Un nuovo ruolo per i medici italiani

Costruiamo ponti, non muri

Gristina e Bertolini1 affrontano il problema dell’essere medico in una società globalizzata in cui i cambiamenti sono molto più rapidi che in passato. Schematizzano che gli ambiti di riflessione debbano essere quello etico, con una nuova relazione medico-paziente, quello scientifico, in cui la rapidità dei cambiamenti, la pluralità delle fonti e l’interconnessione giocano un ruolo chiave, e quello economico, in cui il medico era prima giudice unico e oggi imputato. Auspicano che il medico voglia iniziare una riflessione sui nuovi scenari di relazioni interprofessionali, alcuni già in essere, altri forse ineludibili, nei vari ambiti in cui egli si muove, dalla vita professionale a quella accademica, a quella sociale e politica. Propongono la vicenda del 118 e dell’AUSL di Bologna come emblematica del problema di una classe medica ancorata a vecchi schemi e superata dai tempi, ma anche come caso indice con il quale cominciare a riflettere.

Nella dimensione economica le responsabilità dell’esplosione della spesa sanitaria sono a vari livelli. Si pensi all’enorme aumento del costo dei farmaci, pochi dei quali realmente innovativi e pochissimi curativi, ma con un costo tale da mettere in difficoltà i bilanci di uno Stato2. Si pensi agli investimenti nella ricerca biomedica – 200 miliardi di dollari nei soli Stati Uniti nel 2010 –, l’85% dei quali “buttati via” in progetti inutili3. Si pensi al governo delle “aziende” ospedaliere in cui l’adesione non discutibile al progetto politico regionale rimane il criterio dominante di valutazione dell’efficacia del management, una sorta di oligarchia amministrativa onnisciente che “globalizza” i livelli amministrativi periferici e la classe medica.

Le responsabilità mediche sono a loro volta a vari livelli. Fra tanti, la resistenza talvolta pigra e miope, talaltra dettata da interessi di parte al cambiamento virtuoso, quello cioè inclusivo degli interessi delle future generazioni. Sia di esempio la responsabilità medica nel campo dell’iperdiagnosi, la “medicalizzazione della normalità”. Come ci ricorda il grillo parlante Silvio Garattini: «Basta abbassare i livelli di glicemia, colesterolemia, pressione arteriosa, densità ossea e così via per vendere non solo più farmaci, ma anche altri tipi di intervento […] dispositivi medici, apparecchiature scientifiche, letti e tutto il resto»٤. Un problema così acuto e pericoloso per la sostenibilità dei sistemi sanitari nazionali da determinare la nascita di movimenti di razionalizzazione delle scelte mediche, come per esempio il movimento “choosing wisely”5 il cui fine è identificare test, procedure e trattamenti che «medici e pazienti dovrebbero mettere in dubbio». Un cambio di rotta sostanziale dall’indicare ciò che serve all’indicare ciò che non serve eppure si usa. La classe medica però resiste, fa melina e lo fa in tutti i campi, dalla clinica alla ricerca. Anestesisti e chirurghi continuano a richiedere esami inutili che spesso creano la necessità di ulteriori test, alcuni dei quali non senza rischi, e aumentano la probabilità di ritardare o cancellare interventi chirurgici necessari. In una recente ricerca nord-americana, le richieste di routine della radiografia del torace, dell’ematocrito, dell’esame delle urine e di vari esami cardiologici non diminuivano nonostante la pubblicazione di linee-guida volte a permettere una scelta mirata6. «Old habits die hard», nota l’editoriale di commento7. Nel 2014 Lancet pubblica una serie dal titolo provocatorio: “Increasing value, reducing waste” e propone 17 raccomandazioni per migliorare l’efficacia e l’efficienza della ricerca, il suo impatto sui temi di reale utilità per i malati a costi sostenibili3. Nel 2016 gli stessi autori nella stessa rivista si chiedono: “Who’s listening?”8. C’è qualcuno tra i ricercatori, l’industria farmaceutica e gli enti regolatori che è stato a sentirli o che voglia farlo?

Le ragioni non sono solo vecchie abitudini dure a morire. Sono nell’intreccio dei tre ambiti proposti da Gristina e Bertolini: il rapporto medico-paziente che deve essere protetto dalla deriva venditore-consumatore, la produzione e disseminazione di prodotti della ricerca e della conoscenza concretamente incisivi sui bisogni di salute e l’accettazione da parte dei medici della responsabilità di mantenere costi sostenibili. La vicenda 118/AUSL Bologna può essere discussa essa stessa relativamente ai tre ambiti. A cavallo tra il primo e il secondo è la conoscenza che l’adrenalina deve essere somministrata il prima possibile perché sia efficace; le linee-guida più recenti dell’American Heart Association considerano “ragionevole” somministrare l’adrenalina ogni 3-5 minuti per i pazienti in asistolia e ogni 3-5 minuti dopo la seconda defibrillazione per i pazienti in fibrillazione ventricolare9; quelle dell’European Research Council sono sovrapponibili a parte l’indicazione ad aspettare tre defibrillazioni anziché due10. Oggi, dunque, nell’interesse del malato e alla luce delle prove disponibili, l’adrenalina deve essere somministrata il prima possibile per cui la risoluzione adottata dai medici del 118 delle AUSL di Bologna, Modena e Piacenza è stata eticamente e scientificamente la migliore possibile. Le ragioni economiche sono altrettanto evidenti: non è pensabile avere medici o addirittura medici specialisti su tutte le ambulanze. Un tale obiettivo, perseguito in nome di prove di efficacia peraltro non disponibili, costerebbe cifre ingenti sottratte ad altri investimenti. Se dunque si considerano gli interessi delle future generazioni, la risoluzione adottata dai medici del 118 con il coinvolgimento di tutte le figure professionali preparate e idonee non è solo eticamente e scientificamente valida, ma anche economicamente equilibrata e dovrebbe servire da esempio.

Da ultimo, la vicenda può essere letta anche in termini di impatto sulla ricerca futura. Benché il futuro non sia predicibile e non sappiamo cosa ci riservi11, abbiamo senz’altro l’obbligo nei confronti delle generazioni future – delle future figure di medici, infermieri e malati che saranno tutte certamente diverse da quelle di oggi – di lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo trovato. Un esempio concreto riguarda proprio l’uso dell’adrenalina nel trattamento dell’arresto cardiaco, uno standard la cui efficacia è incerta e che potrebbe addirittura aumentare la mortalità e la morbilità12. Per questa ragione è in corso il trial clinico randomizzato PARAMDIC2 nel quale saranno arruolati 8.000 pazienti con arresto cardiaco pre-ospedaliero randomizzati a ricevere adrenalina o placebo. Il trial, il cui acronimo è esplicativo circa il ruolo del personale non medico, prevede il coinvolgimento di 5 servizi di ambulanza del Welsh, West Midlands, North East, South Central e Londra13.

Oggi una ricerca del genere non sarebbe possibile in Italia con l’obbligo che l’adrenalina possa essere somministrata solo dai medici. Sarà possibile domani? Facciamo in modo che le nostre scelte di oggi siano virtuose e che includano le necessità delle generazioni future. Costruiamo ponti, non muri per i nostri figli e nipoti.

Bibliografia

1. Gristina GR, Bertolini G. Possiamo ancora immaginare un nuovo ruolo per i medici italiani? Recenti Prog Med 2016; 107: 213-7.

2. Roehrig C. The impact of new hepatitis C drugs on national health spending. Accesso il 5-6-2016 a: http://healthaffairs.org/blog/2015/12/07/the-impact-of-new-hepatitis-c-drugs-on-national-health-spending/

3. Al-Shahi Salman R, Beller E, Kagan J, et al. Increasing value and reducing waste in biomedical research regulation and management. Lancet 2014; 383: 176-85.

4. Garattini S. La sanità al tempo dell’iperdiagnosi: spese inutili e assistenza negata. Il Messaggero, 6 giugno 2012.

5. When a test isn’t best. Lancet 2013; 381: 700.

6. Sigmund AE, Stevens ER, Blitz JD, Ladapo JA. Use of Preoperative Testing and Physicians’ Response to Professional Society Guidance. JAMA Intern Med 2015; 175: 1352-9.

7. Smetana GW. The Conundrum of Unnecessary Preoperative Testing. JAMA Intern Med 2015; 175: 1359-61.

8. Moher D, Glasziou P, Chalmers I, et al. Increasing value and reducing waste in biomedical research: who’s listening? Lancet 2016; 387: 1573-86.

9. Neumar RW, Otto CW, Link MS, et al. Part 8: adult advanced cardiovascular life support: 2010 American Heart Association Guidelines for Cardiopulmonary Resuscitation and Emergency Cardiovascular Care. Circulation 2010; 122 (Suppl 3): S729-67.

10. Deakin CD, Nolan JP, Soar J, et al. European Resuscitation Council Guidelines for Resuscitation 2010 Section 4. Adult advanced life support. Resuscitation 2010; 81: 1305-52.

11. Latronico N. Prediction is very difficult, especially about the future. Crit Care Med 2015; 43: 505-6.

12. Andersen LW, Kurth T, Chase M, et al.; American Heart Association’s Get With The Guidelines-Resuscitation Investigators. Early administration of epinephrine (adrenaline) in patients with cardiac arrest with initial shockable rhythm in hospital: propensity score matched analysis. BMJ 2016; 353: i1577.

13. The PARAMEDIC2 Trial. Ultimo accesso il 5-6-2016 a: http://www2.warwick.ac.uk/fac/med/research/hscience/ctu/trials/critical/paramedic2/about/

Nicola Latronico

Direttore Scuola di Specializzazione in Anestesia,
Rianimazione e Terapia Intensiva,

Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche,
Scienze Radiologiche e Sanità Pubblica,

Università di Brescia

Ripensare al ruolo medico

L’articolo di G. Gristina e G. Bertolini apre una riflessione sulle modifiche necessarie al cosiddetto “ruolo medico” da reinventare per i prossimi decenni, vista la forbice esistente tra difesa di presunta preminenza di un ruolo di comando e una realtà sanitaria in profonda trasformazione.

Desidero soffermarmi su due aspetti emergenti nel dibattito attuale: il modello integrativo e la digitalizzazione della sanità.

L’attuale realtà del confronto continuo in sanità con i percorsi diagnostico-terapeutici di elevata complessità (PDTA) ci obbliga a ragionare in termini di medicina integrativa interdisciplinare e interprofessionale, di dialogo tra differenti specialità e differenti professioni nella ricerca di linee-guida, percorsi e protocolli condivisi in termini di appropriatezza e di accessibilità delle cure, in una cornice di continua razionalizzazione delle risorse economiche disponibili.

Nelle realtà ospedaliere, in continua evoluzione, è la norma da alcuni anni che i motori di trasformazione siano rappresentati dai comitati infezioni ospedaliere, ospedale senza dolore, per il controllo dei percorsi di risk management, e dai modelli organizzativi dei trauma team, sepsi team, emergenze intraospedaliere (Medical Emergency Team - MET), che ci obbligano a ragionare in termini di dialogo e collaborazione tra discipline e competenze diverse, e dove la preminenza di ruolo si traduce in stesura di linee-guida e protocolli comuni e in un continuo esercizio dell’istituto della delega in termini di diagnosi e avvio della terapia.

Non altrimenti funzionano il triage iniziale in pronto soccorso a delega infermieristica, il monitoraggio del dolore (per esempio, quello postoperatorio e in corsia), il monitoraggio delle funzioni vitali e dei sintomi di allarme di deterioramento delle funzioni vitali in corsia, ove, spesso, di notte e nei festivi, un unico medico di guardia è responsabile di circa 150/200 pazienti1,2.

Il ruolo medico si esplica nella proposizione collaborativa di percorsi condivisi, nei percorsi educazionali, nel controllo degli eventi sentinella, nella proposizione dei correttivi da adottare nei PDTA e nella capacità di favorire il dialogo interprofessionale e interdisciplinare (sembra poco?).

Uno dei modelli interdisciplinari realizzati e più significativi è rappresentato dal modello organizzativo del 118 del Canton Ticino (Svizzera italiana), dove, come si vede sul sito internet specifico (http://www.fctsa.ch/it/33/amd.aspx), si parla esplicitamente di atti medici delegati, coordinati dalla dirigenza medica, in continuo aggiornamento annuale degli algoritmi e delle checklist a gestione infermieristica, modello ben più avanzato del 118 della Regione Emilia-Romagna.

Siamo peraltro in presenza dell’obbligo progressivo della completa informatizzazione dei percorsi intraospedalieri (scheda di triage, cartella clinica medica e infermieristica, checklist operatoria, SDO, scheda di dimissione, cartella del medico di base, esami di routine annuali di sorveglianza sanitaria); la messe di dati (mega-database) avrà da una parte elementi di dibattito etico in termini di privacy e di riservatezza di disponibilità dei dati sensibili, dall’altra, una volta resi anonimi i dati sensibili, ci sarà l’opportunità di fornire una serie di elementi atti a giudicare la bontà dello stato di avanzamento dei PTDA di elevata complessità, se valutata in termini di medicina integrativa.

Il concetto di medicina integrativa interdisciplinare e interprofessionale non è uno scenario futuribile, è già presente e con esso dobbiamo fare i conti; ripensare al ruolo medico in termini di collaborazione propositiva tra professioni e discipline non è una battaglia di retroguardia, è piuttosto una scommessa sul suo futuro e sulla sua valorizzazione.

Bibliografia

1. Savoia G, Coluzzi F, Di Maria C, et al. Italian Intersociety Recommendations (SIAARTI, SIMEU, SIS 118, AISD, SIARED, SICUT, IRC) on Pain Management in the Emergency Setting. Minerva Anestesiol 2015; 81: 205-25.

2. Savoia G, Bosco G, Cerchiari E, et al.; SIAARTI - IRC Working Group. SIAARTI - IRC recommendations for organizing responses to In-Hospital emergencies. Minerva Ane­stesiol 2007; 73: 533-53.

Gennaro Savoia

Direttore Dipartimento Anestesia e Rianimazione
AORN A. Cardarelli Napoli

Una breve riflessione sui professionisti della sanità

La responsabilità principale di un medico riguarda il contributo che è in grado di assicurare alla salute delle persone e alla salute della popolazione.

Ogni singolo rapporto di cura, di assistenza o di prevenzione non si esaurisce nel suo svolgimento, ma rinvia costantemente a una dimensione plurale, ogni singola persona con la quale si entra in contatto, qualunque ne sia la ragione, definisce, o ridefinisce, uno standard del quale tenere conto per il prossimo contatto o per il prossimo intervento. Un medico, il medico, anche nell’effettuazione della prestazione più semplice, dalla misurazione della pressione al controllo sul colorito della cute o delle mucose, trascina nella sua memoria tutti i pazienti che ha visto e proietta le sue conoscenze non solo verso i pazienti che vedrà, ma verso i prossimi contatti che avrà con lo stesso paziente, anticipa l’impatto delle sue scelte sull’evoluzione della malattia.

Gli interventi di sanità pubblica sono ancora meno riducibili alla effettuazione di prestazioni, scontano una complessità che non è solo quella dell’individuo ma quella della comunità. Anche in questo contesto, però, il medico è responsabile non solo di quello che fa, ma della tutela della comunità alla quale si rivolge, è il referente di un intervento plurale.

Se proprio siamo alla ricerca di una definizione di atto medico, piuttosto che alla scomposizione dell’attività del professionista in una moltitudine di prestazioni delle quali avrebbe l’esclusiva, bisognerebbe forse guardare alla ricomposizione delle prestazioni, a prescindere da chi le faccia e data per scontata la sua capacità a effettuarle, in un percorso coerente, in un processo, in un intervento organico di cui rivendicare la responsabilità.

Questo già accade in tutti i contesti assistenziali evoluti, in tutte le regioni italiane e, con consapevolezza forse maggiore, in tutto il mondo, nei Paesi più sviluppati e in quelli meno sviluppati. Gli interventi sanitari efficaci sono per loro natura interventi di équipe e si basano sulla collaborazione e sull’integrazione funzionale tra professioni diverse, i confini tra le quali si sovrappongono e sfumano l’una nell’altra in forme mutevoli e legate ai diversi contesti operativi.

È fuorviante considerare la guarigione dalle malattie, il prolungamento della vita, la qualità della vita guadagnata come parametri in grado di definire la funzione del medico, perché questi parametri definiscono la qualità di funzionamento di un sistema sanitario e, vale forse la pena ricordarlo, di un sistema sociale. Più modestamente la funzione del medico è forse quella di dare un senso e un ordine a quello che accade, a quello che può fare in prima persona e a quello che altri professionisti possono assicurare in ragione delle competenze che abbiano acquisito.

L’aspetto veramente stupefacente della decisione assunta dall’Ordine dei medici di Bologna è proprio nella svendita che quella decisione opera del ruolo del medico, la mortificazione dei suoi compiti a quelli di mero produttore esclusivo di questa o quella prestazione.

La presunta difesa dei medici si traduce insomma nel suo contrario, li riduce a manovali specializzati attraverso la pretesa di definire elenchi di compiti e di mansioni. L’ideale che sembra emergere da quella decisione è quello di un medico carpentiere o sellaio, un ideale che si pensava confinato alle arti e ai mestieri del Medioevo.

Carlo Saitto

medico, ASL Roma 1

Marina Capasso

medico, ASL Latina

Teamwork: collaboration between physicians and nurses

In academic teaching hospitals the medical team composition of health care providers extends beyond the traditional attending physicians and residents. The strong presence of nurses is of pivotal importance for team dynamics especially in emergency situations. In the field of trauma care, teamwork is integral. It is well established that trauma resuscitation is most successfully carried out by an organized trauma team, furthermore, the patients’ survival depends on their capacity to function effectively1.

As physicians leaders empowering every component of the team will ensure success when providing care. Experienced physicians understand the vital role of nurses in helping with the care of the critically ill and injured patient. Without their help we simply could not exists.

Empowering nurses, moreover, empowering any provider involved in patient care by breaching the communication gaps, sharing knowledge and encouraging leadership, will ultimately benefit the patient, and as a secondary gain, result in satisfied personnel since their growing confidence of knowing that they can make a difference in someone’s life2.

Rather than being intimidated by team members growing knowledge and leadership, physicians should welcome their growth as their accomplishments will result in bringing the team to higher standards, especially when the patients’ survival is at stake.

References

1. Ummenhofer W, Amsler F, Sutter PM, Martina B, Martin J, Scheidegger D. Team performance in the emergency room: assessment of inter-disciplinary attitudes. Resus­citation 2001; 49: 39-46.

2. Garber JS, Madigan EA, Click ER, Fitzpatrick JJ. Attitudes towards collaboration and servant leadership among nurses, physicians and residents. J Interprof Care 2009; 23: 331-40.

Paula Ferrada, MD, FACS

Associate Professor of Surgery
Medical Director Surgical and Trauma ICU,
Director Surgical Critical Care Fellowship
Virginia Commonwealth University, Richmond, VA (USA)

La salute come diritto di cittadinanza

Le professioni mediche appartengono a un ambito particolare delle funzioni professionali. Come nel caso di insegnanti o giornalisti, i medici esplicano una funzione volta a soddisfare un diritto costituzionalmente tutelato per i cittadini. Non si è cittadini se non si ha accesso a una buona istruzione, a un’onesta informazione e a processi di cura e di salute. La cittadinanza è dunque la base per una ridefinizione del ruolo delle professioni mediche.

Appare evidente che per l’esercizio di queste funzioni sia necessaria la competenza scientifica e professionale, ma è altrettanto auspicabile l’aspetto relazionale in cui le professioni si collocano.

Ecco perché parliamo di professioni sociali ad alto contenuto etico e civile. Perché le competenze siano efficaci esse devono essere agite in un contesto ampio di relazione con il cittadino e devono poter contare su una rete ampia di cooperazione e sinergia tra le risorse disponibili.

Questo aspetto viene spesso trascurato quando ancora si pensa alle professioni mediche come segmenti corporativi, schierate in difesa dell’esistente.

Perché questo legame tra competenze professionali del medico ed efficacia del ruolo complessivo di offerta di salute al cittadino si realizzi serve la formazione. La formazione è la chiave di volta perché le sinergie possano dare i loro frutti e perché la cooperazione sappia sapientemente mirare al centro del problema.

La salute come diritto di cittadinanza è dipendente dall’allargamento di una cultura sociale dello star bene, di cui l’intervento specialistico è solo un suo momento cruciale.

In questo continuum di azioni, formative, tecniche e operative è sembrato incomprensibile e nocivo l’intervento dell’Ordine di Bologna a danno di alcuni operatori, che proprio in questa logica di continuum professionale prestavano il loro lavoro innovativo.

Lo stesso intervento specialistico riteniamo possa esercitarsi favorevolmente solo in un contesto già preparato ad accoglierlo e alimentato dall’allargamento consapevole di conoscenze, a vario livello, che possa garantire un risultato complessivo di accettabile efficacia.

La cultura del soccorso comincia prima dell’intervento specialistico, il dovere di ogni cittadino a prestare il primo soccorso è solo il primo momento di un’articolata serie di ulteriori interventi. Quello infermieristico, opportunamente formato a risolvere l’urgenza temporale, quello medico a risolvere l’intervento complessivo e ordinato per la soluzione del problema.

In una rete cooperante, il ruolo del medico non viene mortificato, ma esaltato e riguadagna una centralità rinnovata e moderna. Le chiusure difensive di una logica corporativa ne mortificano lo sviluppo e l’efficacia. Nuovi protocolli di intervento a vari livelli garantiscono l’efficacia della cooperazione, utilizzano la cultura diffusa del soccorso, risolvono le emergenze temporali.

Vorremo solo per ultimo accennare al peso dell’austerità economica su questi processi.

Siamo consapevoli che politiche restrittive di spesa e la mancata soluzione degli sprechi vadano a danno del diritto primario di cittadinanza alla salute. Il calcolo economico dovrebbe seguire e non precedere l’assolvimento di un obbligo dettato dalla Costituzione. In ogni caso non dovrebbe sfuggirci il risultato benefico della cooperazione e della formazione anche per la riduzione dei costi.

Nel dilemma tra la conservazione di una dimensione artigianale delle professioni mediche e il loro dissolvimento in pratiche parcellizzate e burocratiche, ci è offerta una terza via, sociale e umanista, delle nostre professioni.

Gli sforzi dell’Italian Resuscitation Council si collocano in questa prospettiva: rigore scientifico, formazione ampia e diffusa, cooperazione professionale. I metodi non sono indifferenti ai fini, l’efficienza deve essere ricondotta a una dimensione politica, sociale e professionale. Un orizzonte difficile, ma l’unico in grado di ridare prestigio e centralità alle funzioni di cura, ridare senso politico, nell’accezione più alta, ai ruoli di cura della persona. C’è chi guarda il dito che mostra la luna, smarrisce il senso complesso delle cose: questo è deprecabile professionalmente, ma soprattutto non è saggio, se la saggezza è la materia di cui scarseggia la nostra vita.

Federico Semeraro

Anestesista Rianimatore

UOC Anestesia Terapia Intensiva Ospedale Maggiore Bologna
Presidente Italian Resuscitation Council