Cinema e medicina

a cura di Luciano De Fiore

American sniper

Un film di Eastwood campione d’incassi e candidato a sei Oscar. Nessuno come lui, in questo scorcio di 2015. Un gran successo, nonostante non sia un film facile, col vecchio Clint che se ne resta dietro la macchina da presa, lasciando il ruolo di protagonista a un convincente e ipervitaminico Bradley Cooper. Racconta una storia vera, una classica storia americana, a partire dall’omonima autobiografia di Chris Kyle, un militare statunitense morto un paio di anni fa. Morto come?

Partiamo da qui, dalla fine, accennata nel film sui titoli di coda. Anche perché proprio ai primi di febbraio nel palazzo di giustizia di Stephenville, nel nord del Texas, la corte ha selezionato la Giuria per giudicare il 27enne Eddie Ray Routh, un ex marine accusato dell’omicidio di Kyle e di un altro uomo, uccisi in un poligono di tiro il 2 febbraio 2013.




L’assassino ha dichiarato alla polizia che quel giorno aveva ucciso il mitico Chris Kyle perché si era reso conto che «se non avessi preso la sua anima, lui avrebbe preso la mia». Affermazione assai problematica, specchio di un profondissimo disagio, ma spiegabile. Cosa intendeva Routh? Intanto, ricordiamo che l’ex marine aveva partecipato prima alla guerra in Iraq e poi era stato comandato ad Haiti, assegnato alla rimozione dei cadaveri tra le macerie causate dal sisma del 2010. Quanto basta e avanza per incappare in una forma grave del disturbo post-traumatico da stress (DPTS; 309.81 secondo la classificazione del DSM-5). Dal quale Kyle stava cercando di trarlo fuori, seguendo una terapia messa a punto proprio da lui e che consisteva nell’accompagnare i reduci più problematici al poligono di tiro per scaricare le tensioni accumulate sulle sagome di legno. Con Routh, evidentemente, non ha funzionato. E l’ex marine ha scaricato il mitra sul più letale cecchino della storia militare americana, congedato dai Seals con un “record” di 150 nemici uccisi in combattimento, soprannominato “Leggenda”, mentre per i miliziani iracheni era “il diavolo di Ramadi”, con una taglia di 180.000 dollari sulla sua testa.

Kyle era tornato in Iraq per ben quattro turni, nonostante la moglie (una convincente Sienna Miller) lo scongiurasse di non partire più, per dedicarsi ai bambini e al lavoro. Ma lo stesso Kyle era addicted, vittima lui per primo di una forma grave di DPTS che lo vessò per anni, dopo il ritorno. Solo il 50% di chi soffre di un DPTS recupera rapidamente, mentre la restante metà sviluppa una forma cronica e persistente che può protrarsi per anni1. Quando Routh teme che Kyle gli “prenda l’anima”, esprime dunque un sentimento di paura e impotenza tipico del DPTS grave, spesso associato proprio a un senso di depersonalizzazione. La “terapia” di Kyle lo costringeva al ricordo, a evocare sensazioni associate al trauma. Proprio quello che un malato di DPTS tende a evitare.




Sapremo presto se Routh trascorrerà i suoi giorni in una prigione o in un ospedale psichiatrico texano, dove peraltro era già stato ricoverato pochi mesi prima dell’assassinio. Quasi in contemporanea, Hollywood assegnerà i suoi Oscar e vedremo allora se il giudizio positivo della First Lady, Michelle Obama, avrà influito sui giurati: «Il film riflette le esperienze complesse che i reduci e le loro famiglie devono affrontare», ha detto Michelle, raccontando di aver visto il film insieme al presidente sull’Air Force One. Oppure avrà ragione Rolling Stone che lo ha stroncato, scrivendo che «American Sniper è quasi troppo stupido per esser criticato», o Michael Moore che ha detto che «i cecchini sono dei codardi»?

Restano le immagini forti, amare di un film ben girato: una panoramica dell’inferno così come oggi ce lo possiamo rappresentare. Prima, al di fuori, nella devastazione di un paesaggio e di una umanità calpestata. Poi, nella psiche sconvolta di chi sopravvive, da una parte e dall’altra. Un inferno in grado di portare la guerra civile, l’antica stasis platonica, all’interno dei reduci, rendendoli incapaci di distinguere il fratello e il nemico, il dentro e il fuori, la casa e la città.

Bibliografia

1 Cfr. Balestrieri M et al., Disturbi d’ansia e disturbi da trauma e da stress. In: Siracusano A (a cura di). Manuale di psichiatria. Seconda edizione. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2014, p. 434.