Coronariopatia asintomatica in pazienti con ictus ischemico

Gli eventi coronarici sono considerati un’importante causa di morbilità e mortalità nei pazienti che hanno avuto un’ictus o un attacco ischemico cerebrale transitorio (TIA: “transient ischemic attack). Pertanto la valutazione dei fattori di rischio è ritenuta importante in questi soggetti. Tuttavia le classiche prove non invasive eseguite per identificare un’ischemia coronarica silente presentano relativamente basse sensibilità e specificità. L’introduzione della tomografia computerizzata a 64 strati (CT-64) ha consentito di ottenere una sensibilità >85% e una specificità >95% nell’identificazione di lesioni coronariche con stenosi maggiore del 50%.



Uno studio sulla prevalenza di oltre il 50% di coronaropatia stenosante asintomatica rivelata con CT-64 è stato condotto su 274 pazienti con ictus ischemico non cardioembolico non debilitante o con attacco ischemico transitorio e con assenza di coronaropatie nell’anamnesi remota (Calvet D, Touzè E, Varenne O, et al. Prevalence of asymptomatic coronary artery disease in ischemic stroke patients. The PRECORIS Study. Circulation 2010; 121: 1623).
È stato osservato che il 18% dei pazienti di età tra 45 e 75 anni, con ictus ischemico non embolico e non debilitante presentava una coronaropatia asintomatica con stenosi ≥50%.
Gli autori ritengono giustificato seguire i consigli dell’American Heart Association e dell’American Stroke Association secondo cui i pazienti con ictus o TIA, che hanno un rischio a 10 anni di oltre il 20% di cardiopatia, devono essere esaminati con prove non invasive per identificare una coronariopatia asintomatica (Adams RJ, Chimowitz MI, Alpert JS, et al. Coronary risk evaluation in patients with transient ischemic attack and ischemic stroke: a scientific statement for healthcare professionals from the Stroke Council and the Council of Clinical Cardiology of the American Heart Association/American Stroke Association. Stroke 2003; 34: 2310).
Gli autori osservano peraltro che i pazienti inclusi nel loro studio sono stati esaminati per coronariopatia asintomatica subito dopo l’episodio ischemico e ciò non consente di conoscere se l’impatto dei fattori convenzionali di rischio sia simile nei pazienti esaminati molti anni dopo l’evento ischemico. Gli autori ricordano in proposito che molti studi hanno confermato il valore dell’indice pressorio caviglia-braccio (ABI: “ankle-brachial index”) come attendibile e accurato marcatore di arteriosclerosi generalizzata; nella casistica degli autori la prevalenza di oltre il 50% di coronariopatia asintomatica è risultata più elevata nei soggetti con ABI ridotto.
Viene sottolineata l’importanza della gravità di una stenosi cervicocefalica e dell’estensione di arteriosclerosi cervicocefalica quale indice predittivo di coronariopatia asintomatica; questo dato conferma precedenti osservazioni autoptiche sull’associazione tra lesioni arteriosclerotiche cervicocefaliche e coronariche (Gongora-Rivera F, Labreuche J, Jaramillo A, et al. Autopsy prevalence of coronary arteries in patients with fatal stroke. Stroke 2007; 38: 1203). Gli autori ricordano inoltre che alcuni studi hanno indicato che una stenosi carotidea asintomatica è un fattore indipendente di rischio di infarto miocardico e che i pazienti con arteriosclerosi carotidea bilaterale sono maggiormente predisposti a infarto miocardico e alle sue complicanze. Queste osservazioni consigliano un’accurata valutazione dell’arteriosclerosi cervicale e intracranica per identificare una coronariopatia asintomatica nei pazienti che hanno avuto un ictus o un TIA e dimostrano la natura sistemica dell’arteriosclerosi, per cui un danno arteriosclerotico in un territorio è in correlazione con un danno asintomatico in un altro organo.