La diversa statura di Giuseppe Giusti

Ci sono voluti vari mesi per decidere di scrivere queste righe in ricordo di Giuseppe Giusti, professore emerito di Malattie Infettive e per tre decenni direttore della Clinica delle Malattie Infettive della allora Seconda Università di Napoli, scomparso nel marzo 2019, appena tre mesi dopo l’adorata moglie Maria Antonietta. Ci sono voluti mesi per vari motivi, tra cui il rischio di non coglierne la statura scientifica (perché non sono tecnicamente un suo allievo e per questo ho chiesto a Giovanni Battista Gaeta di contribuire a scrivere confusamente a quattro mani e firmare con me questo ricordo) e quello di farci trascinare dalla dimensione affettiva (perché mia moglie Carla è sua figlia) e perché Giovanni Battista dalla lunga comunanza lavorativa ha distillato un rapporto affettivo intenso, non solo personale ma coinvolgente l’intera famiglia.




Statura è una parola chiave. Perché alta era (e rimane) la statura scientifica di Giuseppe Giusti e dei pochi altri scienziati napoletani (Giuseppe De Ritis, Mario Coltorti) cui si devono studi fondamentali sulle transaminasi in corso di epatiti acute e croniche. Nel 1958 pubblicarono su The Lancet; ed erano pochi i ricercatori Italiani che ci riuscivano, in quegli anni. Studi che oggi non esiteremmo a definire di ricerca traslazionale, partiti da modelli animali, che consentirono di aprire una porta su un mondo all’epoca ignoto e rappresentano un contributo fondante della moderna epatologia. A più di sessanta anni di distanza, basta leggere una linea guida o raccomandazione in tema di epatologia, scritta in qualsiasi paese, per trovare le transaminasi ancora al centro degli algoritmi diagnostici o predittivi. Anni di entusiasmo e dedizione alla ricerca e all’insegnamento da cui nacque e si consolidò una vera Scuola, nel grande Istituto presso l’antico edificio dell’Ospedale Gesù e Maria, con una schiera di giovani ricercatori che vi trovarono gli stimoli e le opportunità per coltivare le proprie idee e i propri talenti. Per tutti, una esperienza irripetibile: quei “ragazzi del Gesù e Maria” hanno seguito strade diverse, portandosi dentro un patrimonio fatto di solidità metodologica e di spessore umano e culturale. Giuseppe era un didatta straordinario. Memorabili le sue lezioni, nella bella aula ad anfiteatro gremita anche di colleghi giovani e meno giovani, nelle quali rifuggiva dalle elaborazioni concettuali, lui di fine formazione biochimica, per offrirci il senso concreto del ragionamento clinico attraverso il quale giungere alla sintesi della diagnosi. Ci sentivamo, noi studenti del IV anno di corso, finalmente vicini all’esercizio della medicina. “Quali esami di laboratorio richiedereste?” domandava; ascoltava tutto – anche le inevitabili castronerie – interloquendo con autorevolezza sempre garbata, per poi spesso concludere: “la lista è ridondante, si deve giungere alla diagnosi senza sprechi”. Ascoltavamo entusiasti, nessuno ci aveva fatto riflettere su questo tema (erano i primi anni ’70): era avanti di decenni.




Alta era anche la statura culturale di Giuseppe Giusti, oltre la medicina. Uomo nobilmente curioso per tutto ciò che era conoscenza e progresso in tutti i campi del sapere, con un approccio leonardesco. Uomo amante dell’arte, collezionista di reperti archeologici e libri antichi. Uomo amante della bellezza, del creato e delle opere frutto dell’ingegno umano che ammirava con un senso di incanto e stupore e con cui si sentiva istintivamente in sintonia.

Alta era la statura fisica di Giuseppe Giusti. Lo testimoniano le foto di gruppo, in cui il fotografo era sempre costretto a fare un passo indietro per non tagliargli la testa, i podi dei convegni e i microfoni, sempre troppo lontani pur al massimo della loro estensione. Altissima la sua statura per me, il genero tutt’altro che alto, la sera in cui mi aprì la porta di casa e decise di abbracciarmi per la prima volta, percependo con istinto animale che da lì in poi sarebbe iniziato un percorso di condivisione affettiva.

Alta, infine, era la sua statura umana. Nella generosità con cui legava a sé colleghi e amici, donando loro libri antichi, creando una sorta di colta complicità artistica e letteraria che molti di noi sentono come indissolubile. Nella cura dei pazienti, tanti dei quali gli sono stati riconoscenti anche per molti anni dopo la guarigione e oggi lo rimpiangono. Nella famiglia bella e numerosa, con cinque figli e dieci nipoti, rapiti questi ultimi dall’amore con cui il nonno e la nonna Maria Antonietta hanno saputo riempire la loro infanzia.




Francesco Perrone
(medico, genero di Giuseppe Giusti)

Giovanni Battista Gaeta
(medico, allievo di Giuseppe Giusti)