Dalla letteratura
In collaborazione con l’Associazione Alessandro Liberati – Network Italiano Cochrane
www.associali.it


Registrazione degli studi clinici e divulgazione dei risultati

Riportare parzialmente e in modo errato i risultati di una ricerca è un fenomeno che si presenta da più di due decenni nel mondo scientifico e che è ormai sotto gli occhi di tutti (Chalmers I. Proposal to outlaw the term ‘negative trial’. BMJ 1985; 290: 1002; Dickersin K, Chalmers I. Recognising, investigating and dealing with incomplete and biased reporting of clinical research: from Francis Bacon to the World Health Organisation. JRSM 2011; 104: 532-8). Questa “cattiva condotta” nella ricerca, in inglese research misconduct, determina conseguenze enormi, poiché porta a sovrastimare, per esempio, i benefici provenienti da una terapia, sottostimandone gli effetti collaterali. In altre parole mette in serio pericolo la vita dei pazienti, sprecando al contempo preziose risorse in campo sanitario. Molte delle critiche si sono concentrate sugli studi clinici finanziati dall’industria, ma i primi esempi della non pubblicazione dei risultati negativi di uno studio provengono invece proprio dal mondo accademico, che non ha fatto meglio dell’industria nel cercare di migliorare il proprio comportamento negli anni successivi ( Chalmers I. Underreporting research is scientific misconduct. JAMA 2010; 263: 1405-1408). 


Il fenomeno dell’under-reporting

La registrazione degli studi clinici consente di stimare le reali dimensioni di questo fenomeno (under-reporting in inglese) e descriverne le caratteristiche. Soltanto la metà di tutti gli studi clinici registrati riporta almeno alcuni dei risultati, e questo livello di under-reporting è presente in molte tipologie di studi clinici, in diverse fasi del loro sviluppo, a prescindere dalla loro dimensione, sia che siano nazionali o internazionali, e sia che vengano finanziati o meno dall’industria farmaceutica.
Questa consuetudine è particolarmente grave, perché non tiene conto che i pazienti che partecipano volontariamente ad uno studio clinico credono di poter contribuire realmente all’avanzamento della conoscenza medica. Non pubblicare i risultati dello studio non solo nega tale ragionevole assunzione, ma tradisce anche le loro aspettative e distorce la base dell’evidenza su cui si fondano le decisioni cliniche.


Dalla parte del paziente

In un articolo pubblicato sul BMJ, Alessandro Liberati (pioniere dell’EBM in Italia e fondatore del Network Cochrane Italiano, scomparso da poco più di un anno) protestava già nove anni fa per il fatto che i risultati non pubblicati degli studi clinici avrebbero potuto influenzare le sue scelte terapeutiche come paziente affetto da mieloma multiplo: «Perché sono stato costretto a prendere una decisione clinica consapevole dell’esistenza da qualche parte di ulteriori evidenze che non fossero comunque disponibili? C’è stato un ritardo nella loro pubblicazione perché i risultati erano meno interessanti di quanto ci si aspettasse? O perché il campo della ricerca sul mieloma, sempre in continua evoluzione, guarda al momento a nuove stimolanti teorie (o farmaci)? Fino a quando possiamo tollerare il comportamento “a farfalla” dei ricercatori, che saltano da un fiore all’altro ben prima che il primo venga svuotato completamente» ( Liberati A: An unfinished trip through uncertainties. BMJ 2004; 328: 531).
Anche importanti studi accademici, sponsorizzati da autorevoli istituzioni, non sono stati pubblicati; un esempio è rappresentato da un grande studio sull’adenoidectomia, finanziato dall’UK Medical Research Council, i cui dati sono rimasti nascosti per più di un decennio dalla sua conclusione prima di essere finalmente resi pubblici (MRC Multicentre Otitis Media Study Group. Adjuvant adenoidectomy in persistent bilateral otitis media with effusion: hearing and revision surgery outcomes through 2 years in the TARGET randomised trial. Clin Otolaryngol 2012; 37: 107-116). E proprio nello stesso numero del BMJ, dal quale è tratto l’articolo che stiamo commentando (Chalmers I, Glasziou P, Godlee F. All trials must be registered and the results published. BMJ 2013; 346: f105 doi: 10.1136/bmj.f105), viene riportato il caso degli accademici statunitensi che non hanno pubblicato, come da protocollo di ricerca, i dati sul follow-up di uno studio sulla biopsia del linfonodo sentinella nel melanoma maligno.


Le spiegazioni possibili

Perché gli studi accademici non vengono pubblicati? Una delle cause è che spesso le riviste accettano soltanto studi con risultati positivi. Tuttavia l’evidenza indica che sono gli stessi autori e sponsor a non inviare i report da pubblicare alle riviste. Quali sono le motivazioni che spingono a comportarsi in questo modo anche autori e sponsor di studi clinici “non commerciali”. Tra le varie risposte, la perdita di interesse o il trasferimento presso una nuova istituzione, l’avvio di nuovi progetti, la scarsa organizzazione, le risorse inadeguate, il cosiddetto “blocco dello scrittore” o il rifiuto di accettare i risultati negativi di uno studio perché capaci di ledere la propria reputazione nel mondo scientifico. Nonostante le ingenti somme di denaro andate sprecate, è mancato un impegno sistematico per monitorare l’entità del fenomeno della non pubblicazione e ricercarne al contempo le cause.
Le responsabilità degli autori sono chiare: la dichiarazione di Helsinki non lascia infatti alcuno spazio all’ambiguità. Essa stabilisce che «gli autori hanno il compito di rendere pubblicamente disponibili i risultati della loro ricerca sui soggetti umani e sono responsabili della completezza ed accuratezza dei loro documenti… i risultati negativi e inconclusivi, al pari di quelli positivi, dovrebbero essere pubblicati o altrimenti resi pubblicamente disponibili» (World Medical Association: Ethical principles for medical research involving human subjects. www.wma.net/en/30publications/ 10policies/b3/).


Le azioni da intraprendere
Tuttavia è improbabile che il comportamento degli autori cambi senza un’azione risoluta e sinergica da parte dei comitati etici, delle istituzioni ospitanti lo studio e dello sponsor finanziatore.
Sebbene tempo fa fosse stato richiesto ai comitati etici di comportarsi per l’appunto ‘eticamente’, assicurando che i risultati degli studi venissero pubblicati, essi non hanno intrapreso alcun provvedimento nei confronti degli studi ‘affetti’ da under-reporting né agito per arginare tale fenomeno.
Le istituzioni accademiche e gli sponsor della ricerca hanno entrambi fallito nelle loro responsabilità. Esistono tuttavia delle eccezioni: il 98% degli studi finanziati dal National Institute for Health Research Technology Assessment Programme ha portato alla pubblicazione della documentazione completa (i cosiddetti “full reports”) (Ruairidhy Milne, comunicazione personale). Questo obiettivo è stato raggiunto trattenendo una parte dei fondi per la ricerca fino all’invio dei report per la pubblicazione, sollecitando costantemente gli autori e dando la possibilità a tutti gli studi di essere pubblicati nella rivista Health Technology Assessment.
Questo rappresenta un chiaro esempio di quali azioni possono e dovrebbero essere intraprese. Grazie alla registrazione pubblica degli studi e alla disponibilità di informazioni dettagliate, adesso sarà possibile identificare sponsor ed istituzioni che continuano a riportare parzialmente i risultati dei propri studi.
Prima di confermare la propria partecipazione a uno studio clinico, i pazienti dovrebbero valutare i comportamenti attuati precedentemente dalle istituzioni e dagli sponsor coinvolti, e rifiutarsi di partecipare in assenza di una garanzia scritta, in base alla quale i risultati completi dello studio saranno resi pubblicamente disponibili e gratuitamente accessibili.

Eliana Ferroni