Riflessioni e confronti sui limiti e i vantaggi dei registri

Antonio Addis1, Enrico Costa2, Rossana De Palma3, Nicola Magrini4, Anna Maria Marata3, Luisa Martelli5,
Donato Papini3, Giuseppe Traversa6, e le Aziende Farmaceutiche partecipanti ai lavori del PRIER IIa

Riassunto. ll presente articolo raccoglie la sintesi della discussione avvenuta nell’ambito dei lavori del PRIER II nella sessione dedicata alla tassonomia dei registri. Di seguito sono riportati alcuni contributi specifici da parte degli operatori sanitari che lavorano presso i servizi regionali e che hanno a che fare con i registri così come il contributo da parte di specialisti operanti presso alcune Aziende farmaceutiche dedicati allo stesso tema. In particolare, alla presentazione riassunta nell’articolo di Giuseppe Costa1 hanno fatto seguito i contributi rispettivamente, di un rappresentante della Regione Emilia Romagna, di una Azienda sanitaria Ospedaliera e del gruppo di lavoro PRIER II. Infine, vi è stato un lavoro collettivo svolto con tutti i partecipanti al gruppo di lavoro per mettere a fuoco tutti gli aspetti che possono essere ritenuti cruciali nella definizione dei registri clinici. Allo stesso tavolo di discussione sono stati invitati anche rappresentanti istituzionali del settore regolatorio nazionale e regionale per tener conto dei punti di vista dei diversi utilizzatori pubblici e privati dei registri, in particolare nei loro vantaggi, limiti e finalità. Passando attraverso la discussione su una check list specifica e approfondendo una serie di affermazioni (statements) individuata dal gruppo di lavoro, è stata prodotta una lista di punti chiave ritenuti essenziali per caratterizzare ogni registro clinico.

Parole chiave. Registri clinici, interazioni pubblico-privato.

Considerations on limits and profits of registries

Summary. The article collects the summary of the discussion occurred in the setting of PRIER II, in the session dedicated to the taxonomy of registries. Shown below, some specific contributions by health professionals working at the regional departments, which deal with registries, as well as the contribution on the same subject by specialists working at some pharmaceutical companies. In particular, after the presentation summarized in the article by prof. Giuseppe Costa1, the contributions, respectively by a representative of the Emilia-Romagna Region, of a health and hospital service and by the PRIER II workgroup, are following. Finally, a collective work with all participants to the working group took place to focus on all the issues considered to be crucial in defining clinical registries. At the same discussion table, institutional representatives of the regulatory national and regional branch were also invited to take into consideration the points of view of all public and private registry users, in particular in their benefits, limits and purposes. Going through the discussion on a specific check list and deepening a number of statements identified by the working group, a list of key points, essential to characterize each clinical registry, was produced.

Key words. Registries, public-private interactions.

Finalità e potenzialità dei registri

La costruzione dei registri/database clinici si basa sul riconoscimento dell’importanza di misurare e valutare i processi e i risultati conseguiti dalle proprie organizzazioni, in termini sia qualitativi sia di efficienza nell’uso delle risorse disponibili. La misurazione degli effetti conseguenti l’introduzione di nuovi interventi in sanità è un tema cruciale per un Servizio Sanitario Regionale (SSR) perché considerato strumento di governance per la programmazione dei servizi, la valutazione delle performance aziendali e l’erogazione ai cittadini di un’assistenza adeguata per qualità e volume.

Altro punto importante per un SSR è quello di documentare le ricadute cliniche, organizzative ed economiche dell’adozione di specifiche tecnologie innovative nella pratica medica. Anche se sarebbe opportuno non adottare nuove e complesse tecnologie in assenza di affidabili valutazioni che permettano di verificarne l’uso appropriato e il beneficio atteso, l’istanza di introdurre rapidamente nella pratica assistenziale gli avanzamenti della ricerca, le aspirazioni dei professionisti e le pressioni commerciali fanno sì che l’adozione dell’innovazione costituisca da tempo una problematica critica quanto vitale per i servizi sanitari.

Altrettanto rilevante è la constatazione dei limiti dei flussi informativi correnti, che spesso non consentono di descrivere accuratamente i processi di cura. Oggi è grande la potenzialità informativa in ambito sanitario raggiungibile con un processo d’integrazione dei flussi amministrativi. Nella quasi totalità delle Regioni si è arrivati ormai ad un buon livello di lettura delle prestazioni sanitarie e le informazioni derivate costituiscono una risorsa importante per dimostrare la funzione di tutela che i sistemi sanitari hanno rispetto ai propri cittadini relativamente all’effettiva erogazione dei livelli essenziali di assistenza. A livello nazionale il Ministero della Salute ha avviato da tempo un’importante battaglia al fine di valorizzare adeguatamente l’uso delle fonti amministrative in ambito di programmazione sanitaria che troverà espressione anche nella revisione dei contenuti della scheda di dimissione ospedaliera (SDO).

Nella riflessione sui registri, quando il punto di vista è quello di un’Azienda sanitaria, l’accento viene posto in particolare sulla loro finalità legata all’appropriatezza prescrittiva e alla farmacovigilanza. Nel rapporto nazionale sull’uso dei farmaci (Rapporto OsMED, Agenzia Italiana del Farmaco - AIFA), la definizione di “registri di farmaci sottoposti a monitoraggio” recita che essi “rappresentano uno strumento avanzato di governo dell’appropriatezza prescrittiva sviluppato da AIFA a partire dal 2005”. E proprio nel 2005 il Registro AIFA si era prospettato come un importante strumento di farmacovigilanza in particolare per l’oncologia dove lo sviluppo di nuovi farmaci è consistente, così come il loro impatto economico2. In realtà AIFA non restituisce alcun dato clinico del registro e ciò invalida almeno parzialmente gli utilizzi che ogni prescrittore potrebbe fare dei dati inseriti. Inoltre l’implementazione dei registri da parte dell’AIFA ha riguardato, fino a questo momento, esclusivamente i farmaci di nuova immissione in commercio; mentre per promuovere l’appropriatezza prescrittiva sarebbe stato più opportuno creare un registro, ad esempio, per gli inibitori di pompa protonica o per i sartani, farmaci il cui peso sulla spesa è molto alto e il margine di inappropriatezza ampio.

Nella prospettiva dell’Azienda farmaceutica due sono i punti chiave della riflessione sui registri. Da un lato l’opportunità di migliorare il profilo di valore dei farmaci, grazie al fatto che la documentazione viene resa più completa attraverso dati aggiuntivi diversi da quelli dei clinical trial e da quelli degli studi osservazionali (con una prospettiva totalmente diversa in termini di tempistica, di tipo di dati, ecc). Dall’altro il ruolo del registro nell’iter autorizzativo e regolatorio di un farmaco, ossia la necessità del monitoraggio della efficacia e della appropriatezza dei farmaci che per il loro potenziale impatto su patologie gravi (ad es. oncologia) vengono immessi sul mercato con dati di efficacia ancora abbastanza preliminari. Questi due concetti potrebbero convivere efficacemente ed il tema rimane importante e attuale, sebbene con i registri AIFA si sia persa un’occasione di vincere questa scommessa: i registi sono percepiti spesso infatti solo come un mero aggravio burocratico, e mancano ad oggi delle valutazioni approfondite su questi dati che mostrino l’utilità di tali raccolte dal punto di vista sia della produzione di nuova conoscenza sia della influenza sulle attività regolatorie e di politica sui farmaci3.

Infine, per un’Azienda sanitaria, come anche per le Regioni, un’opportunità di rilievo del registro sta nella condivisione con l’industria del rischio di un eventuale fallimento terapeutico. Questi registri hanno quindi principalmente lo scopo di poter applicare, in accordo con l’industria, politiche di condivisione dei costi del farmaco in base ai risultati (es. risk/cost sharing e payment by results). È, pertanto, quanto mai essenziale per la componente pubblica dotarsi di strumenti volti a garantire la corretta compilazione dei registri, unica condizione che consente l’accesso ai meccanismi di rimborso.

Risultati di diverse esperienze

Dall’inizio degli anni 2000 l’Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale della Regione Emilia-Romagna (ASSR) ha sviluppato in specifici ambiti registri/database clinici in grado di produrre i dati necessari per costruire, da una parte, una modalità complementare ed essenziale per misurare la qualità dell’assistenza e monitorarne il cambiamento, dall’altra, un’opportunità di documentare le ricadute cliniche, organizzative ed economiche dell’adozione di specifiche tecnologie innovative nella pratica medica4.

I registri della Regione Emilia-Romagna hanno dato la possibilità di monitorare i comportamenti professionali e valutare se erano aderenti alle evidenze scientifiche, alle linee guida e ai documenti di indirizzo; monitorare appropriatezza di impiego, efficacia e sicurezza di dispositivi medici rilevanti per innovatività e impatto economico; svolgere un’attiva funzione di sorveglianza post-marketing di nuovi farmaci/device; integrare questa attività con la definizione e applicazione di specifiche modalità di rimborso, com’è avvenuto per l’adozione della TAVI; effettuare valutazioni di costo-efficacia per la stima del fabbisogno nelle procedure di acquisizione; e, infine, favorire l’attività di ricerca integrata alla funzione assistenziale.

I frutti dell’esperienza decennale della Regione Emilia-Romagna sono quindi molteplici e sono di natura clinica, organizzativa ed economica. La fortuna di questi database è legata alle caratteristiche di qualità che hanno sin dall’inizio contrassegnato la loro attività e che comprendono, oltre ad aspetti organizzativi/gestionali (responsabilità, coordinamento, steering committee), etici (libertà di analisi e pubblicazione) e di finanziamento pubblico regionale, i seguenti aspetti:

• rilevazione sistematica e non occasionale di informazioni non altrimenti desumibili su interventi/tecnologie in termini di indicazioni d’uso (appropriatezza) ed esiti (efficacia e sicurezza);

• tipologia di dati utili a descrivere i profili clinici di attività, ad analizzare i PDTA e a svolgere eventuali audit: casistica, tempistica, indicazioni all’intervento, modalità tecnico-procedurali e complicanze;

• provenienza di dati dalla pratica clinica quindi dati real world;

• controllo di completezza e qualità dei dati e possibilità di integrazione (record-linkage), nel rispetto delle regole della privacy, con altre fonti dati come quelle dei database amministrativi correnti. Quest’ultimo elemento è di estrema rilevanza perché permette di costruire database longitudinali che consentono maggiori vantaggi rispetto ai follow-up costruiti nell’ambito della stessa raccolta dati, soprattutto quando la popolazione osservata è molto numerosa.

L’esperienza della Regione Veneto relativamente alla terapia dell’epatite C è molto utile, invece, per comprendere la relazione tra registri e promozione dell’appropriatezza prescrittiva: un punto chiave per un’Azienda sanitaria. Negli ultimi 30 anni nell’evoluzione della terapia dell’HCV si sono succeduti progressi tangibili. Dall’interferone dei primi anni ’90, cui rispondeva un 5-6% della popolazione trattata, si è assistito all’introduzione della ribavirina, un farmaco con proprietà antivirali ma il cui funzionamento e le stesse proprietà risultano tuttora non perfettamente conosciuti. Successivamente è stata introdotta la forma pegilata dell’interferone a lento rilascio che ha avuto risvolti positivi su compliance e risposta; fino ad arrivare al 2013 quando due nuovi inibitori delle proteasi (boceprevir e telaprevir) portano risultati importanti, ottenendo spesso una risposta nei pazienti in cui i precedenti schemi terapeutici avevano fallito. Tutto ciò tuttavia con dei costi associati, clinici ed economici, notevoli; a fronte di un costo di 20.000 euro all’anno per questo trattamento, il bagaglio di effetti collaterali è consistente: anemia, trombocitopenie, sindrome di Steven Johnson. Si tratta di un’area a tale complessità di cura, economica e clinica, per cui AIFA ha introdotto un registro di monitoraggio, mentre in Regione Veneto – per il controllo dell’appropriatezza – si è proceduto definendo delle linee guida. Trattandosi di farmaci ad elevato impatto di spesa sul budget regionale, si sono anzitutto definiti i criteri di priorità nell’accesso alla nuova terapia (“triplice terapia”) dell’HCV, cosa che AIFA non aveva indicato. Il percorso diagnostico e di accesso al farmaco è molto selettivo e sofisticato, perché questi farmaci rispondono solo per un sottotipo di un genotipo virale e a seconda del polimorfismo “IL-28B” il paziente ha una maggiore o minore possibilità di risposta.

Successivamente ai criteri di priorità di accesso alla terapia, la Regione Veneto ha definito anche le modalità e le tempistiche di sospensione del trattamento per mancata risposta o sopraggiunte reazioni avverse (stopping rules). Il rispetto di questi criteri evita che la terapia prosegua anche in caso di fallimento/mancata risposta, con un risparmio sia in termini clinici (evitando al paziente l’esposizione a rischi importanti e inutili) sia economici.

Questa esperienza tuttavia ha messo in luce che il registro permette sì di garantire il rispetto dei requisiti di eleggibilità del paziente al trattamento, ma non consente di avere una visione e una policy di insieme del trattamento rispetto all’intera patologia.

A partire dal 2013 anche la Regione Emilia-Romagna ha prodotto dei documenti di indirizzo per l’uso dei nuovi antivirali5,6.

Riflessioni a confronto

Date comunque le indubbie potenzialità dei registri, sussistono anche dei limiti e delle criticità che portano in sé riflessioni sulle prospettive future di questo strumento.

Dal punto di vista di chi opera nei servizi regionali dell’assessorato alla salute

Dall’esperienza della Regione Emilia-Romagna negli anni, appare evidente l’importante ruolo fino ad oggi ricoperto dai registri clinici ma soprattutto l’enorme potenzialità che possono esprimere nel prossimo futuro come strumenti non solo di conoscenza ma di razionalizzazione/contenimento di spesa pubblica, a supporto del governo e della programmazione regionale.

Un altro aspetto da non dimenticare, ma anzi oggi da valorizzare sempre più, riguarda la ricerca, in particolare per la possibilità di raggiungere due obiettivi:

• costruire e ottenere osservazioni molto più potenti in termini di risultati grazie alla confluenza su una stessa piattaforma di dati provenienti da diverse fonti nazionali ed internazionali;

• ovviare ai conosciuti limiti delle sperimentazioni controllate ma anche conciliare la necessità di avere sempre più dati con sempre meno denaro a disposizione (bigger data and smaller budgets) attraverso l’inserimento di studi RCT in piattaforme osservazionali.

Oltre alle potenzialità, sono stati individuati anche limiti legati principalmente alla completezza e qualità del dato non ottimali. Ciò è in parte dovuto alla modalità organizzativa della rilevazione che è volontaria (non vi è alcun obbligo di input dei dati) e senza forme di incentivazione per i professionisti. Inoltre non vi è ancora un collegamento tra le valutazioni della qualità dell’assistenza, effettuata grazie ai registri, e il processo di accreditamento delle strutture sanitarie.

Tutto ciò potrebbe testimoniare una non piena coerenza nel riconoscere le priorità di questi strumenti per la politica regionale e rafforza il messaggio che i servizi sanitari, nell’affrontare questo tema, dovrebbero essere assolutamente coscienti del grande potere informativo offerto dai registri clinici.

In conclusione, è lecito affermare che i registri possono essere a ragione definiti strumenti centrali dell’evidence-based health policy, in quanto elementi utili alla programmazione dei servizi e, quando opportunamente integrati, elementi chiave che contribuiscono al miglioramento della qualità delle cure, alla valutazione di appropriatezza, efficacia e sicurezza di interventi e tecnologie, al governo dell’introduzione nella pratica clinica di innovazioni, attraverso un percorso in grado di gestire in modo contestuale valutazione clinica, ricerca, contenimento dei costi e coinvolgimento dei professionisti. Per tutto questo andrebbero sostenuti e ne andrebbero riconosciuti funzioni e valori.

Dal punto di vista di chi opera nell’ambito di un’Azienda sanitaria

Accanto a considerazioni teoriche di indubbia bontà sulle finalità e potenzialità della corretta compilazione dei registri (monitoraggio dell’appropriatezza prescrittiva e accesso ai meccanismi di rimborso), vi è un piano pratico di non sempre facile applicazione. L’esperienza della Regione Veneto relativa all’appropriatezza della terapia evidenzia che il registro si inserisce suo malgrado in un contesto di sostanziale carenza di linee guida nazionali che possono essere invece complementari al registro per migliorare la pratica clinica.

Relativamente agli accordi negoziali di natura economica vi sono molti esempi e dati che evidenziano come, in diverse Regioni, una certa difficoltà di compilazione dei registri insieme ad una complessa procedura di rimborso hanno impedito un completo recupero della spesa sostenuta.

Ulteriore punto nevralgico è che il registro viene percepito nella pratica clinica quotidiana come un appesantimento dell’attività routinaria e considerato un dogma per la sostenibilità economica dell’innovazione anziché un utile e fruibile strumento di lavoro finalizzato ad un’attività di farmacovigilanza. Questo ha comportato negli ultimi anni l’implementazione e la moltiplicazione di numerosi registri (alcuni attivi per farmaci che hanno quasi 10 anni di vita commerciale), con una mole di raccolta dati davvero importante. Un registro dovrebbe invece essere uno strumento maneggevole e di semplice gestione, prevedendo auspicabilmente sia una raccolta dati sistematica ma più limitata nella mole e nel tempo, sia la possibilità concreta di offrire un ritorno di informazioni utili alla componente clinica e sanitaria; questo di per sé renderebbe più incentivante la raccolta dei dati. La mancanza di incentivi e risorse comporta la distrazione di eccellenze in ambito clinico per quello che continua ad essere vissuto come un mero adempimento burocratico.

La raccolta dati con i registri AIFA è iniziata dal 2005 e al momento non è ancora tornato nulla di fruibile o di significativo per migliorare l’assistenza sanitaria. È quindi necessario un feedback fra centro e periferia.

Infine, i registri attuali sono caratterizzati dalla mancanza di obiettivi specifici definiti a priori, mentre sarebbe utile ed opportuno definirli esplicitamente, e che le analisi dei dati fossero effettuate con modi e tempi coerenti con gli obiettivi.

Dal punto di vista di chi opera nell’ambito di un’Azienda farmaceutica

Le riflessioni sui registri da parte delle Aziende farmaceutiche riguardano, in primis, la tassonomia – aspetto tuttora molto spinoso – e in secondo luogo la prospettiva sul linkage tra dati utili alla valutazione di outcome, alla valutazione dei costi, alla valutazione di impatto. Si assiste nello specifico ad un paradosso: da una parte un’abbondanza di informazioni tale da creare perfino un problema di classificazione, dall’altra la scarsa utilizzabilità e fruibilità dei dati.

Non da ultima la questione della proprietà dei registri nella sua doppia componente di proprietà del quesito e proprietà del dato. Queste non è detto che siano sovrapponibili, come si riscontra per esempio nei trial clinici dove il quesito è dell’industria o dell’ente regolatorio e il dato ha come legittimo proprietario il paziente attraverso l’istituto/l’ente che lo cura. Non si rintraccia lo stesso bilanciamento e la stessa garanzia nei registri dove si dà per scontato che il proprietario del dato è anche il proprietario del quesito. Il registro dovrebbe essere quanto di più pubblico esista in termini di disponibilità del dato e allo stesso tempo il dato raccolto dovrebbe essere soggetto ad una serie di attenzioni partendo dalla considerazione che viene ceduto da chi non può sempre essere messo al corrente riguardo agli scopi finali delle analisi che la raccolta genera. Pertanto, andrebbe attentamente definito chi dovrebbe gestire il registro, chi dovrebbe prendere le decisioni, chi lo dovrebbe finanziare, sostenere e controllare; e questi soggetti non dovrebbero essere un unico ente.

Se si conviene che i registri sono un elemento fondativo del miglior modo di approvare e razionalizzare le risorse, ma anche di conoscere i problemi o soppesare i rischi, è necessario allora un investimento strategico: non solo economico nell’immediato, cui contribuisce occasionalmente anche l’Azienda farmaceutica con dei finanziamenti, ma anche sul lungo periodo attraverso una struttura unica di sostenimento dei costi della gestione dei registri, che abbia al suo interno tutte le garanzie necessarie, comprese l’assenza di centri di potere, per la produzione di elementi utili per l’intero sistema. Sistema all’interno del quale anche l’industria farmaceutica può occupare uno spazio partecipando ad un’azione collettiva e condivisa anziché agendo in singole e specifiche occasioni.

Purché si rispettino determinati elementi e ci sia un’architettura comune a garanzia dell’utilità dei dati che vengono raccolti, i motivi per avviare un registro possono essere vari, al di là delle consuete ragioni di utilità approvativa dei farmaci e di utilità nella gestione del rischio di sanità pubblica. In una riflessione sul sistema dei registri sarebbe utile guardare retrospettivamente cosa è stato fatto e guardare prospetticamente cosa si vorrebbe fare. Se oggi volessimo costruire ex novo il sistema dei registri ci si dovrebbe porre alcune domande: come costruirlo e a chi affidarne la gestione, se al proprietario dei dati, del quesito o del sistema informativo.

Una volta fissati gli elementi utili a definire una terminologia comune e condivisa, l’architettura di base cui ispirarsi è quella della governance più semplice: quali azioni da compiere sono utili per decidere, monitorare, controllare e anche finanziare.

A livello di Aziende farmaceutiche l’interesse verso i registri è sempre più forte, ma in un sistema molto più strutturato dove sia possibile linkare i dati dei database amministrativi e sanitari, e quelli di esperienze ad hoc come gli studi osservazionali.

Proposta di una checklist e lavoro di gruppo sugli statement

Al termine della fase di confronto tra le parti e nell’ottica di identificare uno schema di tassonomia dei registri condiviso, sono stati utilizzati e discussi uno schema generale di classificazione e una checklist che mettessero in fila le diverse dimensioni da tener presente al momento della progettazione e realizzazione di un registro clinico. Accanto ad ogni dimensione sono stati elencati eventuali elementi e criticità da considerare. Successivamente è stato condotto un lavoro in gruppi e al termine della giornata vi è stata una discussione plenaria.

L’esercizio, in quanto tale, aveva lo scopo di tenere conto di punti di vista differenti e che sono quelli che contribuiscono spesso a mantenere l’analisi delle problematiche legate alla costituzione dei registri clinici a compartimenti stagni, a seconda che abbiamo un approccio più dal punto di vista clinico che mira alla disponibilità del dato, o piuttosto dell’industria che ha un problema prettamente regolatorio, piuttosto ancora che del pubblico in cui prevale l’approccio di governance del sistema o di gestione del prodotto. Il risultato finale atteso è comunque una serie limitata di punti considerati da tutti come rilevanti (points to consider) nel momento in cui debba essere definito un nuovo registro.

Innanzitutto è stata proposta una generale differenziazione dei registri sulla base di una referenza internazionale quale Registries for evaluating patient outcomes: a user’s guide7 che rappresenta un lavoro di fatto simile a quello che stiamo facendo ma realizzato dall’altra parte dell’Atlantico. Recentemente questo ultimo lavoro ha avuto un aggiornamento con una terza edizione della Guidance8.

Sulla base di tale fonte la tassonomia che è stata inizialmente proposta è quella che vede i registri distinti in alcune grandi famiglie: product registries legati ai farmaci o dispositivi; disease or condition registries che tracciano non un singolo prodotto, ma per così dire, la storia naturale del paziente, gli health services registries che cercano di monitorare un servizio o intervento sanitario più generale, e infine una combinazione di questi elementi i combination registries. Queste classificazioni possono in definitiva riassumersi in due famiglie di registri (figura 1): a) i registri che in qualche modo raccolgono dati relativi a pazienti (patient registry) e b) altri sistemi di sorveglianza, ad es. sorveglianza epidemiologica o monitoraggio delle attività. Esiste poi un’area grigia (es. i cosiddetti “database clinici”) che nella figura sono rappresentati con la voce “altro”. Tuttavia tale differenziazione non tiene conto della complessità e delle caratteristiche che sono state evidenziate nella presentazione del prof. Costa.1 Infatti in quest’ultima è emerso chiaramente che i registri solo preliminarmente possono essere suddivisi a seconda dell’obiettivo che si pongono e dell’oggetto di indagine.




Per arrivare quindi ad una vera e propria checklist che raccolga le diverse dimensioni che possono caratterizzare un registro (scopo, ambito, stakeholder, disegno, costi, ecc.), affiancando a ciascuna di esse le possibili opzioni e i punti da considerare nel momento in cui si disegna un registro, è stato proposto di fare un ulteriore sforzo tenendo conto di altre referenze quali la “Checklist for evaluating Public Health Surveillance Systems” dei Centers for Disease Control e specifica per registri di popolazione ma potenzialmente utile per tutti i registri9, e quella della STROBE Statement “checklist of items that should be included in reports of observational studies” nata per gli studi osservazionali ma potenzialmente utile anche per i registri.10

Gli elementi salienti derivanti da questa ricognizione preliminare di altre esperienze pubblicate sono stati sintetizzati nella checklist riprodotta in tabella 1, che è stata presentata al gruppo di lavoro come base di partenza per stimolare la discussione.

La checklist ha il vantaggio di mettere a fuoco i singoli campi che possono caratterizzare ogni singolo registro. Tuttavia, è stato ritenuto necessario, per non incorrere in un rischio di iper-semplificazione, accompagnare alcuni dei punti critici individuati con un ulteriore approfondimento, analizzando una serie di affermazioni ricavate sia dalla presentazione iniziale di Costa1 sia dalla discussione successiva con i diversi esperti coinvolti e dalla letteratura. Su ognuna delle affermazioni elencate in tabella 2 abbiamo voluto raccogliere i commenti frutto del lavoro di gruppo. Poiché l’intento finale non è quello di riclassificare i registri già esistenti ma piuttosto quello di quali sono le domande che riteniamo indispensabile porsi di fronte al disegno, gestione e lettura di questo strumento, il gruppo di lavoro ha inteso questo passaggio necessario prima di elencare points to consider sul tema della tassonomia dei registri. In pratica, attraverso dei moduli prestampati sono state analizzate 12 diverse affermazioni (statements) raccogliendo il livello di accordo tra i partecipanti al lavoro e chiedendo ad alcuni di riassumere le diverse posizioni in alcuni punti chiave finali. Questi ultimi dovrebbero quindi rappresentare la conclusione di un percorso ragionato e condiviso che definisce la tassonomia dei registri clinici.

Il lavoro è proseguito in tre gruppi misti rappresentati da pubblico e privato: ciascun gruppo discutendo al suo interno doveva dire quanto si trovava d’accordo con ciascuno statement e quanto lo statement si poteva applicare specificamente ai vari sottotipi di registri. Erano stati predisposti dei moduli per raccogliere le risposte che prevedevano di indicare il grado di accordo su tre livelli: “sono d’accordo”, “sono in parte d’accordo” e “non sono d’accordo”.

Le domande erano di livello di base. Ma abbiamo pensato che fosse utile in un workshop partire da queste domande con lo scopo non tanto di dare una risposta quanto di stimolare all’interno del gruppo la discussione. Al termine della discussione interna ai gruppi, i portavoce hanno riferito quanto è stato discusso sottolineando in particolare i punti di accordo e disaccordo emersi nella discussione di gruppo.

In questo esercizio tutti e tre i gruppi si sono trovati di fronte al dubbio se rispondere alle domande guardando prevalentemente dal punto di vista teorico piuttosto che tenendo conto esclusivamente della pratica. Nella maggior parte dei casi le risposte date hanno tenuto conto dell’esperienza pratica. Al termine del lavoro il frutto della discussione ha prodotto una lista di point to consider elencati in tabella 3. Per ciascuno di essi nella seconda colonna della tabella si indica quale o quali statement sono stati maggiormente rilevanti per la loro definizione.










Statement n. 1 - I registri sono un’attività di ricerca

Rispetto a questa prima affermazione tutti e tre i gruppi hanno sostenuto di essere “in parte d’accordo” con l’idea che i registri possano essere sicuramente ritenuti anche una base dati per fare ricerca. Ciò purché i registri prevedano un disegno originale che ponga dei quesiti scientifici precisi e una raccolta dati che permetta di rispondere a degli obiettivi predefiniti. In particolare esistono poi differenze per tipologia di registro. Tutti sono d’accordo che siano più facilmente assimilabili a ricerca le attività legate alla categoria dei registri di patologia (disease/condition), in particolare per le attività sull’appropriatezza, sull’associazione tra fattori di rischio e outcome, e anche nella combinazione di questi elementi. In questi casi un registro potrebbe essere utile per individuare delle aree grigie della medicina dove intervenire con attività specifiche. Nel caso si tratti invece della raccolta sistematica e/o routinaria di dati associata all’esposizione ad un prodotto e/o dispositivo medico, è più facile trovarsi di fronte ad un’attività di sorveglianza. Anche in questo caso è possibile avere associata un’attività di ricerca che possiede tutti i vantaggi di poter approfondire alcuni temi (ad esempio la sicurezza) ma non permette di definirne altri (ad esempio comparative effectiveness). Una raccolta sistematica di dati può essere utile anche per misurare alcuni servizi sanitari ma in questo caso avrà più spesso una mera finalità amministrativa (ad esempio il database delle SDO) da cui però non è escluso poter estrarre, soprattutto con l’incrocio di altre fonti, dati originali su cui produrre nuova conoscenza.

Il gruppo ha voluto sottolineare come la struttura del registro, qualora questo sia finalizzato alla ricerca, deve essere coerente con gli obiettivi, e occorra quindi disegnarla in funzione di quelli che sono poi gli obiettivi di ricerca definiti all’interno del protocollo.

In generale è emerso un consenso nel tenere separati, in merito alla finalità di ricerca, i registri di patologia dagli altri tipi di registri.

Statement n. 2 - La principale differenza tra un registro e uno studio osservazionale è la presenza di un protocollo scritto

Questa affermazione ha portato la discussione sul tema se un registro clinico possa o meno di fatto essere assimilato ad uno studio osservazionale. Alcuni componenti identificano nella presenza di un protocollo l’elemento di distinzione tra i due strumenti riproponendo poi molte delle considerazioni già fatte a seguito del primo statement. Ragionando sulla base dell’esperienza pratica, molti fanno notare come, in generale, i registri clinici attivi oggi spesso non siano accompagnati da un protocollo clinico. Nonostante ciò, anche se con considerazioni alle volte differenti fra loro, si riconosce che mentre per i classici studi osservazionali il protocollo risolve il problema dell’individuazione delle modalità di compilazione, di inclusione, oltre che della metodologia e delle regole che sono associate alla registrazione dei casi, nel caso dei registri spesso queste informazioni, anche se definite, non sono sempre accessibili e chiare.

Indipendentemente dalla presenza o meno di un protocollo, una differenza sostanziale pare invece essere che lo studio osservazionale debba avere un obiettivo temporalmente definito, un quesito di ricerca e un end-point specifico. Per alcuni, una differenza che esiste tra un registro e uno studio osservazionale riguarda la definizione di un disegno longitudinale, mentre lo studio osservazionale non è sempre detto che possegga questo requisito.

Dalla discussione emerge l’auspicio che anche per i registri debba essere disponibile un protocollo che definisca in modo chiaro metodi e finalità. Secondo alcuni, lo statement in questa forma può rappresentare più una provocazione con lo scopo di stimolare la riflessione e la discussione. Si può quindi concludere dicendo che nella realtà attuale una delle differenze tra studio e registro è la presenza del protocollo, ma sarebbe auspicabile che tale differenza non ci fosse.

Statement n. 3 - Un registro include sempre i dati di tutti i pazienti/soggetti oggetto d’indagine, senza particolari criteri di esclusione

Questo statement ha trovato d’accordo tutti i gruppi la cui risposta all’unanimità è stata “sono d’accordo”. Nonostante ciò, di per sé questo entra in contraddizione con alcune delle considerazioni fatte nei primi due statements. È chiaro che la discussione e l’accordo tra i diversi componenti dei gruppi si orientano in modo diverso a seconda che uno abbia in mente ancora uno strumento di sorveglianza generale piuttosto che un registro come piattaforma per generare dati originali e quindi ricerca.

Uno dei tre gruppi indica in particolare due categorie di registro – product e disease/condition – coinvolte dall’affermazione; un secondo sottolinea comunque l’importanza delle finalità e di una buona caratterizzazione della popolazione inclusa; un terzo si dice d’accordo in quanto per un registro non esistono criteri di esclusione, ma solo di inclusione.

La sintesi di questa contraddizione nei termini viene ancora una volta trovata nella definizione chiara delle finalità e degli obiettivi dei registri.

Statement n. 4 - Lo scopo principale dei registri è adempiere a richieste dell’autorità regolatoria

Su questa affermazione il dibattito ha portato in luce opinioni molto differenti fra loro.

Due gruppi si esprimono per il “non d’accordo”, in quanto secondo alcuni l’adempiere a richieste dell’autorità regolatoria non rientra tra gli scopi principali di un registro. Secondo altri invece i registri che si concentrano su singoli interventi terapeutici potrebbero fare eccezione. In un terzo gruppo vi è un parziale accordo sullo statement (“sono in parte d’accordo”) sostenendo che può essere considerato un possibile scopo e in particolare per i registri di prodotti e di servizi per la salute.

Nel corso della discussione si fa presente che molti registri, prima ancora di nascere da una realtà nazionale, nascono da una richiesta regolatoria dell’European Medicine Agency al momento dell’autorizzazione all’introduzione in commercio dei nuovi medicinali. In questo ambito emerge di nuovo la questione legata a ciò che è capace di differenziare autonomamente uno studio da un registro.

Statement n. 5 - Lo scopo principale dei registri è acquisire conoscenze sul profilo rischio/beneficio di un intervento nella pratica clinica

Dal confronto su questo punto emerge l’esigenza di differenziare la risposta per categoria di registri.

La possibilità dei registri di rispondere in modo positivo o negativo all’affermazione viene discussa sulla base delle diverse categorie di registri. Per i registri legati a specifici e singoli interventi questo statement, guardando alla pratica, non è sempre applicabile per quanto spesso, secondo alcuni, auspicabile in un futuro; per gli health services vi è, secondo un gruppo, la possibilità di un’analisi rischio/beneficio mentre altri componenti ritengono tutto questo possibile solo per registri che si applicano ad interventi chirurgici e/o dispositivi.

Statement n. 6 - Lo scopo principale dei registri è acquisire conoscenze sulla prevalenza di una condizione e sulla sua “storia naturale”

Solo una minoranza dei componenti individua tra le funzioni principali dei registri lo studio della storia naturale delle malattie. Per alcuni lo statement è applicabile esclusivamente alla categoria di disease/condition. È chiaro che queste riflessioni sono in parte condizionate dalla presenza intorno al tavolo di attori che hanno a che fare prevalentemente con registri che hanno come principale focus terapie farmacologiche o interventi con dispositivi medici.

Statement n. 7 - Un registro deve prevedere sempre la raccolta sistematica di tutte le informazioni disponibili (anche linkando più fonti) relative all’oggetto in esame

Le risposte collezionate durante la discussione intorno a questa specifica affermazione tendono a sottolineare la rilevanza della definizione del metodo di raccolta e della qualità dei dati. Secondo molti occorre investire ancora risorse per la crescita della qualità delle informazioni presenti fino ad oggi nei diversi registri. I componenti raccomandano quindi di creare uno specifico punto tra quelli che vale la pena tenere in considerazione, riguardo all’impegno sistematico di raccolta dei dati che l’attività legata ai registri comporta.

L’unico gruppo che esprime accordo solo parziale vincola l’oggetto dell’affermazione all’obiettivo specifico del registro e alle risorse disponibili, oltre che alla possibilità di generare dei link con altre fonti di dati.

Nella discussione sono emersi anche alcuni interventi che mettevano in luce i rischi legati alle possibilità di linkage. In particolare è stato messo in evidenza il rischio di un effetto dispersivo legato a queste possibilità laddove in un registro devono essere molto chiari gli obiettivi e non devono venire raccolte informazioni superflue, non necessarie. Secondo altri la possibilità di legare le informazioni raccolte ad altre fonti informative o banche dati rimane un punto cruciale circa la possibilità di utilizzare in modo efficiente tutti i dati di un registro ed evitare di richiedere un quantitativo esagerato di dati; infatti ciò che è importante in un registro è raccogliere il minimo possibile ma far sì al contempo che una terza persona sia in condizione di utilizzare proficuamente le informazioni raccolte in un secondo momento.

Statement n. 8 – “registri di patologia”/ “sistemi di monitoraggio” / “database clinici” sono sinonimi

Tutti i componenti si sono trovati unanimemente in disaccordo con tale affermazione confermando quindi la necessità da una parte di mantenere una distinzione tra i diversi tipi di registri e dall’altra condividendo l’approccio fino adesso utilizzato nella differenziazione generale della tassonomia utilizzata.

Statement n. 9 - I registri sono uno strumento utile per promuovere l’appropriatezza

Per quanto questa affermazione abbia trovato i più concordi, molti la condizionano al modo con cui il registro viene gestito e disegnato. Ad esempio la possibilità di definire analisi prima o dopo o quantomeno la capacità di fare confronti con dati storici può di fatto rendere il registro uno degli strumenti utili per la valutazione dell’appropriatezza degli interventi. In un caso sono state specificate le due categorie privilegiate per questo utilizzo: product e disease/condition con la presa in carico del paziente. Rimane il fatto che non tutti i registri prevedono la possibilità di fare dei confronti utili e una qualsiasi attività comparativa rispetto a ciò che si vuole capire se è appropriato o meno.

Statement n. 10 - I registri sono uno strumento utile per l’Health Technology Assessment

Su tale affermazione sono state raccolte opinioni a volte in accordo e in altre d’accordo ma con dei particolari distinguo. È un fatto che nel nostro Paese i registri, soprattutto quelli sui nuovi farmaci approvati dall’AIFA, vengono spesso associati con un’attività di HTA. Nonostante ciò non è ancora chiaro in che misura tali registri svolgono un ruolo per capire il valore economico e/o terapeutico dell’impatto delle nuove terapie sull’assistenza al paziente e sul dispendio delle risorse. Infatti alcuni componenti indicano tendenzialmente una importante potenzialità nei registri per fare delle analisi che servano poi a valutazioni di HTA ma pongono come conditio sine qua non la disponibilità, anche pubblica, dell’accesso ai dati da parte dei diversi attori coinvolti (pubblici e privati).

Statement n. 11 - Nella comparative effectiveness research i registri sono una scelta di second’ordine quando non è possibile fare un RCT

Su questo statement, per due gruppi su tre registro e RCT sono due strumenti diversi, entrambi importanti ma non sovrapponibili e pertanto tale affermazione non è ammissibile.

Un solo gruppo si è espresso “in parte d’accordo” avendo dichiarato che lo statement allo stato attuale non corrisponde al vero ma che è auspicabile in un futuro grazie ad una raccolta più coerente dell’informazione. Ad esempio analizzando insieme i dati di diversi registri con un obiettivo comune.

Statement n. 12 - Caratteristica essenziale di un registro è che non è prevista una data di chiusura

Questa affermazione ha prodotto una articolata discussione all’interno dei gruppi e in fase di presentazione dei risultati. L’attitudine prevalente è che la presenza o meno di una data di chiusura non è una caratteristica essenziale ma che comunque bisogna distinguere caso per caso. Se infatti in senso generale può non essere appropriato definire a priori una data di termine per registri di patologia il cui scopo è monitorare l’evoluzione della patologia nel tempo, è invece ragionevole pensare alla possibilità di una data di stop, esplicita o implicita, laddove lo scopo principale del registro sia monitorare dal punto di vista di appropriatezza, efficacia, safety l’introduzione di un farmaco o di una tecnologia. In altre parole, quando il registro di prodotto ha raggiunto il suo scopo fornendo i dati necessari a capire meglio l’innovazione introdotta, potrebbe essere un onere inutile mantenerlo attivo.

Su questo punto le opinioni sono variegate, infatti mentre ci sono alcuni che ritengono che per alcuni registri sia possibile, fin dal momento della progettazione, prevedere anche una specie di data di scadenza, per altri la necessità di sospendere la raccolta dati deriva da una valutazione da fare in itinere in merito al sussistere nel tempo della rilevanza del registro stesso, anche proprio in base ai dati stessi che man mano emergono. In altre parole si potrebbe dire che non è sempre necessario prevedere una data di termine ma è invece necessario riconsiderare periodicamente i motivi di sussistenza dei registri.

Durante la discussione viene portato il caso dei registri AIFA, come possibile esempio di registri da chiudere. Molti registri AIFA infatti erano stati istituti in base a una legge che identificava la necessità di monitorare alcune terapie classificate come “innovazioni potenziali” ed il registro era stato visto come lo strumento per testare l’innovatività sul campo. Col tempo tuttavia queste raccolte di dati sono diventate un atto dovuto, quasi di tipo amministrativo, pratiche che continuano a coinvolgere e impegnare i professionisti senza, d’altro canto, aver contribuito a rispondere a nessuno dei quesiti iniziali, perché non è mai stata fatta nessuna seria analisi dei dati raccolti. Tanto più che nel frattempo alcune terapie sono entrate nell’ambito della routine clinica, ma si continuano a raccogliere gli stessi dati, quasi per inerzia, come se ancora si fosse nella fase iniziale di introduzione del prodotto sul mercato. Questi sono esempi in cui i registri molto probabilmente sono stati male disegnati, male condotti e dovrebbero essere chiusi.

Dalla discussione emerge anche una visione diversa che sottolinea l’importanza di stabilire la finalità della raccolta dei dati per decidere se sia o meno plausibile la chiusura di un registro di farmaco. In questa ottica se la finalità è prevalentemente quella di verificare che l’uso del prodotto sia “corretto” o “appropriato”, non è possibile prevedere una data di fine (un po’ come un farmaco che quando diventa generico non deve uscire dal piano terapeutico); se invece c’è una finalità di approfondimento di qualche quesito sul beneficio-rischio, allora analogamente a quanto si fa per uno studio osservazionale una data di chiusura è più che plausibile.

Conclusioni

L’approfondita discussione, guidata dall’analisi delle affermazioni proposte, mette in luce come il tema dei registri sollevi diverse considerazioni che hanno a che fare a volte con la qualità del dato e tipicamente con i problemi di chi fa ricerca di tipo osservazionale, e in altri casi con la gestione di servizi per la qualità dell’assistenza. In pratica, sono strumenti di indagine che possono comprendere anche sorveglianza, monitoraggio, sistemi informativi, studi pilota. In particolare le norme usano definizioni non univoche, probabilmente con la volontà di includere tutte le fattispecie che ricorrono nella pratica senza preoccuparsi di costruire una definizione progettuale e operativa delle singole entità.

In senso ampio, con registro si intende ogni raccolta strutturata e sistematica di dati sanitari relativi a singoli individui per scopi conoscitivi di programmazione, scientifici od operativi o anche per scopi regolatori. I registri possono riguardare entità nosologiche (registri di patologia), interventi o azioni (registri di prodotto), fattori di rischio o tutte queste tre categorie insieme.

Il concetto di sorveglianza epidemiologica è ancora meno specifico di quello di registro ed è legato al concetto operativo di azione/reazione rispetto al fenomeno osservato.

Appare evidente che le diverse affermazioni abbiano trovato nell’ambito dei primi due punti la sintesi degli elementi da tenere maggiormente in considerazione, sottolineando però che un monitoraggio sistematico di casi in ambito sanitario non può prescindere dalla definizione precisa di obiettivi e finalità per cui tale attività viene messa in opera. Vi sono anche altri elementi chiave che saranno utili alla definizione completa di cosa diventerà poi il registro ma questi primi due punti hanno risolto in gran parte i termini della discussione collegiale.

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