso fra le mani e le ho detto:

“Ho un cancro.”

Mi è uscito in modo molto semplice. Non l’avevo premedita­to ma, nel mio inconscio, evidentemente dovevo pensare che Maria mi fosse abbastanza vicina per capirmi. Errore. Ho visto subito un grande turbamento impossessarsi di lei. È diventata pallida, una lacrima ha rigato la sua guancia, ha abbassato la testa e se n’è andata appena possibile.

Mi ha telefonato una volta o due, poi più niente. Non ho cercato di richiamarla. Certe persone non sono capaci di soppor­tare la malattia dei loro cari, bisogna accettarlo. Eppure in quel periodo non ero ancora né depresso né segnato fisicamente dal male. La malattia in ogni caso disturba, richiama idee di soffe­renza e di morte. È bastato che pronunciassi quella parola tabù, cancro, perché Maria cambiasse radicalmente atteggiamento nei miei confronti e chiudesse la nostra amicizia. Non mi sono arrabbiato con lei. È umano ed è così. Anche io ho preso le distanze da me stesso e dalle mie vecchie abitudini. Mi sono divertito a entrare in un nuovo corpo e un nuovo personaggio. Ho iniziato ad andare dal parrucchiere e chiedergli un taglio diverso. Sono andato da un chirurgo estetico per vedere quanto sarebbe costata un’operazione alle palpebre, ormai un po’ cadenti. Troppo cara. Ho perfino fatto venire a casa un istrutto­re di ginnastica per fare esercizio. Mi sono lasciato crescere la barba, che sistemo una volta a settimana. Mi sono comprato una quantità di nuovi vestiti e ho cambiato il mio dopobarba. Sono dettagli, ma certe volte contano. Avere all’improvviso un nuovo look, dare agli altri una nuova immagine di sé… Mi guardo allo specchio e vedo un estraneo, un ospite che non è stato invitato, un intruso, uno scroccone. A livello di dieta, ho smesso di mangiare pane e burro, anche i dolci. Perdere peso mi fa bene. Poi però mi sono detto: non vale la pena rinunciare alle cose buone, se il cancro va avanti sarà lui a farti perdere chili! Ho anche smesso bruscamente di mangiare carne dopo aver letto un’inchiesta sul modo in cui sono nutriti gli animali. Ciascuna di queste decisioni mi dà l’impressione di andare avanti e di alzare una specie di barricata contro la malattia. Poco a poco il mio corpo si è trasformato ma non la mia mente: la abitano le stesse idee cupe e confuse.



Da: L’ablazione

di Tahar Ben Jelloun

Milano: Bompiani, 2014