Interventi mini-invasivi nella terapia della pancreatite acuta necrotizzante

In una minoranza di casi una pancreatite acuta (PA) evolve verso una necrosi pancreatica con conseguente rischio di obitus. In queste condizioni è un processo infettivo secondario del tessuto pancreatico o peripancreatico che determina lo sviluppo di una sepsi e di una insufficienza multipla di organo (Whitcomb DC. Acute pancreatitis. N Engl J Med 2006; 354: 2142). In presenza di pancreatite necrotizzante con infezione secondaria del tessuto necrotico è indicata una necrosectomia a cielo aperto al fine di rimuovere il tessuto necrotico infetto, ma si tratta di un intervento che comporta una frequenza di complicazioni dal 34 al 95% e di una mortalità dall’11 al 39% con inoltre rischio di insufficienza pancreatica protratta (Connor S, Alexakis N, Raraty MG, et al. Early and late complications after pancreatic necrosectomy. Surgery 2005; 137: 499).



In alternativa a questo intervento radicale sono seguìti altri criteri meno invasivi, come drenaggio percutaneo o endoscopico transgastrico, necrosectomia “minima” retroperitoneale (Baril NB, Ralls PW, Wren SM, et al. Does an infected peripancreatic fluid collection or abscess mandate operation? Ann Surg 2000; 231: 361). Questi interventi sono solitamente eseguiti con un procedimento graduale (o “step up”), nell’intento di controllare l’infezione senza rimuovere completamente il tessuto necrotico infetto, riducendo il trauma chirurgico dovuto al danneggiamento del tessuto e alla reazione proinfiammatoria sistemica in pazienti già in condizioni critiche (Connor et al, loc cit).
Uno studio clinico randomizzato è stato recentemente condotto per valutare i vantaggi di interventi mini-invasivi a confronto con la necrosectomia radicale in paziente con pancreatite necrotizzante e con tessuto necrotico infetto sospettato o confermato (van Santwoort HC, Besselink MG, Baller OJ, et al, for Dutch Pancreatitis Study Group. A step up approach or open necrosectomy for necrotizing pancreatitis. N Engl J Med 2010; 362: 1491).
Sono stati studiati 88 pazienti assegnati con criterio random a necrosectomia primaria o a trattamento “step up”. Questo trattamento è consistito in drenaggio percutaneo seguìto, se necessario, da necrosectomia minima retroperitoneale; è stato considerato punto di riferimento primario l’insieme di complicanze maggiori (insufficienza multi-organo di nuova insorgenza, complicanze sistemiche multiple sistemiche, perforazione di un viscere, fistola enterocutanea, emorragie) e obitus.
È stato osservato che, a confronto con la necrosectomia a cielo aperto, un intervento mininvasivo graduale consente di ridurre la percentuale delle complicanze maggiori e dell’obitus, come anche delle complicanze a lungo termine, senza contare l’utilizzazione di strutture sanitarie. Gli autori sottolineano inoltre che oltre un terzo dei pazienti trattati con questo criterio ha avuto necessità del solo drenaggio percutaneo, non richiedendo interventi maggiori.
Gli autori ritengono che l’esito favorevole degli interventi mininvasivi può essere spiegato, in primis, dal fatto che la necrosi pancreatica è simile a un ascesso, perché contiene liquido (pus) infetto sotto pressione che peraltro è più agevolmente drenato perché composto esclusivamente da liquido; il semplice drenaggio può essere sufficiente al trattamento del tessuto pancreatico necrotico. È stato rilevato in proposito che, dopo drenaggio, il tessuto necrotico può essere lasciato in situ, come nel caso di pancreatite necrotizzante senza infezione e infatti il 35% dei pazienti trattati con questo metodo non ha avuto necessità di necrosectomia. Inoltre questo procedimento provoca un minore trauma chirurgico, con minore danno tessutale e minore reazione infiammatoria. Ciò sarebbe dimostrato dalla riduzione dell’incidenza di insufficienza multi-organo di nuova insorgenza nei pazienti trattati con procedimento non invasivo.
Gli autori ricordano che, nel tentativo di rimuovere completamente il tessuto necrotico, può essere involontariamente asportato tessuto pancreatico vitale normale e ciò spiega perché, a distanza di tempo, una significativa percentuale di pazienti trattati con necrosectomia presenta un diabete di nuova insorgenza, che si aggrava col tempo, comportando altresì complicanze che influiscono sensibilmente sulla qualità di vita e sulla sopravvivenza.
Nonostante questi positivi risultati, gli autori dichiarano di non avere potuto dimostrare che lo sbrigliamento retroperitoneale video-assistito del tessuto necrotico sia effettivamente superiore alla necrosectomia a cielo aperto nei pazienti nei quali il drenaggio percutaneo non ha avuto successo e ritengono che su questo punto siano necessari ulteriori, più ampi studi.