C’è modo e modo


Per Stephen Nimer non c’era alcun minuetto. Il suo approccio fu coerente dall’inizio alla fine. Come mi disse mentre io e mia madre uscivamo dal suo studio dopo il primo consulto con lui: «Faccio quel che posso».

Dopo che mia madre morì, quando tentai per la prima volta di raccontare per iscritto quegli avvenimenti, chiesi a Stephen Nimer di spiegarmi il suo punto di vista sulle cose che aveva fatto durante quei primi incontri. «Le ha detto la pura verità, eppure l’ha fatta sentire meglio» fu esattamente così che gli dissi, prima di confessargli che tanto il suo approccio quanto gli effetti che produceva mi erano sempre rimasti totalmente oscuri.

Nimer fu pragmatico, come al solito. «C’è modo e modo di dire le cose» spiegò. «Quando incontrai Susan per la prima volta non faceva che definirsi “in caduta libera”. Non sapevo esattamente cosa intendesse, ma pensai volesse dire che era tutto fuori dal suo controllo, che sentiva di non poter agire in maniera efficace contro il progressivo peggioramento delle sue condizioni. Piuttosto che citare un elenco di statistiche, preferii focalizzarmi sulla reale possibilità che potesse riprendersi. Non capivo perché, o a che pro, sciorinarle una sfilza di numeri. Qualunque cosa io avessi potuto dire non avrebbe cambiato quei numeri. Quel che le serviva sapere era che la situazione non era “disperata”. In ogni caso, sono sempre stato dell’idea che se dico a qualcuno che è ammalato di leucemia, non occorrerà sottolineare il fatto che si tratti di una malattia mortale. Susan lo sapeva già. Lo sanno tutti. Ma con tutti i miei pazienti, compresa lei, sento che, prima di arrivare al momento di morire, chi ho davanti vuole trovare una speranza, un significato e, se possibile, vuole pensare che c’è almeno una probabilità che le cose possano sistemarsi.»





Da: Senza consolazione,
di David Rieff.
Traduzione di Giuseppe Iacobaci.
Mondadori Editore, Milano 2009.
Pagg. 79.