Il filo spezzato
L’incubo che ho messo in bella copia per lei le ha fatto bene. Il mal di testa oggi è stato a raffiche, dice, violente. Si accanivano su un punto quasi a volerlo sradicare, poi su un altro, senza pause, con la stessa ferocia. Ora il vento si è ritirato nel bosco e da lontano si sente appena un sottofondo sordo, ovattato. Ma fino a poco fa, mi prega di crederle, il dolore mordeva come un lupo e solo adesso i denti hanno mollato la carne della preda. L’antica fabulatrice mi racconta l’andatura dell’animale battuto, mentre va via coda tra le zampe e ancora si volta a guardare indietro, con le orecchie basse.
È stato qualcosa che le ho detto a scacciarlo, ma non ricorda. Glielo suggerisco. Ride agli agnelli che hanno sbaragliato lupo, vento, emicrania. Agnus et lupus.
L’aiuto a cercare la scatola di latta dove tiene gomitoli e uncinetto. Ci perdeva il sonno, ha confezionato tovaglie, tende, centrini di ogni forma. Seguiva schemi molto complessi su Tuttofilet. Nel mio armadio giace un prezioso copriletto bianco lavorato con il filo La Freccia numero sedici, non l’ho mai usato perché temo di rovinarlo. (…) È composto di settecento pezzi esagonali con una rosellina in rilievo, uniti tra loro e contornati da una frangia... Ha impiegato due anni usando tutto il tempo che le lasciava le mani libere: la sera davanti al fuoco, le ore quotidiane di pecore al pascolo, la sala d’aspetto del medico. Non ci badavo a quel lavorio continuo.
Non le ho detto nemmeno grazie.

Solleva il coperchio dei biscotti danesi, tira fuori una lunga catenella e sopra maglie alte, basse o bassissime si alternano a caso. Dove si è trovata troppo in difficoltà ha spezzato il filo e ha ricominciato, si vede dai nodi. È la tela di un ragno impazzito.
Trovami un disegno, chiede. Abbiamo già provato, anche i più semplici le sfuggono. Il filo diventa estraneo, ostile. Disubbidisce, fa i dispetti, non è più suo. Le comanda cose strane, non è sicuro. (…)
Quando morirà, sprofonderò nella colpa che mi vado costruendo giorno per giorno. Sarà pronta per il suo funerale.
La colpa è vuota. È il vuoto delle mie omissioni. Ometto l’amore, le mani. La cura di cui più ha bisogno, lascio che le manchi.
Le somministro la sua storia e ogni dodici ore la memantina idro cloruro da dieci milligrammi, compresse di­visibili, con la moderata speranza che rallenti la degenerazione dei neuroni.

Da: Mia madre è un fiume,
di Donatella Di Pietrantonio.
Elliot Edizioni, Roma 2010.
Pagg. 66-68.