Percorso di cura multidisciplinare per la gestione del dolore cronico osteoarticolare. Una proposta ASON

Massimo Mammucari1, Sergio Gigliotti2, Angelo Pucino3, Maria Capezza4, Giuseppe Santè2

Multidisciplinary care pathway to manage osteoarticular chronic pain. ASON proposal.

Summary. As recognized by law no. 38 of March 15, 2010 patients with chronic pain should have access to an appropriate diagnostic and therapeutic path with continuity of care. In addition to clinical guidelines it is necessary to implement a multidisciplinary care to manage patients with osteoarticular chronic pain to start an early analgesic treatment and to optimize the health system resources. Through a triage territorial of patients with pain we identify the most complex cases to be sent to the network of pain (Spoke and Hub), and we differentiate those that must be managed in a territorial path. The proposal by National Association Osteoarticular Specialists (ASON) suggests a multidisciplinary personalized path, coordinated by general practitioners and specialists, aims to improve patient-health system relationship.

Introduzione

L’International Association for Study of Pain (IASP) definisce il dolore cronico come un dolore che persiste da 3 mesi o dopo la guarigione del tessuto danneggiato1. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), attraverso un’indagine condotta nella medicina di base in 14 diversi Paesi, ha rilevato che il 22% dei pazienti riferisce dolore da più di 6 mesi2. Una revisione sistematica di quattro studi internazionali ha stimato cha la prevalenza del dolore cronico di qualsiasi tipo e grado varia dal 10,5% al 55,2%3. Una più recente indagine, condotta in Europa su 46.000 soggetti, ha mostrato che una persona su 5 soffre di dolore cronico mediamente da 7 anni4. Si stima inoltre che circa il 9% della popolazione degli USA5 e il 19% degli Europei4 soffrano di dolore moderato o grave3. Il dolore è presente in molte condizioni cliniche comuni, come mal di schiena, osteoartrosi, fibromialgia, cefalea, con significativo grado di disabilità, compromissione della qualità della vita e costi6. In Italia il costo sociale medio annuo del dolore cronico per ogni paziente è di almeno 4.557 €, di cui 1.400 € per i costi diretti a carico del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) (farmaci, ricoveri, diagnostica) e 3.156 € per costi indiretti (giornate lavorative perse, distacchi definitivi dal lavoro). Il costo diretto complessivo per il SSN è di circa 11,2 miliardi di euro, ovvero il 9,6% della spesa sanitaria pubblica complessiva. Il costo totale del dolore cronico in Italia ammonta a circa 36,4 miliardi ogni anno. A questo si aggiunga che, nonostante i progressi della medicina, sia in termini diagnostici sia terapeutici, non sempre si riesce a risolvere completamente il dolore cronico7. Infatti, le patologie dolorose osteoarticolari comprendono molte forme su base infiammatoria o degenerativa che, se non trattate adeguatamente, possono indurre danni irreversibili con disabilità e invalidità. Per tale ragione richiedono un intervento preventivo, curativo e riabilitativo multispecialistico. Alcune patologie hanno un’alta incidenza, come per esempio l’osteoartrosi (OA) che comporta dolore, tumefazione e compromissione funzionale delle articolazioni e dove età, genere, sovrappeso e traumatismi rappresentano i principali fattori di rischio che si sommano a una predisposizione genetica8. Il controllo del dolore, il mantenimento della motilità articolare e della qualità della vita del paziente costituiscono obiettivi terapeutici di un approccio multidisciplinare9-12. Infatti, la gravità della patologia, la concomitanza di altre condizioni morbose con i relativi trattamenti farmacologici e l’età avanzata generano gradi di complessità elevata fino alla necessità di tecniche analgesiche invasive e ricoveri per interventi chirurgici. Altro esempio di patologia ad alto impegno di risorse è dato dall’artrite reumatoide (AR). Questa patologia a carattere autoimmune colpisce tra lo 0,3% e l’1% della popolazione mondiale8-12. Talvolta i farmaci per il trattamento di questa condizione non sono ben tollerati o inducono solo un parziale beneficio. Anche l’artrite psoriasica, malattia infiammatoria cronica, che si manifesta fra il 5% e il 30% delle persone affette da psoriasi, comporta rilevante disagio estetico, limitazione funzionale e alti costi. Già da questi pochi esempi emerge chiaramente come un percorso diagnostico-terapeutico assistenziale (PDTA) condiviso potrebbe contribuire a ridurre più precocemente il disagio indotto dalla malattia di base, il rischio di cronicizzazione del dolore, il ricorso (spesso non appropriato) alle risorse ospedaliere, specie quando manca il coordinamento del caso clinico e la gestione della patologia è lasciata all’arbitrio del singolo paziente.

Misurazione del dolore

La misurazione del dolore è una parte fondamentale del PDTA del paziente. Infatti, la legge 38/2010 dispone che «all’interno della cartella clinica, nella sezione medica e infermieristica in uso presso tutte le strutture sanitarie, devono essere riportati le caratteristiche del dolore rilevato e della sua evoluzione nel corso del ricovero, e la tecnica antalgica e i farmaci utilizzati, i relativi dosaggi e il risultato antalgico conseguito». Tuttavia, la misurazione del dolore comporta problemi metodologici poiché non esiste uno strumento in grado di misurare oggettivamente il dolore. Per la sua misurazione si ricorre a sistemi soggettivi validati, quali le scale di valutazione unidimensionali (VAS, Visual Analog Scale for Pain; NRS, Numeric Rating Scale for Pain; VRS, Verbal Rating Scale). Nella nostra recente esperienza abbiamo preferito utilizzare la scala numerica (NRS), poiché solo il 2% dei pazienti ha difficoltà nel suo utilizzo13. Tali scale vanno somministrate per valutare l’andamento del dolore nel tempo e l’efficacia della terapia da parte di ogni operatore coinvolto (medici, infermieri, fisioterapisti). Poiché il dolore è “un’esperienza emozionale e sensoriale”, le scale unidimensionali vanno integrate con quelle multidimensionali, come il Brief Pain Inventory (BPI) o il McGill Pain Questionnaire14, per valutare il tono dell’umore, lo stress psico-fisico, la qualità di vita.

Tipologia del dolore

Il dolore è classificato in vari tipi in funzione della fisiopatologia7,15. Per avviare una terapia appropriata è dunque necessario ricercare la causa che genera il dolore, o che ha innescato i processi di cronicizzazione16,17 e una approfondita anamnesi per individuarne la sede, le irradiazioni, la durata, la modalità di comparsa, i fattori che alleviano il dolore e l’effetto dei farmaci assunti (figura 1)16-18. Talvolta, grazie a semplici test diagnostici per la verifica della sensibilità periferica è possibile identificare segni clinici che facilitano la diagnosi del tipo di dolore e selezionare il malato a cui suggerire ulteriori consulti specialistici e accertamenti diagnostici19.

L’approccio terapeutico territoriale al dolore cronico osteoarticolare

All’interno di un percorso di cura multidisciplinare condiviso, la scelta terapeutica è conseguente a una diagnosi eziopatogenetica, alla quali-quantità della sintomatologia riscontrata. Ogni farmaco trova una specifica posizione secondo le indicazioni e le condizioni cliniche generali del paziente. I principi terapeutici proposti dall’OMS20 suggeriscono la somministrazione per via orale (per l’accettabilità del paziente), la terapia a orari fissi (gli analgesici dovrebbero essere somministrati a intervalli regolari per garantire una copertura durante tutto l’arco della giornata) e un uso sequenziale delle tre seguenti categorie di farmaci: analgesici non oppioidi (FANS e paracetamolo) ± adiuvanti, per il dolore lieve; oppioidi minori ± adiuvanti, per il dolore moderato; oppioidi maggiori ± adiuvanti, per il dolore grave. Tuttavia, recenti linee-guida propongono l’utilizzo di oppioidi maggiori a bassi dosaggi già nel dolore moderato21-24. Inoltre, le stesse linee-guida OMS per il trattamento del dolore pediatrico25 hanno proposto di eliminare il secondo gradino (tramadolo e codeina) suggerendo un precoce utilizzo della morfina in caso il paziente non risponda a paracetamolo o ibuprofene. Anche l’uso dei comuni FANS è stato oggetto di ampie revisioni26-30 e sulla base di molti studi si è ridefinito il loro rapporto rischi cardiovascolari e gastrointestinali rispetto ai benefici clinici (figura 2). È dunque in atto un processo di maggiore personalizzazione delle cure, particolarmente necessario per alcuni sottogruppi della popolazione, quali anziani, anziani fragili, pazienti con patologie concomitanti politrattati farmacologicamente, soggetti ad alto rischio cardiovascolare, con allergie o resistenza alle terapie di prima linea, in pazienti pediatrici o quando si debba migliorare il rapporto rischio/beneficio di un determinato trattamento. In questi casi l’approccio terapeutico vede tutti i farmaci in prima linea e ciascuno di essi sarà usato in base alle specifiche esigenze del malato (figura 3). La strategia terapeutica andrà scelta in funzione del tipo di dolore, delle patologie di base e delle condizioni cliniche globali. Un medico che non abbia tutte le armi farmacologiche disponibili offrirà una soluzione non sempre adeguata al paziente con dolore, mentre le istituzioni che renderanno disponibili più possibilità terapeutiche permetteranno al medico di personalizzare adeguatamente la terapia. Infine, occorrerà tenere conto di aspetti pratici, come la presenza o meno del caregiver, della situazione sociale e culturale del malato e dell’organizzazione territoriale. Talvolta, alcuni pazienti possono incontrare scarsa aderenza per la difficoltà del rispetto della posologia o la difficoltà del malato a gestire molti farmaci contemporaneamente. In questi casi il supporto del medico di medicina generale (MMG), grazie a un counseling e a un sostegno continuo, migliora notevolmente l’aderenza al trattamento. Ecco dunque l’esigenza di una condivisione tra ospedale e territorio del piano di cure, sia per assicurare la continuità assistenziale, sia per adeguare la strategia terapeutica alla realtà territoriale e familiare del singolo malato.




Razionale e metodi per la realizzazione di un percorso assistenziale

Per PDTA si intende il macro processo per la gestione di un problema di salute. In particolare, con esso si vuole indicare una sequenza predefinita e coordinata di prestazioni in vari ambiti clinici (ambulatorio territoriale, ambulatorio o reparto ospedaliero), che prevede la partecipazione integrata di diversi professionisti della salute, al fine di assicurare diagnosi e terapie adeguate30,31. Questo approccio risulta particolarmente utile dove si richieda la partecipazione multidisciplinare o di diverse strutture sanitarie e dove sia necessaria la tempestività dell’intervento sanitario, la continuità assistenziale e l’ottimizzazione delle risorse. In definitiva, il PDTA è un piano multidisciplinare che definisce la linea di condotta clinico-organizzativa30. La proposta di un modello di PDTA per la gestione del paziente con dolore osteoarticolare è stata preceduta da un audit realizzato da 30 specialisti (ortopedici, reumatologi, fisiatri) aderenti all’Associazione Specialisti Osteoarticolari Nazionali (ASON). L’analisi retrospettiva di 888 cartelle cliniche, relative a pazienti con dolore cronico osteoarticolare (DCO), ha permesso di rilevare l’approccio dello specialista (SP) al dolore e ha evidenziato la necessità di una maggiore collaborazione e scambio di dati clinici con il MMG, sia nella fase diagnostica sia in quella terapeutica. Tale audit ha anche evidenziato l’urgenza di stabilire un percorso di cura supportato da strumenti di comunicazione condivisi tra le varie figure professionali (cartella clinica, lettera con passaggio di consegne, scambi telefonici, e-mail) al fine di migliorare la gestione globale del singolo paziente. In seguito a tali evidenze, un MMG esperto in farmacologica del dolore ha redatto un PDTA per il DCO. Il PDTA doveva prevedere un triage territoriale e una terapia analgesica di primo livello (gestita da MMG e SP) propedeutico a interventi di secondo livello (da gestire in ambiente specializzato, Spoke e/o Hub). Questo documento è stato in seguito valutato da un gruppo di specialisti in ortopedia, reumatologia, fisiatria, fisioterapia, scienze infermieristiche. Il PDTA così realizzato ha l’obiettivo di indicare un percorso modulato sulle esigenze socio-sanitarie del paziente ed evitare ripetizioni di esami diagnostici superflui, reiterazione di terapie inappropriate e risvolti economici negativi per il servizio sanitario. Infine, un PDTA condiviso mira a prevenire eventuali contrasti tra diverse funzioni professionali (destabilizzanti sia per il paziente sia per i suoi familiari) e favorire l’interazione (utile e necessaria) tra gli operatori coinvolti nella gestione dello stesso paziente con dolore.

Proposta di un PDTA

I benefici del PDTA che ASON propone saranno evidenti al singolo paziente (che vedrebbe abbattuto il rischio di un ritardo delle cure), a chi deve programmare le risorse (perché permette di identificare gli eventuali problemi organizzativi e i necessari adattamenti per ridurre eventuali sprechi) e al SSN (perché offre una umanizzazione del processo, efficienza, appropriatezza e tempestività dei servizi erogati)31. Vista la legge n. 38 del 15 marzo 2010 dove si propone la realizzazione di reti regionali costituite da centri ospedalieri, con vari livelli di assistenza (Spoke e Hub, così definiti in base alle caratteristiche organizzative) e la medicina del territorio (le aggregazioni funzionali del territorio – AFT – costituite dai MMG), la proposta di un PDTA per la gestione del DCO è necessaria per la razionalizzazione del flusso dei pazienti dalla medicina del territorio alla rete ospedaliera e viceversa. Infatti, una stretta collaborazione tra MMG e SP è necessaria per attuare un primo triage territoriale del paziente con DCO al fine di attivare la rete ospedaliera del dolore solo quando necessario (casi più complessi)32. Il modello che ASON propone è basato sul triage territoriale (figura 4) e mira a classificare il paziente con dolore in base al grado di complessità per individuare il migliore percorso diagnostico-terapeutico. La medicina del territorio, sotto il coordinamento del MMG e il supporto dello SP territoriale, pone i pazienti con dolore al centro del sistema i quali, grazie a una comunicazione integrata (ortopedico, reumatologo, fisiatra, chirurgo, terapista del dolore, MMG, infermiere, fisioterapista), riceveranno la risposta analgesica adeguata. Semplici algoritmi (figura 5, tabella 1) possono permettere la gestione di un percorso ove più figure sanitarie sono coinvolte per giungere alla corretta diagnosi e al propedeutico percorso terapeutico, nel quale è anche compresa la condivisione del percorso stabilito con il paziente e i suoi familiari. Infatti, la condivisione del PDTA con il paziente non solo aumenta l’aderenza al percorso stesso, ma contribuisce alla maggiore comprensione per il malato che le cure possono (o meno) raggiungere un determinato obiettivo e che l’insuccesso può comunque essere gestito se si realizza una vera partnership medico-paziente (che nel PDTA diventa ancora più estesa e condivisa: partnership paziente-sistema sanitario)33,34. La personalizzazione del PDTA spetta in primis al MMG che durante la prima visita valuterà il paziente con la ricerca dei segni utili alla caratterizzazione del DCO e delle sue recrudescenze (dolore episodico transitorio). In particolare, si compilerà una cartella anamnestica con le caratteristiche del dolore e un’anamnesi farmacologica completa per evidenziare l’effetto ottenuto con i trattamenti in corso; si riporteranno l’ipotesi diagnostica e le prime cure prescritte per il trattamento del DCO. In seguito, si stabiliranno il piano diagnostico-terapeutico con gli approfondimenti clinico-strumentali necessari e gli eventuali consulti specialistici. Si condividerà il PDTA inziale con il paziente spiegandogli come misurare il dolore attraverso una scala validata. Il MMG attuerà il counseling per diffondere la cultura dell’uso corretto delle scale per la misura del dolore e per insegnare al malato come riportare l’andamento del dolore sul diario giornaliero (necessario per la gestione delle cure attuate). Lo SP del territorio controllerà la cartella anamnestica del paziente e, verificato il quesito diagnostico e il risultato delle prime cure, confermerà o modificherà il PDTA spiegando al paziente le ragioni delle eventuali modifiche al piano di cure. Laddove più specialisti sono coinvolti, ciascuno di essi dovrà attuare una strategia di condivisione multidisciplinare del PDTA riportando sulla scheda anamnestica del paziente le proprie considerazioni diagnostiche e terapeutiche (tabella 1). La stessa modalità di interazione descritta tra MMG e SP territoriale deve essere attuata con il livello superiore di cura, attuato dai centri Spoke e Hub (figura 6).







Aspetti organizzativi del percorso assistenziale

Data la possibile variabilità organizzativa del sistema sanitario territoriale, il decision maker dovrebbe garantire l’accesso alla terapia del dolore realizzando un censimento delle strutture in grado di costituire la rete del dolore, comunicando alle AFT sia gli interventi diagnostico-terapeutici disponibili sia le modalità di accesso in ciascuna di esse, stabilire piattaforme comuni di comunicazione e trasmissione dati dal territorio all’ospedale (e viceversa), comunicare al cittadino la disponibilità di un PDTA multidisciplinare per combattere il dolore, come la legge 38/2010 stabilisce. Sarebbe utile anche prevedere audit periodici per verificare il reale funzionamento del PDTA, al fine di applicare i necessari correttivi. Si potrà così valutare anche il risparmio prodotto da un sistema funzionante e istituire incentivi (o disincentivi) per efficienza territoriale allo scopo di incoraggiare progetti basati sulla qualità multidisciplinare. Per favorire la comunicazione tra i vari attori del sistema sanitario, quindi, riteniamo indispensabile istituire una cartella anamnestica accessibile a tutti gli operatori che intervengono sul singolo paziente (cartacea, elettronica). Tale documento faciliterebbe il passaggio di informazioni tra gli addetti ai lavori, la continuità assistenziale e permetterebbe di evitare ripetizioni superflue di esami strumentali.

Conclusioni

La condivisione di un PDTA per la gestione del DCO aumenterebbe la tempestività della prevenzione e delle cure del dolore, faciliterebbe il percorso per l’assistenza e renderebbe immediatamente evidenti i bisogni socio-assistenziali del cittadino (e le relative risposte alla domanda di salute). Al fine di migliorare la gestione del dolore cronico osteoarticolare è necessaria una collaborazione multidisciplinare basata su strumenti di comunicazione e processi condivisi. Sono anche auspicati un piano formativo multidisciplinare e successivi periodici monitoraggi da parte delle istituzioni per individuare le aree di miglioramento a livello regionale. MMG, specialisti territoriali, specialisti ospedalieri, infermieri e fisioterapisti giocano un ruolo fondamentale per evitare la cronicizzazione del dolore di natura osteoarticolare. La prevenzione, la diagnosi e la cura, il counseling, il supporto per l’assistenza, riabilitativo e sociale richiedono la collaborazione di più operatori, e solo l’applicazione di un PDTA condiviso, come quello che ASON propone, può portare al miglioramento del rapporto tra paziente e sistema sanitario e di conseguenza a un maggiore gradimento da parte del cittadino dell’offerta di salute erogata dal sistema stesso. Le istituzioni regionali dovrebbero prendere in considerazione una medicina basata sulla qualità del servizio offerto con percorsi di assistenza programmati, condivisi e modificabili in funzione delle esigenze reali.

Siamo anche convinti che una medicina del dolore maggiormente spostata sul territorio permetterà una migliore personalizzazione dell’assistenza e, con un opportuno riequilibrio delle risorse, si potrebbe finalmente avviare il progetto di un territorio senza dolore efficiente, facilmente valutabile periodicamente attraverso la misura del rapporto sistema sanitario-cittadino.

Ringraziamenti

Si ringraziano gli aderenti all’ASON che hanno partecipato alla discussione necessaria per disegnare il PDTA; i medici di medicina generale dell’area dolore della Società Italiana di Mesoterapia che hanno condiviso il PDTA ASON; Stella Baffini e Ennio Sarli per il supporto tecnico.

Questo articolo è dedicato al dottor Antonio Bernardo, prematuramente scomparso nel febbraio 2015, che tra i primi intuì l’urgenza di standardizzare il percorso di cura del paziente con dolore osteoarticolare.

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