In questo numero

«Se ci prendiamo il tempo di ascoltare – sinceramente – avremo almeno l’opportunità di sbirciare nelle vite dei nostri simili, imperfette persone umane. Potremmo non essere in grado di entrare nei loro panni, ma possiamo almeno sederci discretamente sulla panca accanto a loro e seguire il loro sguardo». La nota scritta da Danielle Ofri per la sezione The art of medicine del Lancet e uscita il 2 febbraio 2019 ha a che fare col tempo. In primo luogo perché chiede la nostra attenzione su un argomento complesso – le distorsioni nell’approccio ai malati causate da possibili condizionamenti razzisti – che domanda, appunto, un tempo di lettura e di rilettura non brevissimo. Poi perché ricorda la necessità di “prendersi il tempo per l’ascolto”, che è la cosa più difficile: troppe volte crediamo sia superfluo e spesso ci infastidisce, ci spiazza, disorienta. Eppure, spiega Rodolfo Saracci, pensare di poter comprimere arbitrariamente la naturale durata del tempo delle cose è un’illusione.

La clinica chiede tempo e non gli viene concesso. Ma anche la ricerca ha bisogno di tempo ed è una richiesta vista con sospetto. I risultati devono giungere presto e il disegno degli studi è sempre più condizionato dalla fretta degli sponsor economici o accademici. Anche il contributo che ha come primo nome quello di Celeste Cagnazzo sottolinea “la necessità di abbattere i tempi di attesa per l’avvio delle sperimentazioni” e il rischio di “ritardo dell’iter autorizzativo” ma per evitare questi rischi il sistema fa regolarmente affidamento su figure professionali assunte con contratti atipici, eufemismo che sta sostanzialmente a significare che – sottolineano Gianluigi Ferrante e Fulvio Ricceri – nel nostro paese le nuove assunzioni a tempo determinato sono circa il doppio di quelle a tempo indeterminato.

Il tempo è una dimensione chiave della salute, del vivere da malato e del vivere da medico. Facciamo finta che non sia importante e ci allontaniamo da quella “medicina immaginativa” così ben descritta da Rino Scuccato nello spazio di chiusura di questo numero della rivista. Serve prendersi del tempo per indagare i sintomi “funzionali” di chi chiede aiuto. Considerando che molto spesso è questa la “materia” dello star male.

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a cura di Cristina Da Rold (freelance health & data journalist)