Possiamo ancora immaginare un nuovo ruolo per i medici italiani?

giuseppe r. gristina1, guido bertolini2

1Medico anestesista-rianimatore; 2Laboratorio di Epidemiologia Clinica, Centro di Coordinamento GiViTI, Dipartimento di Salute Pubblica IRCCS - Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”.

Pervenuto il 31 marzo 2016. Accettato dopo revisione il 13 aprile 2016.

Riassunto. La professione medica opera contemporaneamente in tre diversi ambiti: scientifico, etico ed economico. Ciascuno di essi è in continua evoluzione così come, di conseguenza, lo sono le loro reciproche interrelazioni. Pertanto, se la professione medica vorrà mantenere il suo ruolo centrale nella società dovrà porre costante attenzione a questi cambiamenti cercando di evolvere coerentemente con essi. Questo per i medici significherà essere in grado di negoziare continuamente il loro status (posizione sociale), il ruolo (modello professionale) e la funzione (guarigione da malattie, prolungamento della vita) per continuare a rappresentare un riferimento efficace per i pazienti. Purtroppo, le istituzioni mediche (università, sindacati dei medici, società scientifiche e ordini professionali) non mostrano di aver compreso questa complessità e non sembrano interessate ad avviare un diverso modo di pensare alla professione, essendo invece impegnate a difendere e perpetuare lo stesso status, lo stesso ruolo e la stessa funzione tipici del passato. È difficile trovare interpretazioni alternative alla decisione dell’Ordine dei medici di Bologna di sospendere alcuni medici, rei di esser contravvenuti all’articolo 3 del Codice di Deontologia Medica, avendo delegato agli infermieri attivi nell’emergenza extra-ospedaliera alcuni protocolli operativi che prevedono, in situazioni ben definite, anche la somministrazione di farmaci salva-vita.

Parole chiave. Biomedicina, economia sanitaria, epistemologia, etica clinica.

Can we still envision a new role for Italian doctors?

Summary. The medical profession simultaneously operates within three different backgrounds: the scientific, the ethical, and the economic one. Each is constantly changing, as well as their mutual relationship and interdependency. To maintain its central role in the society, the medical profession has to co-evolve with such an ever-changing context. This means being able to continuously (re)negotiate the status (social position), the role (professional model) and the function (healing from diseases, prolongation of life) of medical doctors for them to be beneficial to sick people. Sadly, the medical institutions (academia, medical trade union, scientific societies) do not appear to have realized such a need and are instead pledged to defend and perpetrate for the medical doctor the same status, role and function of the past. It is hard to find alternative interpretations to the decision of the medical council of Bologna to suspend some doctors, guilty of having prepared lifesaving protocols for extra-hospital emergency to be adopted by trained nurses. Such procedures, in their view, would have indeed illegitimately empowered nurses, so degrading the prestige of the medical profession.

Key words. Biomedicine, clinical ethics, epistemology, healthcare economics.

Il “caso Bologna”: breve cronistoria

Nei primi mesi del 2016 viene formalizzato, nei confronti di alcuni medici responsabili e/o coinvolti nel coordinamento del 118 e del Sistema di Emergenza delle AUSL di Bologna, Modena e Piacenza, un provvedimento disciplinare di sospensione da parte dell’Ordine dei Medici per un periodo di 6 mesi.

Le motivazioni che hanno spinto al provvedimento sono rappresentate dalla redazione e approvazione di procedure e istruzioni operative a uso degli infermieri del 118 che attribuirebbero loro “indebitamente” e “illegalmente” la possibilità di eseguire atti di competenza medica (“atti medici”) costituiti da diagnosi, prescrizione e somministrazione di farmaci soggetti normalmente a controllo del medico.

Il Sistema di Emergenza 118 di Bologna e delle altre province emiliane prevede una risposta agli interventi di soccorso sanitario pre-ospedaliero stratificata su 3 livelli integrati: di base (BLSD, con soccorritori volontari o dipendenti), intermedio (ILS, con infermiere), avanzato (ALS, con medico d’urgenza o rianimatore, su mezzo automedica o elisoccorso). Negli interventi in emergenza per i codici rossi, che rappresentano circa un quarto del totale, vengono attivate contemporaneamente o in sequenza sia l’équipe intermedia con infermiere sia quella avanzata con il medico.

Le procedure “incriminate”, in particolare per quanto riguarda il territorio di Bologna e provincia, redatte e approvate dalle Direzioni Sanitarie aziendali, quindi operative da ormai circa dieci anni nel Sistema di Emergenza 118, prevedono che, in caso di situazioni critiche tempo-dipendenti e/o in grado di mettere a rischio la vita, l’infermiere che arriva prima dell’équipe con medico (o in caso questa non sia disponibile perché già occupata) possa somministrare determinati farmaci con lo scopo di ridurre l’intervallo libero da terapia. È il caso del glucosio al 33% nei pazienti con grave ipoglicemia sintomatica, del naloxone nell’intossicazione da oppioidi, dell’aspirina nella sindrome coronarica acuta, della morfina o derivati nelle sindromi dolorose acute o per facilitare la mobilitazione di un paziente gravemente traumatizzato. Tali procedure prevedono, inoltre, la centralizzazione e il trasporto rapidi, nelle situazioni che lo consentono, verso la struttura sanitaria più adeguata alla cura della patologia del paziente, per esempio verso il Trauma Center nel caso di un trauma maggiore o direttamente nel laboratorio di emodinamica preallertato, nel caso di un infarto del miocardio con elevazione del tratto ST.




Sotto la responsabilità del coordinamento del Sistema di Emergenza, queste procedure sono continuamente aggiornate e riviste alla luce delle evidenze della letteratura e delle raccomandazioni delle principali società scientifiche nazionali e internazionali di settore; la formazione del personale infermieristico e medico è rinnovata periodicamente in modo da mantenere elevati gli standard di competenza.

Il caso è stato sollevato a seguito di un esposto alla Procura e all’Ordine dei Medici di Bologna da parte di un sindacato di categoria dei medici di medicina territoriale, con l’accusa che tali protocolli siano stati elaborati allo scopo di realizzare una demedicalizzazione del Sistema di Emergenza del territorio, tramite la sostituzione dei medici con i più economici infermieri.

La Regione Emilia-Romagna ha invece espresso, attraverso i suoi organi istituzionali, piena solidarietà nei confronti dei suoi medici sanzionati e ha annunciato la preparazione di una delibera che uniformi, a livello regionale, le procedure e i protocolli d’intervento sanitario per i quali i team con infermiere possono agire in autonomia o che invece richiedono il lavoro di collaborazione e controllo da parte del medico.

Tre problemi

La questione etica

Nell’estate del 1996 fu pubblicato sulla pagina culturale di un famoso quotidiano italiano un “manifesto di bioetica laica” che iniziava con la seguente premessa: «Se la rivoluzione scientifica dell’era moderna ha permesso all’uomo di modificare a suo vantaggio la natura circostante, la rivoluzione biomedica [sostenuta dalla tecnologia n.d.r.] permette ora all’uomo di intervenire sulla propria natura. Questo produce grandi opportunità per l’umanità, ma genera anche dilemmi morali che non hanno precedenti nella storia della medicina»1.

In risposta ai nuovi dilemmi morali nella società moderna fanno la loro comparsa nuovi diritti, si afferma la cultura dell’autodeterminazione, aumenta il valore giuridico attribuito alla capacità decisionale della persona, per cui l’agire del medico non è più legittimato di per sé ma è funzione del consenso. In questo modo la relazione di cura diviene sempre più l’ambito nel quale il paziente, affermando la sua individuale esperienza di malattia, chiede di definire e decidere assieme al medico la necessità, gli scopi, i percorsi dei trattamenti2. Così, il medico deve oggi confrontarsi con una forte domanda di personalizzazione del rapporto medico-paziente, alla quale egli è però impreparato a rispondere. Questa insufficienza relazionale scaturisce sia dall’attuale impostazione della formazione del medico, che porta a concentrarsi ancora sulla cura degli organi malati anziché su quella globale della persona, in completa assenza di un’educazione alla comunicazione e all’etica clinica, sia dall’approccio morale di stampo deontologico. Quest’ultimo, definendo gli interessi morali del medico su rigide regole, predefinite e non modificabili, gli impedisce di cogliere i cambiamenti culturali in corso nella società, espressi dalle complesse, articolate e sempre diverse vicende umane correlate alla malattia3. Nascono in questo modo l’aumento incontrollabile dei casi di contenzioso e, di rimando, l’espansione della medicina difensiva4.

La questione scientifica

Il manifesto di bioetica laica articola la sua analisi teorica tenendo come riferimento essenziale il ruolo di primaria importanza che lo sviluppo scientifico e tecnologico gioca nella definizione della medicina moderna. Questo sviluppo, però, rispecchia anche la rapidità con cui la scienza modifica la comprensione che ha di se stessa, le modalità interpretative con cui legge i fenomeni, l’attenzione che pone sia alle spinte che la inducono a usare nuove logiche, sia alla complessità dei sistemi in cui è chiamata a muoversi. Lo smartphone ha già un notevole impatto come strumento diagnostico in numerose aree specialistiche della medicina5 e si stima sia usato dall’85% dei medici che lavorano nell’Accreditation Council for Graduate Medical Education come strumento operativo nell’esercizio della professione6. Una nuova funzionalità progettata per raccogliere e condividere con i partner e le app autorizzati una vasta gamma di dati relativi allo stato di salute permette di raccogliere in continuo alcuni parametri vitali (frequenza cardiaca e respiratoria, pressione arteriosa e gettata cardiaca, saturimetria, concentrazione emoglobinica e del glucosio nel sangue), memorizzarli o inviarli a centri di controllo in remoto che possono, a loro volta, inviare comandi per attivare azioni in risposta7.

Va poi sottolineato il ruolo delle online communities. Eugenio Santoro nel suo libro Web 2.0 e social media in medicina sottolinea che «alcune sperimentazioni dimostrano come l’uso dei social può migliorare gli stili di vita. Una online community dedicata ha fatto sì che dopo 12 mesi i valori di emoglobina glicata di pazienti diabetici si riducessero grazie allo scambio di informazioni in rete invece che attraverso i canali tradizionali8.

In ultimo, l’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità – School of Management – Politecnico di Milano informa che la digitalizzazione in sanità potrebbe comportare risparmi per oltre 15 miliardi di euro: 7 nelle strutture sanitarie e 8 per i cittadini. Le Asl e gli ospedali potrebbero ridurre le spese in diversi settori: oltre 3 miliardi con la medicina del territorio e domiciliare, 1,4 con la cartella clinica elettronica, 860 milioni con i referti digitali, 370 con i referti via web, 860 con la gestione informatizzata dei farmaci9.

Di fronte a tutto ciò è facile comprendere come lo sviluppo scientifico e tecnologico ci abbia portato sulla soglia di una vera e propria rivoluzione della relazione medico-paziente. Ed è anche del tutto evidente che le facoltà di medicina, le scuole di specializzazione, le società scientifiche, gli ordini professionali, tuttora ancorati all’approccio sperimentale maturato sui postulati formulati tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, non siano in grado di adattarsi al ritmo e all’entità di questi cambiamenti.

La questione economica

Poiché l’attività del medico è una funzione pubblica, essa contribuisce alla definizione della spesa pubblica. Nell’attuale congiuntura economica negativa i governi hanno scelto di re-incentivare la crescita produttiva attraverso politiche di sviluppo basate proprio sulla restrizione della spesa pubblica, considerata, di fatto, tra i principali ostacoli alla ripresa10. La spesa sanitaria diviene così un problema nel problema, non solo perché la sua crescita è esponenziale, quindi incompatibile con le altre priorità, ma anche perché questa progressione è correlata in misura significativa a fattori scarsamente controllabili quali la regressività (arretratezza culturale, medicina difensiva, corporativismo), le diseconomie (sprechi, abusi, parassitismi), le antieconomie (lo squilibrio tra ciò che si spende e i benefici che si ricavano)11. Considerata quindi insostenibile in termini finanziari, la medicina ha visto man mano ridurre le risorse economiche a sua disposizione, fino ad arrivare a un programma di vera e propria riduzione del finanziamento, che le nega implicitamente qualsiasi dimensione produttiva, civile e morale12. Così, se fino a oggi il medico è stato il decisore indiscusso circa le funzioni di diagnosi e cura (autonomia decisionale), nei fatti è stato anche il decisore dei costi della medicina. Nel momento in cui la sanità diviene un problema per l’economia, il medico si trasforma da capitale primario del sistema sanitario nel determinante primo della spesa che si vuole ridurre e nei confronti del quale si adottano allora scelte di restrizione dell’autonomia operativa atte a contenerla e condizionarla13.

Una nuova figura di medico

La professione medica si muove dunque in tre differenti contesti contemporaneamente: scientifico, etico ed economico. Ciascuno di essi è suscettibile di cambiamenti, così come cambiano le relazioni che li legano a vicenda. In rapporto a ciò, anche lo status (la posizione sociale), il ruolo (i modelli di comportamento professionale) e la funzione (la guarigione dalle malattie) del medico stanno cambiando.

Lo si voglia o no, quello di cui c’è bisogno oggi nella società così come si è andata strutturando, è un modello di professionista in grado di rileggere i significati di scienza, etica ed economia e di operare nuove e più adeguate mediazioni fra queste tre istanze14-17. Se la medicina non sarà in grado di cogliere i cambiamenti in atto, rivedendo la sua stessa epistemologia, come altre scienze hanno già fatto a partire dal secolo scorso, verrà inevitabilmente e pericolosamente sfiduciata.

Fallire questo appuntamento significa per il medico cadere in un ciclo regressivo che rischia di modificarne il ruolo senza che egli abbia partecipato attivamente a definirne un altro.

Di fatto, però, le più rappresentative istituzioni mediche – ordini, sindacati, società scientifiche, università – non solo non mostrano sensibilità a questa che a tutti gli effetti appare come una vera e propria questione medica, attivandosi per una sua efficace soluzione, ma anzi, non sembrano sapere e/o volere far fronte alle complessità strutturali di questo tempo.

Il vecchio modo di intendere la professione da parte della sua classe dirigente accademica e non, nel complesso, fa riferimento ad abitudini e a limiti culturali intrinseci a una concezione tradizionale dei rapporti col mondo, secondo la quale la soluzione dei problemi passa attraverso le relazioni con le istituzioni della politica centrale e regionale, all’interno delle quali molti medici sono peraltro presenti. L’obiettivo dei sindacati è stato, ed è tuttora, quello di difendere e controllare in termini economici e normativi, secondo una logica tutta corporativa, il ruolo del medico, mai di rinnovarlo, garantendo oggettivamente il perpetuarsi di regressività, diseconomie e antieconomie. Così, i medici hanno barattato la loro intoccabilità con la rinuncia a una funzione scientifica e sociale più propulsiva e dinamica, sia per la professione stessa sia per la società. L’accademia, a sua volta, per fortuna non tutta, ha rinunciato alla sua vocazione scientifica accettando che la ricerca medica fosse di fatto definanziata in nome di una logica di potere spartitoria, per lasciarla quasi interamente agli interessi privati. La negazione del processo di sviluppo delle carriere sulla base di meriti scientifici oggettivamente dimostrati e dimostrabili ne è la più palese evidenza18-20.

La crisi di ruolo dentro la quale oggi il medico si dibatte non è quindi solo da imputare ai mutamenti socio-economici, ma da ascrivere anche alla miopia della classe medica stessa, incapace di ragionare nella logica del futuro della professione.

Considerazioni augurabilmente non conclusive

I medici dovrebbero imparare a costruire oggi i processi che forniranno adeguati risultati per il futuro, partendo da una vera e propria rivoluzione culturale: tutto quanto costituisce oggi un problema, perché interpretato come una diminutio del prestigio professionale, dovrebbe costituire in realtà il punto di forza per soluzioni convincenti e plausibili domani.

Laddove queste scelte operative sono state già attuate nel contesto di un generale ripensamento del concetto di salute pubblica, i medici stessi ne apprezzano oggi le ricadute in termini di efficacia ed efficienza economica29. Queste soluzioni sono certamente complesse perché devono dare molte risposte: alla società, all’etica, alla politica, all’economia. Probabilmente esse incontreranno difficoltà ulteriori, se anche le altre professioni sanitarie non si disporranno a coevolvere allo stesso modo, ridefinendo anch’esse il loro status, la loro funzione, il loro ruolo in un’ottica cooperativa e di interconnessione. E in merito va certamente sottolineato che la proposta ministeriale sulle “competenze avanzate” lascia grandi perplessità30. Ma certamente l’errore da evitare è quello di credere che tutto si risolva ridando al ruolo medico le caratteristiche e le prerogative che aveva in un tempo passato e irreversibilmente diverso da quello attuale.

Lasciare alle istituzioni politiche ed economiche la soluzione del problema senza offrire soluzioni alternative significa esporsi a una ridefinizione del ruolo medico da parte di chi non possiede competenze sanitarie e al conseguente, brutale taglio lineare con una contemporanea ricaduta sia sulla società, sia sul ruolo medico.

La questione non è quindi risolvibile entrando in contrasto con il cambiamento.

Piuttosto, è urgente chiedersi come sia concepibile un nuovo ruolo della medicina che non entri in rotta di collisione col mondo.

È venuto il momento per il medico di ridefinirsi in rapporto alle esigenze della complessità del presente, partendo dall’idea che siano possibili “cessioni di sovranità” in termini di rapporti trasversali tra le diverse professioni sanitarie e nuove forme d’integrazione interdisciplinare. Questa via potrebbe essere praticata già oggi partendo da alcuni specifici setting operativi come quello dell’emergenza extra-ospedaliera, dove sono disponibili risultati positivi, testimoniati dalle prove di efficacia in termini di riduzione significativa del rischio di morte21-28.

Purtroppo, a giudicare dalla vicenda che vede coinvolti l’OMCeO bolognese e i medici della Rianimazione e del 118 dell’Ospedale Maggiore e del Dipartimento di Emergenza dell’AUSL di Bologna, oltre che delle AUSL di Piacenza e Modena, i pronunciamenti in merito della FNOMCeO e di alcuni sindacati, è assai dubbio che un nuovo modo di interpretare il ruolo del medico in Italia, e segnatamente dell’anestesista-rianimatore, sia prossimo a realizzarsi.

I fatti di Bologna non si possono ignorare come se si trattasse di un semplice evento da liquidare en passant.

Essi, piaccia o no, rappresentano un segnale della profonda dissociazione fra le istituzioni ufficiali della medicina e il mondo reale.

È evidente come in gioco vi sia il futuro di una professione da non lasciare in mano alle logiche del passato, per fornire alle future generazioni di medici una prospettiva culturale più ampia del cortile di casa.

Conflitti di interesse: gli autori dichiarano di essere tra i primi firmatari dell’appello a favore dei medici sospesi dall’Ordine dei Medici di Bologna.

Ringraziamenti: gli autori ringraziano i medici e gli infermieri dell’Emergenza 118 delle AUSL di Bologna, Modena e Piacenza che ogni giorno si battono per un Servizio Sanitario Nazionale efficiente.

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