Recensione

Il volo del calabrone

di Stefano Cagliano

Alla fine dell’ultima pagina, la sensazione che si ha, o che perlomeno personalmente ho avuto, è che un pregio del volume è che sembra scritto in polemica con quanto ne ha scritto Renato Balduzzi nella prefazione. Impressione curiosa ma vera. In ogni caso, una premessa credo sia indispensabile. L’autore, Francesco Taroni, è stato anche membro del Comitato tecnico-scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità, della Commissione nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, del Consiglio Superiore di Sanità (1997-2000) e fa parte dell’OECD, l’Organization for economic cooperation and development: improving health system performance.

Non è solo quel che viene detto oggi sulla copertina del volume, ovvero un professore associato di Medicina Legale all’università di Bologna.

Ma per tornare al volume, Balduzzi esordisce – è vero – con parole che fanno almeno sperare sulla qualità del contenuto del volume sottolineando che «non c’è legge, in Italia, né servizio pubblico a proposito dei quali, senza suscitare ilarità o almeno stupore sia possibile ricordare sostanzialmente anniversari dell’entrata in vigore o delle istituzioni. La sola eccezione è la legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale»1,p.ix. E qualche riga dopo, sempre Balduzzi, riconosce all’autore d’essere intellettuale di razza: «intellettuale “prestato” alla sanità, Taroni si misura con la letteratura, gioca su una tastiera duttile e articolata dove l’approccio dello studioso di sanità pubblica combina il lato giuridico con quello sociologico, la riflessione politologica con quella economica». Insomma, «le sue simpatie culturali, le sue preferenze emergono con evidenza, ma non debordano mai rispetto a un metodo di analisi […]»1,p.xi. Tutto vero. Poco dopo, però, ma è solo un esempio, spara una bordata “alzo zero”: «Ma come non vedere che tali richieste […] vanno proprio a toccare due dei nodi cruciali da cui dipende, secondo l’analisi svolta in questo libro, la sopravvivenza del SSN, cioè la compartecipazione al costo delle prestazioni e la istituzione di fondi sanitari integrativi?»1,p.xi. Due nodi importanti di questa 833 che il ministro del lavoro Baldini avrebbe preconizzato che sarebbe stata “una riforma tra urla e strepiti”.

Eppure, se gli avversari dello spirito della 833 fossero solo stati tipo Balduzzi, probabilmente Taroni, la ministra Bindi e il grappolo di persone che hanno lavorato con lei non avrebbero conosciuto i numerosi avversari che le hanno militato contro fin da subito, più o meno spregiudicati, più o meno politicamente scomposti. Ma questa è stata l’Italia, il più delle volte.

Fedele testimone di un passaggio che avrebbe dovuto segnare una rivoluzione nel nostro Paese, Taroni, riporta non solo le parole dell’onorevole Luciana Castellina alla Camera, con una discussione «tra una partita di calcio, un’elezione regionale e l’elezione del Presidente della Repubblica»2,p.33, ma anche quelle dell’onorevole Bogi che lamentava «l’illogicità di aver concluso in tre giorni una riforma che porta 15 anni di ritardo», senza trascurare, infine, il fatto che «neppure la stampa quotidiana conferì grande importanza all’approvazione della legge, relegando la notizia alle pagine interne»2,p.33.

Siccome, però, ci sono italiani capaci d’imprese del tutto diverse, in nove capitoli Taroni ridisegna la storia passata e presente del SSN, di un’impalcatura cioè di cui lui stesso è stato mastro capace.

Nel primo, Strade non prese, «esamina le ragioni delle strade del cambiamento che si decise di non prendere nei primi anni del dopoguerra e degli effetti del trapianto della logica corporativa del regime mutualistico nell’Italia repubblicana»2,p.12. Un primo capitolo, ben scritto, di un libro di storia su periodi che quasi nessuno conosce (salvo persone che studiano mentre amministrano come Taroni).

Nel secondo, La riforma, finalmente, affronta «i tre nodi lasciati irrisolti dalla 833, ovvero il ruolo delle Regioni, la natura e le dimensioni delle Usl e la deriva selettiva imposta all’universalismo originario dalle politiche di bilancio e dalle stringenti forme di compartecipazione al costo delle prestazioni»2,p.12. In pratica, esamina i fattori endogeni ed esogeni al sistema sanitario e di natura economica, politica e culturale che, per dirla con Giovanni Berlinguer, trasformarono una legge difficile da fare in una “impossibile da evitare”. Il capitolo illustra e spiega quali possono essere state le difficoltà di cambiamenti di questa portata non solo sul piano normativo e burocratico (La morte delle mutue), ma anche dei movimenti civili (La stagione dei movimenti), capitolo dove si ricorda tra l’altro, accanto a persone molto note (o che dovrebbero esserlo) come Ivan Illich, Giulio Maccacaro o Archibald Cochrane, anche altre che lo sono senz’altro ovvero «una vivace immagine della temperie culturale nell’editoria del tempo è in De Fiore»2,p.44. Ma il capitolo non può dimenticare cosa fanno i buoi di un carro che deve cambiare direzione e, ancora una volta, Taroni è cronista poco misericordioso. Nel momento finale della legge, vicini cioè all’approvazione del capo dello Stato Sandro Pertini, i medici si lamentavano di una loro rappresentanza al momento nei vari governi della legge così che «il Medico d’Italia, organo ufficiale della FNOOM […] titolava a nove colonne in prima pagina “Riforma senza medici”». Ma si era ancora nel 1978. Il primo numero dell’anno successivo, invece, «celebrava l’avvenuta approvazione con il titolo “La riforma sanitaria: un evento di grande rilievo economico e sociale”»2,p.52.

Il terzo capitolo, Le delusioni, le inerzie, è una sorta di lungo piano-sequenza sui perché del mancato successo, della mancata radicalizzazione dello spirito del SSN nella società italiana di quel periodo. Del perché fosse apparsa “fuori dal tempo”, come scrive Taroni. Militò contro di essa larga parte dei partiti, a cominciare da quello che conquistò il ministero della Sanità, ovvero il Partito Liberale che aveva votato contro la legge, e poi i sindacati, compresa la CGIL, che la sentivano estranea. E tutto questo avveniva mentre «all’inizio degli anni Ottanta due rapporti OECD prospettava un’imminente crisi mondiale dei sistemi di welfare per il concorso di tre fattori»2,p.59 ovvero rallentamento della crescita, rivolta fiscale montante e, last but not least, aumento della popolazione anziana rispetto a quella occupata.

Nel quarto, Tra stato e mercato, l’autore cerca di fare i conti con il regionalismo, ma più in generale, illustra come sia potuti passare dalla riforma del SSN «alla revisione costituzionale del 2001 che ha segnato la fine delle grandi riforme organiche»2,p.77. La novità è arrivata «prima con il Piano sanitario nazionale 1998-2000 […] e formalizzata poi con la Riforma Bindi del 1999, interpretata da alcuni come “la rivincita del piano sul mercato”»2,p.71. Sono pagine da leggere con interesse, almeno per chi è avido d’informazioni serie.

Nel quinto, Aziendalizzazione e quasi-mercati, Taroni si confronta con i problemi della natura delle dimensioni delle Usl e del rapporto tra politica, amministrazione e professione. Con il gigantismo delle aziende, con la presenza di un mercato virtuale o quasi.

Nel sesto, Il pendolo dei regionalismi sanitari, è come se ponesse le Regioni di fronte a tre quesiti: dove vanno a finire tutti quei soldi che spendete in materia di sanità, ovvero tra i due/terzi e i tre/quarti del vostro bilancio? Come possiamo misurare la qualità di una spesa del genere? E poi, com’è possibile per i cittadini misurare la qualità del vostro lavoro? Vista la comparsa di CoViD-19 in questi mesi, sono pagine di un certo interesse perché, per esempio, presentano il tema di come si spendono i soldi in Emilia e in Lombardia, cosa differenzia queste strategie sanitarie profondamente diverse.

Nel settimo capitolo, Universalismi selettivi, Taroni esordisce con il suo postulato programmatico di sempre ovvero, per la verità, con quello che dovrebbe suggerire il buon senso: la comunità farà di tutto per proteggerti, per quanto ne hai bisogno, non in base a quanto riscuoti al mese. «L’accesso universale alle prestazioni clinicamente e organizzativamente indicate in ragione del bisogno rappresenta il principio fondamentale su cui sono organizzati tutti i servizi sanitari fin dalla loro origine»2,p.99. È in questo capitolo che si coglie uno dei passaggi più felici dell’autore quando scrive che in Italia, dove la vicenda di Farmacopoli indicò, almeno sul piano della prescrizione e del consumo dei farmaci, come avrebbe potuto marciare la spesa, «la rivoluzione farmaceutica operata dalla CUF […] costituisce uno degli esempi più limpidi di razionamento esplicito delle prestazioni condotte su basi scientifiche da un organismo tecnico con un preciso mandato politico di contenere la spesa pubblica entro un tetto prefissato»2,p.104.

Nell’ottavo, Una tempesta perfetta?, almeno per quanto riguarda l’Italia, Taroni tenta un bilancio che ci sembra, problematico. Occhieggia qualche proposta innovativa, ma sembra continuare a guardare al “suo” SSN, oggi attaccato in veste nuova. Forse qui si toccano i limiti del libro, che più che limiti sono sue caratteristiche essenziali, quelle cioè di essere pagine che spiegano perché le cose sono andate in un certo modo più che indicarci come potrebbero andare domani. Illustrano dove è volato sinora il calabrone, non cosa potrebbe trovare oltre quel muro.

Tre considerazioni in chiusura.

Prima. Taroni non scrive a vuoto, ha una scrittura quasi michelangiolesca. Spiega il senso della storia. Osserva nelle prime pagine che «sul piano sociale il Ssn, nato dallo scioglimento degli enti mutualistici […] della Carta del Lavoro del 1927, icona del sistema corporativo del sistema fascista e base delle sue politiche sociali, trasformava in un diritto di cittadinanza uniforme per tutti gli italiani in eguali condizioni di bisogno quello che per oltre 50 anni era stato un beneficio limitato ad una parte dei lavoratori occupati e dei loro famigliari, con prestazioni differenziate per categoria professionale e condizionate ai contributi versati secondo il “principio commutativo” proprio dei sistemi assicurativi»2,p.1.

Seconda. Nel libro, per il futuro, manca una parola. «Gli sprechi nel sistema sanitario degli Stati Uniti dovuti all’overtreatment o a cure di non provata efficacia sono stimati tra 75,7 e 101,2 miliardi di dollari», hanno scritto Sankel Dhruva e Rita Redberg su JAMA Internal Medicine3. Si tratta di stime – aggiungono – probabilmente dovute solo a parte della maggiore spesa effettiva perché gli sperperi causano a loro volta costi non necessari, per esempio esami superflui, ovvero altre prestazioni diagnostiche e terapeutiche inutili. Tutto ciò fa aumentare i costi, cresce l’ansia degli utenti, si perde un’infinità di tempo e crescono i rischi per i pazienti. Perché temi come l’overtreatment o la sovradiagnosi, splendidamente trattato nel volume di Gilbert Welch in Sovradiagnosi, non sono affrontati?

La terza considerazione ha un segno un po’ diverso. Molti lettori sanno come funziona e ha sempre disfunzionato il mercato dei farmaci in Italia. Taroni parla anche della riclassificazione dei farmaci in 3 classi nei primi anni Novanta e dell’utilità di questa operazione, ma dei colpevoli quasi non c’è traccia. Il decennio ’90 è stato il periodo dell’operazione “Mani pulite”, anni in cui i cancelli del carcere si aprivano per parecchi uomini d’industria o d’università che in un modo o nell’altro avevano classificato come “utili” farmaci che invece “utili” non erano, favorendone in questo modo le vendite. E non a caso su un argomento siffatto Nerina Dirindin, Chiara Rivoiro e Luca De Fiore hanno pubblicato il volume Conflitti d’interesse e salute4. Della P2 non si fa menzione e così pure di giornali e televisione che in quegli anni, prima dello scandalo, erano stati praticamente sequestrati, in larga misura dall’industria corrotta. Ma di questo Taroni non parla affatto. Si potrebbe dire: ma questo non è argomento del libro. E io risponderei: ma come dimenticare un tema di questa portata, con addentellati d’ogni genere, senza scriverne un paragrafo in questo libro? E, inoltre, sempre in queste pagine, non sono menzionati Nicola Montanaro e Albano Del Favero, per quanto ne so, unici a opporsi alle proposte di Poggiolini in Commissione farmaci prima della CUF? Eppure sono stati autori o coautori di pregevoli libri di informazione e denuncia. Se posso scrivere oggi queste righe lo devo anche a loro.

Bibliografia

1. Balduzzi R. Presentazione. Taroni F. Il volo del calabrone 2019. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2019.

2. Taroni F. Il volo del calabrone 2019. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2019.

3. Dhruva SS, Redberg RF. Successful but underused strategy for reducing low-value care: stop paying for it. JAMA Intern Med 2020; February 10.

4. Dirindin N, Rivoiro C, De Fiore L. Conflitti d’interesse e salute. Bologna: il Mulino, 2018.