Prevenzione e trattamento dell’insufficienza renale acuta nei pazienti in Unità di terapia intensiva

Si è recentemente svolta una conferenza internazionale sulla prevenzione e il trattamento dell’insufficienza renale acuta nei pazienti accolti in unità di terapia intensiva (Brochard L, Abroug F, Brenner M, et al. An official ATS/ERS/ ESICM/SCCM/SRLF statement: prevention and management of acute renal failure in the ICU patient. Am J Respir Crit Care Med 2010; 181: 1128).



La conferenza è articolata nella discussione di alcuni problemi.

1) Identificazione dell’insufficienza renale acuta. La conferenza ritiene che il termine “acute renal failure” (letteralmente “insuccesso renale acuto”) debba essere sostituito da quello “acute kidney injury” (“danno renale acuto”), perché più preciso. Inoltre quest’ultimo termine dovrebbe essere sostituito da “acute renal insufficiency” (“insufficienza renale acuta”) (AKI). La conferenza propone di attenersi, per la definizione, ai criteri RIFLE e AKIN ( Bagshw SM, George C, Bellomo R. A comparison of the RIFLE and AKIN criteria for acute kidney injury in critically patients. Nephrol Dial Transplant 2008; 23: 1569).



I criteri RIFLE distinguono 3 categorie:
– “rischio”: creatininemia ≥1,5 x valori basali o riduzione del filtrato glomerulare >25%;  gittata urinaria <0,5 mL/kg/h per ≥6 h;
– “danno”: creatininemia ≥2,0 x valori basali o riduzione del filtrato glomerulare ≥50%, gittata urinaria <0,5 mL/kg/h per ≥12 h;
– “insufficienza”: creatininemia ≥3,0 x valori basali o riduzione del filtrato glomerulare ≥75% oppure creatininemia ≥354 mmol/L con aumento acuto di almeno 44mmol/L; gittata urinaria <0,3 mL/kg/h per ≥24 h oppure anuría ≥12 h.
I criteri AKIN distinguono 3 stadi:
– stadio 1: creatininemia ≥26,2 mmol/L oppure aumento al 150-199% rispetto ai valori basali (1,5-1,9 volte); gittata urinaria <0,5 mL/kg/h per ≥6 h;
– stadio 2: creatininemia a 200-299% rispetto ai valori basali (>2-2,9 volte); gittata urinaria <0,5 mL/kg/h per ≥6 h;
– stadio 3: creatininemia oltre 300% (≥3 volte i valori) basali oppure creatininemia ≥354 mmol/L con un aumento acuto di almeno 44 mmol/L oppure inizio di terapia di sostituzione renale; gittata urinaria <0,3 mL/kg/h per ≥24 h oppure anuria ≥12 h.
La conferenza ritiene che, al momento attuale, la creatininemia e la misura della gittata urinaria, permangano i più validi marcatori di AKI, tenendo peraltro presente che nei pazienti con oliguria o con anuria non si applicano le formule per la valutazione della creatininemia. Si ritiene inoltre che la cistatina C è un marcatore “promettente” quando è necessario valutare rapidi mutamenti nella filtrazione glomerulare. Su questo punto sono necessari ulteriori studi. Nei pazienti non in trattamento diuretico sono ritenute utili la misura della frazione di escrezione di Na + e l’analisi delle urine per distinguere un’AKI dovuta a inadeguata perfusione renale da altre cause renali intrinseche; queste prove hanno limitazioni in pazienti con sepsi.

2) Valutazione della perfusione renale nei pazienti accolti in unità di terapia intensiva. Si propongono misure Doppler per valutare la vitalità renale, determinando se vi è flusso in pazienti con trapianto di rene oppure in anuria e possibile necrosi corticale.

3) Fattori di rischio predittivo di AKI nei pazienti in unità di terapia intensiva. I fattori più importanti sono età, sepsi, interventi di chirurgia cardiaca, infusione di mezzi di contrasto, diabete, rabdomiolisi, preesistenti nefropatie, ipovolemia e shock. Si rimarca che questi fattori di rischio non sono molto utili per suggerire provvedimenti preventivi.
4) Protezione dall’insorgenza di AKI durante ricovero in unità di terapia intensiva. La correzione del deficit di liquidi, pur essendo essenziale, non sempre previene l’insufficienza renale. Secondo gli autori, perché la somministrazione di liquidi prevenga l’AKI è necessario che la patogenesi di questa sia esclusivamente l’ipoperfusione renale (o iperazotemia pre-renale); senonché, spesso la patogenesi è complessa, riconoscendo molteplici meccanismi, come ipovolemia e varie forme di shock; sono citati come esempio sepsi e traumi nei quali l’ipoperfusione renale si associa all’effetto di nefrotossine endogene. Si consiglia, pertanto, di evitare persistente somministrazione di liquidi quando l’emodinamica è considerata soddisfacente.
La conferenza sottolinea, inoltre, la difficoltà di valutare le condizioni della volemia e il flusso ematico renale; pertanto si ritiene che la diagnosi di ipoperfusione renale possa essere fatta soltanto retrospettivamente, basandosi sulla risposta all’infusione di liquidi. Un’altra difficoltà è quella di dosare la quantità di liquidi da somministrare ed è noto che un’insufficiente quantità di liquidi espone il paziente al rischio di insufficiente perfusione del rene e di altri organi, mentre un’eccessiva quantità può indurre edema polmonare e rendere necessaria la ventilazione meccanica.
Per quanto concerne la necessità di rianimazione, gli autori ricordano che attualmente si dispone di risultati non univoci. Fra l’altro non si conosce se si debba mantenere una pressione arteriosa media (PAM) a 65 mmHg o più in pazienti in condizioni critiche per evitare lo sviluppo di un’AKI. Un’altra difficoltà è data dal fatto che la creatininemia ha dei limiti nell’identificare precocemente un’AKI o distinguerla da un’iperazotemia pre-renale. In questi pazienti è raccomandata un’ottimizzazione dell’equilibrio emodinamico, al fine di ridurre la comparsa o la progressione dell’AKI da qualsiasi causa, ottenibile con il ripristino della volemia e con l’uso di vasopressori (vedi in seguito).
La conferenza si sofferma sull’uso di cristalloidi (elettroliti e piccole molecole prive di proprietà oncotiche) e colloidi (contenenti molecole di peso molecolare di solito superiore a 30kDA) nella terapia perfusionale. I cristalloidi esplicano effetto di espansione di volume in base alla loro concentrazione in sodio e si distribuiscono nello spazio extracellulare, per cui soltanto una piccola parte rimane nel sangue circolante. Questa caratteristica spiega il  rischio di edema dei tessuti. Si ricorda che un’acidosi ipercloremica può verificarsi a seguito di infusione di cristalloidi in pazienti chirurgici, mentre nei pazienti in shock un grande volume di cristalloidi può ridurre un’acidosi.
I colloidi possono essere sintetici (gelatine, destrani, idrossi-etil-amidi) e naturali (albumina). A motivo del loro più elevato peso molecolare permangono in circolo più a lungo dei cristalloidi, a meno che non sia aumentata la permeabilità capillare. I colloidi iperoncotici, come destrani, idrossi-etil-amidi e albumina al 20-25%, hanno il maggiore effetto di espansione di volume; i colloidi ipo-oncotici, come gelatine e albumina al 4%, hanno minore effetto. La conferenza riporta i risultati positivi ottenuti con cristalloidi o gelatina nel ridurre l’incidenza di AKI in pazienti in shock, ma anche la ridotta pressione di filtrazione glomerulare dovuta ad aumentata pressione intracapillare e a nefrotossicità intracapillare e a nefrotossicità diretta. Si ritengono pertanto necessari ulteriori studi per valutare gli effetti dei cristalloidi a confronto con i colloidi. Al momento attuale si consiglia di non usare soluzioni iperoncotiche di routine per evitare il rischio di disfunzione renale.
Riguardo all’uso di vasopressori la conferenza consiglia il loro uso nei pazienti con segni di ipoperfusione, come oliguria e persistente ipotensione (PAM <65 mmHg), nonostante adeguata somministrazione di liquidi. Tuttavia si segnala che non vi sono dati che diano la preferenza a un farmaco rispetto ad altri. Pertanto la scelta deve essere fatta in base alle caratteristiche emodinamiche dei singoli pazienti. Si sottolinea che nei pazienti che non debbono avere un intervento chirurgico non è consigliabile l’uso di farmaci vasoattivi per aumentare la portata cardiaca a livelli soprafisiologici per migliorare la funzione renale.
In particolare in queste situazioni è sconsigliata la dopamina a basse dosi.

5) Prevenzione della nefropatia da mezzi di contrasto (NMC). L’insufficienza renale acuta indotta dalla somministrazione endovenosa di mezzi di contrasto è in genere definita da un aumento della creatininemia di oltre 0,5 mg/dL (o il 25%) oltre il livello basale entro 48 ore dopo l’infusione. Il rischio di NMC è in gran parte determinato dalle condizioni della funzione renale prima dell’infusione; infatti la NMC è relativamente infrequente nei pazienti che non sono in condizioni critiche quando la clearance della creatinina non è inferiore a 47 mL/min per 1.73 m 2 di superficie corporea e quando il volume del mezzo infuso non è superiore a due volte il valore basale in mL del filtrato glomerulare. I fattori di rischio di NMC sono: età >75 anni, aumento della creatininemia, anemia, proteinuria, disidratazione, ipotensione, presenza di pallone intra-aortico, contemporanea somministrazione di farmaci nefrotossici, sepsi, diabete, mieloma multiplo, sindrome nefrotica, cirrosi, insufficienza cardiaca congestizia o edema polmonare. Si sottolinea che una situazione di stress ossidativo renale e un’aumentata richiesta di ossigeno (tutte condizioni determinate dai mezzi di contrasto) possono essere aggravate da alterazioni emodinamiche e malattie gravi.
La conferenza non consiglia l’uso di mezzi di contrasto nei pazienti a rischio di AKI e nei quali il rischio è superiore al potenziale beneficio.
È consigliato l’uso di mezzi di contrasto ipo-osmolari o iso-osmolari, da somministrare nel volume più basso possibile. È anche consigliabile o sospendere farmaci nefrotossici o ridurre la dose prima dell’infusione del mezzo di contrasto. Può essere preso in considerazione l’uso di bicarbonato di sodio isotonico, sebbene non vi siano tuttora dati sicuri sul suo effetto preventivo.
Permane ancora controverso l’uso di N-acetilcisteina (NAC) per via orale o endovenosa nella prevenzione della NMC.

6) Prevenzione dell’effetto nefrotossico di antibatterici, antivirali e antimicotici.
I fattori di rischio di AKI indotta da agenti antinfettivi sono: durata della terapia, troppo alto livello di antinfettivo nel siero, preesistente danno funzionale renale, ipoperfusione renale, sepsi e contemporaneo uso di farmaci nefrotossici o potenzialmente tali.
Per prevenire l’insufficienza renale causata da antinfettivi si consiglia di ridurre per quanto possibile l’esposizione del paziente a questi farmaci, adoperandoli solamente quando la loro necessità è sicuramente accertata e riducendo al massimo la durata della loro somministrazione. Quando si usano farmaci di cui è nota la clearance renale, la dose deve essere regolata secondo i valori della clearance della creatinina. È da tenere presente che nei pazienti in condizioni critiche l’identificazione della dose corretta (compresa quella iniziale) dipende da un occasionale aumento della clearance renale dovuto a una condizione iperdinamica o da una frequente espansione del volume di distribuzione del farmaco che può dar luogo a una sua concentrazione subterapeutica con conseguente necessità di aumentare le dosi. In linea generale è consigliato di dare la precedenza a un pronto trattamento di un’infezione che può compromettere la sopravvivenza sopra qualsiasi considerazione di potenziale nefrotossicità.
Nel caso di nefrotossicità dovuta a vasocostrizione renale (amfotericina B), ostruzione glomerulare (foscarnet) e ostruzione tubulare (sulfamidici, aciclovir, ganciclovir e indanavir) il sovraccarico di volume può ridurre la nefrotossicità. Si consiglia in particolare, l’uso del probenecid nella prevenzione del danno renale da cidofovir.
7) Prevenzione del danno renale in alcune situazioni specifiche.
a) Insufficienza epatica. L’incidenza di AKI è elevata nella cirrosi a causa della predisposizione del paziente alle complicazioni, quali emorragie da ipertensione portale e sepsi e da vari farmaci. Sono riportate recenti osservazioni che hanno indicato un’incidenza di AKI di oltre il 98% in pazienti con cirrosi con sindrome epatorenale o con necrosi tubolare acuta. La conferenza ricorda in proposito che i pazienti con cirrosi presentano anomalie emodinamiche, come vasodilatazione splancnica con ridotto volume ematico arterioso circolante effettivo, aumentata attività simpatica con aumentata attività del sistema renina-angiotensina e predisposizione cardiaca con conseguente vasocostrizione arteriosa renale. Nella prevenzione e nel trattamento dell’AKI in condizioni di insufficienza epatica si consigliano il precoce riconoscimento e il trattamento di sepsi, ipertensione, emorragie, aumentata pressione intraddominale e di evitare farmaci nefrotossici, come gli aminoglicosidi. L’espansione del volume con albumina riduce il rischio di danno renale nei pazienti con peritonite e durante paracentesi di voluminosa ascite. In caso di sindrome epatorenale sono utili vasopressori e albumina per correggere la disfunzione renale.
b) Danno polmonare. Nei pazienti con AKI e sindrome da danno polmonare acuto (ALI: “acute lung injury”) o con sindrome da distress acuto respiratorio (ARDS: “acute respiratory distress syndrome”) è consigliata ventilazione meccanica con basso volume corrente e pressione sulle vie aeree superiore a 30 cm H2O.
c) Chirurgia cardiaca. I fattori di rischio di danno renale sono ipotensione intraoperatoria, infiammazione, microemboli secondari a bypass cardiopolmonare, farmaci, stress ossidativo ed emolisi. Nei pazienti richiedenti terapia sostitutiva renale i fattori di rischio di AKI in occasione di chirurgica cardiaca sono disfunzione ventricolare sinistra, diabete, vasculopatie periferiche, broncopneumopatia cronica ostruttiva, contro-pulsazione aortica, sesso femminile, bypass cardiopolmonare, ipercreatininemia preoperatoria.
La conferenza riconosce le difficoltà di dare consigli in queste situazioni, ma ritiene che la riduzione della durata del bypass cardiopolmonare possa ridurre il rischio di AKI.
d) Sindrome da lisi tumorale. Si ricorda che questa sindrome è caratterizzata da alterazioni metaboliche conseguenti a rapida distruzione di cellule neoplastiche e rilascio acuto di ioni intracellulari, acidi nucleici, proteine e loro metaboliti nello spazio extracellulare, tutti eventi che si verificano dopo inizio di chemioterapia. I fattori di rischio sono neoplasie maligne linfoproliferative altamente sensibili alla chemioterapia, preesistente disfunzione renale, trattamento con farmaci nefrotossici.
Conseguenze di questa sindrome sono ipocalcemia, iperuricemia, iperpotassiemia, acidosi metabolica e AKI prevalentemente oligo-anurica e iperfostatemia. Questi eventi possono essere aggravati da deplezione di volume.
Le misure preventive includono un “aggressivo” carico di liquidi, diuretici per mantenere un’elevata gittata urinaria e allopurinolo. Il alcuni pazienti sono consigliati il trattamento delle anomalie elettrolitiche, una intensa idratazione e una terapia sostitutiva renale, preferibilmente continua.
e) Rabdomiolisi. Nei pazienti con creatininemia >150 μmol/L o con creatin-chinasi >5000 U/L è necessario uno stretto controllo della funzione renale.
È consigliata un’idratazione intensiva con cristalloidi isotonici, dopo ripristino della volemia, al fine di mantenere una notevole gittata urinaria, regolando il pH urinario tra 6,5 e 7. L’emofiltrazione veno-venosa continua può essere utile per rimuovere la mioglobina dal circolo, ma non vi sono dati sufficienti per consigliarne l’uso sistematico.
f) Aumento della pressione endoaddominale. La conferenza ricorda che l’aumento della pressione endoaddominale (PEA), o ipertensione endoaddominale (IEA), è causa di disfunzione renale indipendentemente associata a mortalità. È riportata una recente definizione della IEA: ripetuto o prolungato aumento di PEA uguale o superiore a 12 mmHg.
Un aumento di PEA oltre 20 mmHg, associato a disfunzione o insufficienza di organo di nuova insorgenza è definito sindrome del compartimento addominale (SCA). La pressione di perfusione addominale (PPA) è la differenza tra pressione arteriosa media (PAM) e PEA; questo parametro è un valido indicatore della perfusione degli organi addominali e si ritiene che la funzione renale sia più sensibile all’aumento della PEA che alla diminuzione della PAM, perché il gradiente di filtrazione (GF) renale è proporzionale al valore di PAM meno il doppio della PEA (GF = PAM-2.PEA) ( Malbrain ML, Cheatham ML, Kirkpatrick A, et al. Results from the International Conference of Experts on Intra-addominal Hypertension and Abdominal Compartment Syndrome. I. Definitions. Intensive Care Med 2006; 35: 1722).



Premessa la necessità di ulteriori studi clinici controllati, la conferenza indica gli interventi adottati nei pazienti con IEA prolungata e disfunzione d’organo: 1) aumentare la compliance della parete addominale con sedazione o analgesia, blocco neuromuscolare e/o modificazione della posizione, 2) evacuazione dei contenuti addominali con decompressione naso-gastrica, decompressione rettale e uso di farmaci procinetici, 3) decompressione percutanea di anormali raccolte di liquidi e 4) ottenere un bilancio positivo dei liquidi con restrizione di liquidi, diuretici e emodialisi/ultrafiltrazione.
8) Trattamento dei pazienti in condizioni critiche che presentano un’AKI. La conferenza sottolinea l’importanza di evitare l’ipovolemia e quindi la necessità di somministrare liquidi rapidamente. A questo proposito viene sottolineato l’effetto benefico della soluzione fisiologica per attenuare il potenziale nefrotossico di alcuni farmaci, come aminoglicosidi e amfotericina, mentre si richiama l’attenzione sull’effetto nefrotossico che possono assumere i colloidi e gli amidi. La mancata riduzione della creatininemia dopo infusione di liquidi è segno di disfunzione renale.
I diuretici possono essere usati per valutare la risposta del rene al carico liquido, ma dovrebbero essere sospesi se  non vi è risposta per evitare effetti indesiderati, come ototossicità. Si sottolinea comunque che i diuretici non riducono morbilità e mortalità, né migliorano il decorso.
La sospensione di farmaci nefrotossici è considerata fondamentale nel trattamento dei pazienti. In particolare debbono essere sospesi gli antinfiammatori non steroidei.
Si ricorda che nell’AKI è compromessa l’autoregolazione della perfusione renale e pertanto va corretta l’ipotensione con segni di shock mediante infusione di liquidi e, se richiesti, con vasopressori. In genere la PAM va mantenuta a ≥65 mmHg.
Per quanto concerne l’uso della dialisi come mezzo di supporto renale, si ricorda che questa non consente di raggiungere il livello di omeostasi del rene normalmente funzionante. Si sottolinea inoltre che: 1) l’AKI che si verifica in unità di cura intensiva comporta spesso alterazioni di molti organi e può associarsi ad ARDS, edema polmonare ed encefalopatia, 2) l’aumentato catabolismo associato all’AKI e la conseguente necessità di adeguato apporto nutrizionale può fare aumentare la produzione di urea, 3) è spesso difficile limitare l’apporto di liquidi, ad esempio per la necessità di somministrare antibiotici e vasopressori per via venosa e 4) i pazienti in condizioni critiche sono più sensibili a disfunzioni metaboliche, alterazioni dell’equilibrio acido-base e squilibrio elettrolitico. Pertanto in queste eventualità può non essere adeguato un supporto renale.
La conferenza ricorda che i pazienti in condizioni critiche e con AKI si trovano in uno stato catabolico e che la dialisi intermittente comporta una perdita da 6 a 8 g di proteine e aminoacidi al giorno che sale a 10-15 g in condizioni cardiovascolari associate. In queste situazioni si consiglia un apporto di proteine fino a 20 g/kg al giorno.

g) Anticoagulazione. I pazienti con insufficienza renale acuta e richiedenti dialisi presentano varie forme di disordini dell’emostasi. Nei pazienti con AKI che si trovano in stato di anticoagulazione per una condizione clinica associata non è consigliata una terapia anticoagulante aggiuntiva. Nei pazienti che si trovano a rischio di emorragia si consiglia una terapia sostitutiva renale continua senza anticoagulazione. In quelli a rischio emorragico e senza insufficienza epatica nei quali è necessaria anticoagulazione è consigliabile un’anticoagulazione regionale con citrato; in questi casi è necessario uno stretto monitoraggio metabolico. Nei pazienti con un moderato rischio emorragico, quando sono presenti frequenti coaguli nei filtrati, si consiglia eparina non frazionata o eparina a basso peso molecolare. Nei pazienti con trombocitopenia indotta da eparina è consigliato orgatroban.

10) Dialisi intermittente nei pazienti con AKI. È consigliato l’uso di dializzato con concentrazione di ≥145 mmol/L e temperatura tra 35 e 37 °C. Nei pazienti con instabilità emodinamica si consiglia di iniziare con dialisi intermittente, senza ultrafiltrazione, regolandola secondo la risposta emodinamica. Si consiglia il raggiungimento di uno stato isovolemico con infusione di liquidi. In questi pazienti emodinamicamente instabili si consiglia di ridurre l’ultrafiltrazione e un aumento della durata delle sessioni. Non è consigliato l’uso di dializzato tamponato con acetato nella dialisi intermittente.

11) La terapia sostitutiva renale nei pazienti con AKI.
Nei pazienti in condizioni critiche è consigliato l’inizio di questa terapia prima che si manifestino gravi anomalie metaboliche o altri gravi eventi. In caso di dialisi intermittente o di dialisi prolungata a bassa efficienza si consigliano clearance uguali a quelle richieste nell’insufficienza renale cronica. Nella terapia sostitutiva renale continua la clearance consigliata dei soluti di piccolo peso molecolare è di 20 mL/kg/ora. La terapia sostitutiva renale continua può essere presa in considerazione nei pazienti con edema cerebrale, grave instabilità emodinamica, persistente acidosi e necessità di rimuovere grandi quantità di liquidi. Nei pazienti con sepsi o shock settico, ma senza insufficienza renale, è consigliata l’emofiltrazione di elevati volumi.