Utilità del follow up ambulatoriale nei pazienti affetti da cirrosi epatica
Domenico Leuci, Vincenzo Quinto
Summary. Usefulness of the follow-up in outpatients affected by liver cirrhosis.
Since 2000 to 2004 we enrolled 80 patients affected by liver cirrhosis: after two year’s follow-up in our Outpatients’ Department we gained a survival rate of 23%. These data are remarkable because we took care of aged patients (mean age 70 years) with comorbidity (diabetes mellitus, gallstones, hypertension, etc.).
Key words. Cirrhosis, follow-up, outpatients, survival
Nella nostra realtà lavorativa la cirrosi epatica (CE) complicata ha rappresentato il 10% dei ricoveri totali nel 2006 (rispetto al 6% del 2000) ed è quesito di almeno 200 visite ambulatoriali l’anno.
Abbiamo pertanto ritenuto utile eseguire uno studio osservazionale per capire quale fosse la maniera più efficace ed efficiente di sorvegliare pazienti cirrotici anziani affetti da comorbilità: essi costituiscono, nella nostra quotidianità lavorativa, una realtà epidemiologicamente rilevante che richiede spesso ricoveri ospedalieri evitabili.

Tra il 2000 e il 2004 sono stati reclutati consecutivamente, presso l’ambulatorio annesso alla Unità Operativa di Medicina Interna e dedicato all’Epatologia, 80 pz, (41 maschi di età media 69,8 ± 8,7 anni e 39 femmine di età media 70 ± 9,1 anni), affetti da CE di varia eziologia. Il fattore eziologico prevalente della CE era rappresentato da HCV, associato o meno all’alcool nell’83,7% dei pz rispetto alla media nazionale pari al 67%.
Le più frequenti patologie associate erano la litiasi colecistica (31% dei pz), il diabete mellito tipo II (33%) e l’ipertensione arteriosa (10%). Il medico internista epatologo (assistito dall’infermiera professionale ed impegnato per un solo turno settimanale) eseguiva la visita ambulatoriale a cadenza adeguata alla gravità del quadro clinico complessivo; valutava dati clinici obiettivi, laboratoristici e strumentali aggiornandoli sulla scheda del paziente; secondo protocolli validati nelle linee guida internazionali1-5 e personalizzati secondo regole di Buona Pratica Clinica1,2 gestiva la profilassi primaria e secondaria dello scompenso ascitico, della emorragia da rottura di varici gastroesofagee e della encefalopatia portosistemica; organizzava diagnosi precoce, staging e terapia di HCC; teneva in debita considerazione la comorbilità nel prescrivere esami di controllo e terapia domiciliare; calcolava il punteggio di Child Turcotte e Pugh al momento dell’arruolamento (T0), a 12 mesi (T1) ed a 24 mesi  (T2) di distanza dall’ingresso del pz nello studio osservazionale.
La mortalità a 2 anni dall’inizio dell’osservazione, pari al 21% (17/80 pz), è stata confrontata con i tassi di mortalità risultati da un’indagine nazionale condotta nel quinquennio 1998-2003 su cirrotici afferenti a 25 ospedali italiani (illustrata nel documento della Commissione Epidemiologia AISF)5: la differenza tra le due frequenze (21 e 23%) non è risultata statisticamente significativa, però la popolazione di confronto aveva un’età media (59 anni) nettamente inferiore rispetto ai nostri pz (70 anni) ed in più contava, data l’epidemiologia di quel periodo4,5, meno pz in CTP-C (136/1053 ossia 13% dei casi) con differenza statisticamente significativa (p £0,05) rispetto al 16% (13/80) della nostra casistica.
Nell’analisi degli exitus, 4/5 pz deceduti per causa non ascrivibile direttamente alla CE erano in CTP-A o B; 12/12 pz deceduti per cause direttamente correlabili alla cirrosi erano in CTP-C; 3/4 pz deceduti con HCC erano in CTP-C.
Ne derivano alcune considerazioni: l’insufficienza epatica e la sindrome epatorenale sono principali cause di decesso in confronto alla emorragia da rottura di varici (nessun pz nella nostra casistica); prognosticamente significativa nella sua semplicità è la classe di CTP6,7 indice della riserva epatica che è cruciale nel determinare l’exitus anche nella cancrocirrosi; di pari importanza prognostica è la funzione renale (elemento di calcolo del punteggio MELD); nell’ultimo decennio è migliorato l’esito dei pz con varici esofagee, in quanto la prevenzione primaria e secondaria del sanguinamento con farmaci o con endoterapia sortisce buoni risultati con l’ausilio di un migliorato trattamento del sanguinamento acuto.
Riteniamo, inoltre, che i risultati ottenuti (eventualmente confermati da studi osservazionali multicentrici più prolungati) possano aprire una strada percorribile soprattutto in presidî ospedalieri dove sia assente ­l’Unità Operativa di Gastroenterologia.

Ringraziamenti per la preziosa collaborazione vanno all’infermiera professionale Nunzia Piscitelli.
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