Ambulatorio del secondo parere:
è curabile la “ Babel-web syndrome”?
Caro direttore,
il secondo parere (nel mondo anglosassone: “second opinion”) non è un concetto recente, ma proclamato ed invocato fino dagli anni 70 negli ospedali americani, allo scopo di ridurre il costo (assicurativo, privato) della salute dei pazienti, migliorando il target di diagnosi e terapia e, per quanto possibile, i tempi di guarigione. Una ricerca su banche dati mediche ci ha consentito di constatare che second opinion è particolarmente richiesta su casi di diagnostica istopatologica, oltre che su pazienti neurologici e neuroradiologici, oncologici, ginecologici, urologici, gastroenterologici, internistici, maxillo-facciali e odontoiatrici 1-4.
Un recente contributo italiano5 riprende il tema della richiesta del secondo parere in oncologia, dove la comunicazione corretta tra paziente, oncologo, specialisti e medici di famiglia può contribuire ad un delicato ed essenziale equilibrio che soddisfi le aspettative del paziente, moderandone le ansie.

Il problema del secondo parere è divenuto, in questi anni, assai cogente in funzione della larga e intensa utilizzazione di internet da parte dei pazienti. Abbiamo definito tale eccesso di consultazioni internet: “web-sindrome di Babele”, proprio per la eterogeneità di informazioni offerte dal web, che spesso disorientano il malato nel percorso autodidattico. Nella primitiva accezione (anni ’90), la sindrome di Babele si configurava come mancanza di dialogo comprensibile fra medico e paziente; a tale incongruenza, modernamente, il web ha contribuito con ulteriore aggravante di una congerie di informazioni assai difformi e non opportunamente filtrate.

Nella scelta autogestita di un secondo parere, entrano quindi in campo tre elementi principali di orientamento, anche in base al grado di cultura delle persone coinvolte: 1) la notorietà di medici e/o delle istituzioni, talvolta acquisita occasionalmente in situazioni contingenti; 2) espedienti pubblicitari e promozionali multimediali atti a enfatizzarne l’autorevolezza; 3) Internet: panorama globale, non solo delle possibilità attuali, ma anche di quelle in divenire.
Affinché un “Ambulatorio del secondo parere” si fondi su operatori dalle solide basi scientifiche, professionali e di ricerca, occorre che l’organizzazione sia affidata a un clinico o a un team di clinici con provata esperienza, ampia integrazione interdisciplinare, approfondita conoscenza di istituzioni e di Centri di ricerca, nazionali e internazionali. Ed una struttura di “secondo parere” non può prescindere anche dalla ricerca problem-solving, nell’ambito di una appropriata logistica clinica territoriale, offrendo opportunità aggiuntive di monitoraggio ed assistenza domiciliare. Per tali compiti è indispensabile che disponga di un ulteriore staff di biologi o biotecnologi.

“L’ambulatorio del secondo parere” (che noi vorremmo nascesse come spin off dell’Università, finalità tuttaltro che universalmente accettata) dovrebbe infine realizzare ricerche demoscopico-epidemiologiche sui consulti richiesti e fungere da avanzato avamposto di terapie innovative nutrite dalla EBM.

Vincere la “Babel web syndrome”, cioè la indeclinabile e indecifrabile barriera tra gli specialisti della medicina del terzo millennio, è la vera, primaria sfida di un ambulatorio del secondo parere.

Cordiali saluti.

Beniamino Palmieri,
Stefania Capone,
Gregorio Fistetto

stefycapone@hotmail.it
Bibliografia
1. Sikora K. Second opinions for patients with cancer. BMJ 1995; 311: 1179-80. 2. Wijers D, Wieske L, Vergouwen MD, Richard E, Stam J, Smets EM. Patient satisfaction in neurological second opinions and tertiary referrals. J Neurol 2010; 257: 1869-74. 3. Zan E, Yousem DM, Carone M, Lewin JS. Second-opinion consultations in neuroradiology. Radiology 2010; 255: 135-41. 4. Jones K, Jordan RC. Patterns of second-opinion diagnosis in oral and maxillofacial pathology. Oral Surg Oral Med Oral Pathol Oral Radiol Endod 2010; 109: 865-9. 5. Cifaldi L, Felicetti V, Cristina G. La richiesta di un secondo parere in oncologia: sfiducia o bisogno? Recenti Prog Med 2010; 101: 299-302.