Un dottissimo medico

Questo dottissimo medico, che aveva ottenuto, tramite altissime protezioni, di esser messo in servizio in questo ospedale, considerava le sue sale come una specie di luogo di prove dove sui poveri venivano sperimentati i trattamenti che, dopo, egli applicava ai ricchi clienti, non osando mai su questi un nuovo sistema di cura, se non dopo averlo ripetutamente provato e riprovato in anima vili, come lui diceva con quella ingenua barbarie in cui può sfociare la cieca passione per il mestiere e soprattutto l’abitudine e la possibilità di esercitare, senza paura o controllo su una creatura di Dio, ogni folle tentativo, ogni dottissima fantasia di una mente incline alle scoperte.




Così, per esempio, quando il dottore voleva accertarsi dell’effetto comparativo di una nuova ed assai azzardosa medicina, per poterne trarre indici favorevoli a questo o quel sistema:
prendeva un certo numero di malati.
Trattava questi con il nuovo sistema.
Gli altri col vecchio.
In certi casi abbandonava gli altri alle sole forze della natura...
Dopo di che contava i sopravvissuti...
Questi terribili esperimenti erano, a dirla con belle parole, un sacrificio umano sull’altare della scienza.

Il dottor Griffon non ci pensava affatto.
Agli occhi del principe della scienza, come suol dirsi ai giorni nostri, i malati del suo ospedale non erano che materia di studio e di esperimenti e siccome, dopo tutto, talvolta dai suoi esperimenti risultava un fatto utile o una scoperta scientifica, il dottore si mostrava ingenuamente soddisfatto e trionfante come un generale dopo una vittoria che sia costata numerosi soldati.

Da: I misteri di Parigi,
di Eugène Sue1.
Traduzione di G.F. Baldereschi.
Gherardo Casini Editore, Roma, 1965.
Pagine 1470-1471.


1Il nome che ho l’onore di portare e che mio padre, mio nonno, mio prozio e il mio bisavolo (uno degli uomini più eruditi del diciassettesimo secolo) hanno reso celebre con magnifici ed importanti lavori pratici e teorici in ogni ramo della medicina, dovrebbe impedirmi il minimo attacco o irriflessiva allusione sui medici, anche se la gravità dell’argomento trattato e la giusta e sconfinata celebrità della scuola medica francese non vi si opponessero. Creando il dottor Griffon, ho soltanto voluto personificare uno di quegli individui sì rispettabili ma che talvolta si lascian trasportare dalla passione per il lavoro e gli esperimenti, a gravi abusi del potere medico, se mi è permesso esprimermi così, dimenticando qualcosa ancora più sacro della scienza: l’umanità.