Medicina e letteratura: un’antologia
Paura di vivere,
più che di morire

Invece sono tornato. Quel pomeriggio era sveglia e anche abbastanza lucida. Era solo un po’ ubriaca di morfina, nel senso che strascicava le parole. «Ben», mi ha sorriso, «non avevi un concerto a Ferrara?» Facevo finta di niente.
Le ho dato un bacio. Poi mi sono messo a sistemare le rose che le avevo portato, in un vaso. «Di chi sono quelle rose? Chi me le ha mandate?». Mi sono voltato di scatto: «Come chi te le ha mandate? Te le ho portate io». «Grazie.»… Poi Anna mi ha chiesto una sigaretta. «Stanno nel comodino», ha detto. «Qui non puoi», ho risposto. «Invece posso», insisteva. «Tanto chi arriva in questo posto non ha più nulla da perdere. Si può anche fumare, chiedilo alle infermiere.» lo ho perso la testa. Prenditi queste schifose sigarette, pensavo. Volevo tirargliele addosso. Fumatene quaranta. Però mi sono trattenuto. «Tieni», ho sbuffato.
Non ce l’ha fatta. Dopo due tiri tossiva e non riusciva a respirare. Quando si è ripresa, mi ha chiesto se potevamo ascoltare qualcosa insieme e ha indicato i CD con il mento. «La musica mi fa bene», ha detto, «oggi sto meglio.» Le ho chiesto cosa voleva sentire. «Scegli tu», ha risposto. Ho preso Brahms. Lei ha riconosciuto il Quintetto alla prima nota. «Il clarinetto», mi ha sorriso.
Poi ha cominciato a fare un discorso un po’ confuso. Voleva spiegarmi la sua scelta, la scelta di non curarsi, insomma. Forse avrebbe potuto rosicchiare qualche mese in più, d’accordo. E avrebbe potuto avere il tempo di studiare la musica barocca… Forse la sua non era stata una scelta coraggiosa, diceva, ma non era pentita. «Sai», mi guardava, «non è mica un mestiere che puoi fare così, senza forza fisica… E io ho avuto paura. Di vivere, più che di morire. Di vivere senza la mia voce, capisci.»
Ho spento lo stereo. Cercavo di pensare a una risposta. Ma non ho avuto il tempo di aprire bocca. Anna ha sollevato il busto con un movimento convulso, si è piegata in avanti di scatto e ha sputato sangue sul lenzuolo. Teneva gli occhi bassi e cercava di pulirsi la bocca. «Brahms», ha detto, «voglio Brahms.»
Sono uscito di corsa a chiamare le infermiere, ero terrorizzato. «Aiuto! Sputa sangue!» Sono arrivate subito. Garbatamente, per la seconda volta, mi hanno chiesto di non gridare, per favore. «Per gli altri pazienti, sa.»
Le hanno cambiato il lenzuolo e le hanno chiesto se aveva male da qualche parte. Anna si è toccato il petto. «Sento un bruciore allo sterno», ha spiegato. «Posso avere un po’ di crema?» La pomata è arrivata subito. Anna mi ha guardato. «Ben? Mi puoi fare un massaggio?» Si è aperta la camicia da notte e io l’ho accarezzata per l’ultima volta.

Da: Il sorriso lento,
di Caterina Buonvicini.
Garzanti, Milano 2010.
Pagg. 136-138.