Medicina e letteratura: un’antologia




Un caso di rabbia contro l’universo
Un’amica il cui marito morì quasi all’istante di un ictus intorno ai cinquantacinque anni mi disse di essere arrabbiata non con lui, ma con il fatto che lui non lo sapeva. Non sapeva che sarebbe morto e non aveva avuto il tempo di prepararsi, di salutare lei e i figli. È un caso di rabbia contro l’universo. Contro l’indifferenza, quella della vita, che si limita ad andare avanti fino al momento in cui si limita a finire.
La rabbia si può trasferire invece sugli amici. Per la loro incapacità di fare o dire le cose giuste, per un’indesiderata invadenza, o un’apparente froideur. E poiché i dolenti sanno di rado che cosa vogliono o di cosa hanno bisogno, ma solo cosa non vogliono, le reciproche offese sono all’ordine del giorno. Certi amici sono spaventati dal dolore non meno che dalla morte; ti evitano come se temessero il contagio. Altri, senza saperlo, quasi si aspettano che sia tu a sobbarcarti anche il loro cordoglio. Altri ancora sfoderano uno smagliante senso pratico. «Allora, - domanda una voce una settimana dopo il funerale di mia moglie, - che intenzioni hai? Perché non ti organizzi un viaggio a piedi?» Sbraito dentro il telefono per un paio di minuti e metto giù. No: i viaggi a piedi noi due li facevamo insieme, quando la mia vita era all’altezza. Eppure, col senno di poi, quella domanda insolente non era poi tanto assurda. Mi è capitato, negli anni, di immaginare che cosa avrei potuto fare se mi fosse successo «qualcosa di brutto». Non entravo nei dettagli di che cosa intendessi con quella espressione, ma le possibilità risultavano alquanto limitate. Mi ero detto in anticipo che avrei fatto due cose, di cui una di poco conto e l’altra più importante. La prima era che mi sarei finalmente arreso a Rupert Murdoch abbonandomi a una pletora di canali sportivi. La seconda, che avrei fatto un viaggio a piedi, da solo, in tutta la Francia o, se quest’ipotesi si fosse rivelata irrealizzabile, almeno in una zona, in particolare quella che costeggia il Canal du Midi dal Mediterraneo all’Atlantico, lo zaino in spalla, armato di un quaderno nel quale avrei registrato i tentativi di venire a patti con quel «qualcosa di brutto». Quando è successo, però, non ho avuto il minimo desiderio di infilarmi gli scarponi. Senza contare che «viaggio a piedi» non sarebbe certo stata la definizione corretta per quella marcia forzata del dolore.

Da: Livelli di vita
di Julian Barnes
Torino: Einaudi, 2013